Le rose sono in ritardo a fiorire, quest’anno. O forse è il mese sbagliato, non mi ricordo tanto bene. La mia memoria non è più quella di una volta.
È così dall’incidente.
Una scena terribile, per fortuna Fabio non l’ha vista. Era al lavoro, lui.
Io avevo il giorno libero, e avevo deciso che mi serviva un bollitore nuovo e che al centro commerciale c’era proprio il modello che mi piaceva. È assurdo, un incidente per un bollitore.
Comunque non è stata colpa mia. Il camion sul cavalcavia ha sbandato e si è inclinato, e ha rovesciato il carico. E io passavo lì sotto proprio in quel momento. Un disastro.
C’erano tutti: gli agenti della polizia municipale con i berretti bianchi fradici di pioggia, e i ragazzi del soccorso con le visiere dei cappellini da baseball abbassate, e i mezzi dei pompieri con i lampeggianti ancora accesi che mandavano fasci di luce colorata sull’asfalto.
Il tettuccio della mia auto era tutto accartocciato. E pensare che mi ero sentita in colpa per aver lasciato Simone all’asilo.
C’era pioggia arancione dappertutto, e faceva tanto freddo.
Adesso non c’è la pioggia, ma il sole non scalda. Io ho sempre freddo. Anche Fabio, che era praticamente una stufa umana, dice:
“C’è una corrente d’aria in questa stanza”
e controlla le finestre e alza il termostato. Mi fa tanta tenerezza.
Probabilmente sta invecchiando.
Di sicuro ha un sacco di capelli bianchi, anche se per me è sempre bellissimo. Gli voglio così bene, e anche lui mi ama, e lo dice spesso.
Solo che gli vengono gli occhi lucidi. È buffo, dire una cosa così dolce con un’aria così triste. Ma lui è sempre stato un ragazzo sensibile.
Sensibile e gentile, non si arrabbiava mai.
Non come adesso. Simone ha trovato uno dei miei vecchi bastoncini da trekking, e lo brandisce come una spada laser. Gira per il soggiorno abbattendo mostri immaginari, e fa un verso con la voce.
Fabio si arrabbia, e gli dice di non toccare le cose nell’armadio in corridoio, che le deve lasciare stare. Simone butta il bastoncino in terra, e va nella sua stanza imbronciato, sbattendo la porta.
Mi piaceva vederlo giocare, mi ricordava la montagna. Dall’incidente non ci sono più stata. Non che mi manchi, me la ricordo male e poi chissà che freddo ci fa, con questo sole che non scalda, e che non fa fiorire le rose.
Le rose che Fabio pota e cura e non mi fa mai mancare, vicino al sasso con scritto il mio nome.