In un futuro devastato l’umanità vive in un cilindro di metallo che svetta per chilometri oltre le nubi. Nessuno sa chi l’abbia costruito né cosa ci sa intorno e nemmeno cosa contengano i suoi livelli più bassi.
Gli uomini lavorano praticamente come schiavi per enormi imprese e si stordiscono con i filmati della Chiedi e Ricevi, l’unico media esistente.
Mentre all’esterno del cilindro operano bande di guerrieri assetati di sangue che rapinano, ammazzo e si battono tra di loro, continuamente ripresi dalle telecamere e le cui azioni (azioni criminali) sono quotate in borsa.
Ma fuori dal cilindro si muovono anche i liberi professionisti, coloro che hanno deciso di rinunciare a una vita sicura ma squallida e hanno scelto di muoversi fuori, sulla verticale del cilindro.
L’Autore
Jeter è il classico scrittore passato alla storia (della letteratura, americana, di nicchia) per i motivi sbagliati.
Tutti noi conosciamo Jeter perché ha coniato il termine steampunk, purtroppo però i suoi racconti steampunk fanno rabbrividire (ammetto di non averli letti ma le recensioni sono pessime, per questo non li ho letti), in compenso Jeter scrive del buon cyberpunk, fa parte della wave di Dick e di Gibson sebbene sia decisamente meno conosciuto di loro.
La trama e l’ambientazione
L’ambientazione è il punto di forza del romanzo.
L’umanità vive in un immenso cilindro di metallo, largo migliaia di kilometri e altissimo (secondo me centinaia di kilometri per quanto sia fisicamente impossibile).
Nessuno sa chi l’ha costruito ne perché, si sa solo che risale a una prima di una guerra che pare aver costretto l’umanità in questo luogo.
Neppure l’intero cilindro è conosciuto anzi, i piani più alti sono abitati ma quelli più bassi no.
Sono anzi evitati a causa delle tecnologie prebelliche e delle creature che potrebbero ancora contenere.
Ci sono quindi altri topos cari al cyberpunk: la rete informatica globale, gli hacker, le imprese enormi che dominano la vita delle persone, la pubblicità e il bombardamento mediatico costante etc.
Ma c’è anche una forte carica innovativa, il protagonista Ny Axxel non vede mai l’interno del cilindro dove vivono gli altri, lui ha abbandonato quella vita e tutto il libro si svolge all’esterno, muovendosi sulla verticale del cilindro.
Infatti fa parte dei liberi professionisti (traduzione triste) che preferiscono guadagnarsi da vivere scorrazzando su e giù sulla parete del cilindro, collegandosi alle prese sparpagliate sul suo muro, vivendo sempre in verticale.
La trama di per se è abbastanza semplice ed è anche il punto più debole del romanzo: il protagonista è un grafico che produce insegne per le tribù di guerrieri che si muovono su e giù per il cilindro (e le cui azioni vittoriose sono quotate in borsa, e i grafici di solito guadagnano in base a quanto potente diventa la tribù da loro agghindata).
Alla ricerca dell’ennesimo guadagno facile si troverà coinvolto in una guerra tra bande, preso in mezzo in complotti vari e costretto a spingersi sul lato oscuro del cilindro.
Ny Axxel è il classico antieroe: avido, spocchioso, cinico e maleducato e che spesso si mette nei guai da solo, sempre alla ricerca di un guadagno facile e della grande occasione per diventare ricco.
La verticale del cilindro è un posto duro e Axxel ne passa di tutti colori.
È anche molto sfigato, con una ragazza che lo odia, un conto in banca perennemente in rosso, un agente che lo truffa e la pessima capacità di trovarsi sempre nel posto sbagliato e di puntare sempre sul cavallo perdente.
Lo Stile
Jeter scrive abbastanza bene.
La telecamera è fissa sul protagonista (terza persona) e le situazioni sono filtrate dal modo di vedere di Ny Axxel che spesso le commenta con il suo tipico modo di fare tra il lamentoso e il cinico.
Il pov è gestito degnamente e ben fisso dove deve stare (ho contato solo un paio di salti).
Lo stile di Jeter è secco, preciso, ogni tanto si abbandona all’infodump pure lui ma molto meno di altri.
Purtroppo a volte lo fa nei momenti sbagliati, nel mezzo di alcune scene di azione.
Dove Jeter fa peggio sono appunto le scene più concitate che risultano confuse e richiedono a volte una rilettura, accentuata inoltre dal fatto che ogni tanto le spezza con infodump non richiesti (no, non mi interessa sapere che esiste la Corporazione dei Manutentori e che ti multerà salato se tagli un cavo di transito quando sei li piegato con un saldatore in mano inseguito da una massa di motociclisti assassini che scendono in verticale sul muro del cilindro a poche decine di metri da te!).
Ma sono peccati minori.
Jeter invece compensa molto bene la vita sulla verticale del cilindro, un’intera esistenza passata camminando e vivendo sul lato di un muro.
L’immersione è buona e Ny Axxel è un personaggio che suscita simpatia il che sprona molto a seguire le sue vicende.
Conclusione
Di qui in poi sono le mie considerazioni.
Il punto di forza di Addio Orizzontale è il sense of wonder della sua ambientazione, ogni pagina è piena di strani congegni e invenzioni utili a una vita in verticale: moto che si muovono con ruote uncinate lungo cavi di transito, stivali e funi di fissaggio, biometalli su cui un grafico può incidere dei lavori a distanza, una luna artificiale che garantisce le comunicazioni, proiezioni del proprio corpo in altri punti del cilindro attraverso la rete etc. etc.
Il mondo verticale è ben costruito e sebbene abbia delle manchevolezza soprattutto se siete dei pdf come me (un cilindro così alto bucherebbe l’atmosfera, esiste una zona illuminata e una in ombra il che non è possibile considerando la rotazione della terra etc.) la vita sul suo muro è coerente alle sue premesse.
Vale la pena di leggerlo per questo.
Ci sono ovviamente alcune ingenuità ma nulla che infici il godimento dell’opera (ad esempio Jeter ha la pessima abitudine di descrivere un gruppo/associazione come fortissimo, salvo poi descriverne uno ancora più forte, e poi uno più forte ancora.
Tutto questo però fatto alla bisogna, senza mai accennarne prima e sopratutto senza che sia di reale utilità per la trama).
La trama invece è il punto debole, fino a oltre metà è ben fatta poi si sfilaccia e si perde.
Il personaggio è sballottato dagli eventi e arriva alla fine solo grazie a incredibili deus ex (uno già va male, due sono davvero troppi) e viziata da un plot-hole talmente grande che temevo si ingoiasse il mio tablet.
Ammetto di aver letto le ultime pagine più per dovere che per vero piacere (mentre fin oltre metà è stato davvero un gran romanzo).
Sebbene l’aspetto cyberpunk si senta un po’ meno che in altri romanzi del genere questo permette ad L’Addio Orizzontale di “invecchiare bene”.
Altri cyberpunk, come quelli di Gibson ad esempio, li leggiamo ancora per il messaggio di libertà e per l’avventura, non di sicuro per il sense of wonder: la realtà l’ha superato a destra e gli ha fatto pure il dito, tanto per dirne una la “rete” di Gibson con i sui cubi e triangoli fa ridere una generazione cresciuta a internet e smartphone.
Mentre Jeter ha costruito una distopia senza tempo, certo ci sono anche qui delle ingenuità (ad esempio la necessità di collegarsi fisicamente a una rete) ma non parla di un mondo futuro, parla proprio di un altro mondo.
Il mio consiglio è: se vi piace il cyberpunk leggetelo.
Se, come a me, vi interessano i sottogeneri e le distopie post-apocalittiche ma non siete cultori del cyberpunk leggetelo comunque fino almeno a metà, poi decidete voi, vi garantisco che non vi perdete nulla a metterlo giù, è un buon libro per l’ambientazione non per la trama.
Se il cyberpunk o in generale le distopie non vi interessano lasciate perdere, la trama non vale granchè.
Voto: fino a metà 3,5, tutto intero 2,5.