Passato un decennio, è giunto il momento di ricordare un progetto che scardinò il concetto di accessibilità nel mondo hi-fi audio. Spegniamo assieme le dieci candeline dedicate al T-Amp.
Ognuno di noi ha le proprie scimmie. La mia si chiama hi-fi. D’altro canto sono figlio di un collezionista di vinili, ho sempre ascoltato trashate imbarazzanti musica di qualità e ho un buon orecchio da ascoltatore.
Mi piace gironzolare su siti d’alta fedeltà come tnt-audio, spartanissimo sito web con versione in italiano, o What Hi-Fi?, rivista sacra dell’alta fedeltà, fondata in Inghilterra nel 1976 e famosa nel mondo per le sue guide all’acquisto.
L’alta fedeltà è tendenzialmente un brutto mondo, un mondo dispotico alla pari del mercato del vino. Ci sono persone che spendono migliaia di euro alla ricerca dell’accoppiata amplificatore-diffusore perfetta, una ricerca continua e completa, che passa dai filtri per la corrente alternata fino ai cavi da migliaia di dollari.
Tutto questo fino a quando arrivò lui.
Il famigerato T-amp. Un piccolo accrocchio amplificante a transistor che per quattro spicci (39$ a listino) ha scardinato le credenze di molti audiofili. Il T-amp creò un vero e proprio terremoto. O uno tsunami.
L’apparecchio riscrisse alcune delle certezze dell’alta fedeltà.
Inizio dalle basi: creò quella che venne battezzata la classe T per gli amplificatori a transistor.
Perché gli amplificatori si dividono in varie classi: A, B, AB, C, D, E/F, G, H, T e Z. Non voglio tediarvi con le spiegazioni tecniche che nascono dietro a ogni singola classe perché ho studiato lettere perché sarebbe lungo, noioso e, tutto sommato, inutile. Le spiegazioni più o meno complete abbondano in rete.
Vi basti sapere che in linea teorica la classe T è una classe D modificata.
Venne chiamata classe T, nome commerciale, dalla ditta produttrice del chip integrato nel T-amp: la Tripath, che ne possiede il marchio e l’esclusiva dal 20 giugno 1996.
Il chip alla base dell’apparecchio era il TA2024, vero e proprio cuore pulsante dell’amplificatore.
Perché si gridò al miracolo?
Il T-amp funziona e suona maledettamente bene. L’opinione cominciò a prendere vita specialmente dopo una serie di recensioni entusiastiche (da ricordare proprio su Tntaudio quella di Lucio Cadeddu che rimbalzò fino a raggiungere la rivista di business Forbes) sia da parte sia di siti internet che da parte di riviste cartacee.
La resa è al pari di amplificatori entry level di case blasonate, che però costano 300/400 dollari. Il tutto a patto di seguire alcune accortezze.
Innanzitutto andava alimentato adeguatamente. Il progetto nacque con l’intenzione di creare un ampli portatile, con alimentazione tramite batterie. Idea ottima per l’intenzione, ma poco seria per un amante dell’alta fedeltà.
Data la volontà di mantenere il costo irrisorio l’ampli venne quindi venduto senza alimentatore. La Sonic Impact, la società statunitense che creò e commercializzò il T-amp, raccomandava di usare alimentatori tra i 12 e i 14 volt a 1,2 A. Chi scrisse le recensioni ai tempi disse che la resa dell’apparecchio poteva variare molto in base all’alimentatore utilizzato.
Il secondo problema riguardava i connettori, non di ottima qualità e difficili da collegare ai cavi. Nessun problema. Vennero create tantissime guide fatte da utenti/smanettoni/nerd/geeks per altri utenti/smanettoni/nerd/geeks su diyAudio.
In Italia si può segnalare il completissimo e tutt’ora in attività T-forum hi-fi. Se volete una visione veloce e, comunque, completa delle possibili modifiche vi rimando alla guida ai tweaks effettuati da tnt-audio.
Tutto oro quel che luccica?
Ovviamente no. Il T-amp possiede delle limitazioni, come tutti gli amplificatori di ogni genere e grado in vendita a 50 euro. Esteticamente un pugno in un occhio. Assemblato in Cina con materiali, soprattutto per il case, modesti.
In secondo luogo il problema della potenza, perché 15 watt per canale su casse da 4 ohm non sono molti. Intendiamoci: il T-amp, come molti altri oggetti che hanno fatto la storia nel loro campo, ha semplicemente riportato l’audiofilia verso il suo scopo, rapportato al suo utilizzo.
Pochi di noi possiedono batcaverne da amplificare, pochi di noi vivono o lavorano in un castello. Per la maggior parte delle persone i 15 watt erogati sono più che sufficienti per un ascolto di qualità a una discreta quantità di decibel in una stanza 6x6x6 metri.
Un’altra necessità per far lavorare al meglio il piccolo? L’uso di diffusori sensibili. Sì, questo può essere il motivo per cui ora non correrete fuori di casa a comprare un clone cinese del T-amp un grande problema per l’ascoltatore comune. Il T-amp funziona alla grande con diffusori sensibili che, però, sono costosi. L’alta sensibilità del diffusore, in pratica, riesce a compensare la mancanza di mordente del mini amplificatore.
Allo stesso modo un impianto hi-fi tendenzialmente non è pensato per ascoltare musica in onda quadra per 8/10 ore. L’ampli (e le casse) potrebbero non apprezzare.
L’evoluzione della classe T
Il T-amp venne inzialmente commercializzato da Tripath nel 2004, 10 anni fa. La Sonic Impact vendette poi una seconda versione, dallo stesso nome e con lo stesso chip. L’apparecchio venne solo migliorato esteticamente e dal punto di vista costruttivo, con un bel case esterno prodotto in alluminio.
La Tripath, dal canto suo, sviluppò altri chip simili tra cui il TA2021B, il TA2020, il TA2022, il TA3020.
Prodotti che, però, non ottennero il risultato sperato. Tra i vari va comunque ricordato il 2022, un apparecchio dalla discreta resa audiofila con una erogazione di potenza decisamente superiore al 2024: il produttore dichiarava 90 watt a 4 ohm.
Grazie al successo e alle caratteristiche del primo T-amp si creò una vera e propria corsa al TA2024 e agli altri chip della Tripath.
Si sviluppò un mercato per gli amanti della classe T con tantissime produzioni cinesi a basso costo, reperibili senza problemi ai giorni nostri, così come produzioni più fini e ricercate da parte di piccole imprese giapponesi, senza dimenticare la presenza dell’italiano Fenice 20.
Notate le potenzialità della classe D, da cui la T deriva, i grandi produttori hi-fi si riposizionarono, capendo che quella poteva essere la classe per il futuro dell’alta fedeltà. Bassi consumi, una resa teorica del 100% e ampie possibilità di miglioramento sonoro in futuro.
Rotel uscì con la sua Serie 15, completamente in classe D, nel 2009. L’amplificatore più tranquillo,
l’RB-1510, sviluppa 120w a 4ohm e costava a listino 499$.
La Nad propose il suo M2 nel 2010, un ampli da 250w per canale a 4ohm e 5999$.
Ovviamente è difficile comparare simili apparecchi con qualcosa di molto meno potente e costruito in modo molto più approssimativo. I campi da gioco sono diversi, così come l’utilizzo e la possibile fruizione.
Va dato comunque merito alla classe T di aver aperto ufficialmente le porte a qualcosa di nuovo, di innovativo e, in definitiva, di fruibile a un pubblico che fino a quel momento non aveva le possibilità economiche per godere di un ascolto di qualità a basso costo.
La fine della storia?
Mi duole ricordare che Tripath visse felice e contenta fallì ufficialmente l’8 febbraio 2007 e venne acquisita da Cirrus Logic, produttore di semiconduttori. Ma questa è un’altra storia.
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- T-amp (wikipedia.it)