Rabbit, il controverso gadget AI, vuole risorgere dalle ceneri
Per Rabbit non è ancora arrivata la parola fine. Dopo la disastrosa débâcle del Rabbit R1, l'azienda ora vuole riprovarci.

Quando il Rabbit R1 fece la sua comparsa al CES 2024, attirò l’attenzione per il suo design minimal e la promessa di offrire un’esperienza simile a quella di uno smartphone, ma senza distrazioni. Al momento del lancio, però, le aspettative si infransero rapidamente: software instabile, funzioni mancanti e un’interfaccia che rendeva persino l’accesso alle impostazioni un’impresa. Le recensioni furono impietose e l’R1 divenne presto un monito per chi credeva nel sogno dei gadget AI.
Oggi, quasi due anni dopo, Rabbit tenta il rilancio con rabbitOS 2, un aggiornamento che mira a trasformare radicalmente il dispositivo e a riconquistare la fiducia del pubblico.
Un’interfaccia ridisegnata e funzioni finalmente utili
Con rabbitOS 2, il R1 cambia pelle. L’interfaccia è stata ripensata intorno a schede colorate, più intuitive e facili da navigare. Il touchscreen, che inizialmente rispondeva in modo impreciso, ora supporta tap e swipe come su uno smartphone, eliminando la dipendenza dal tasto laterale. Il risultato è un’esperienza d’uso finalmente fluida, capace di restituire al dispositivo un senso di immediatezza che al debutto mancava.
Oltre alla nuova grafica, arrivano miglioramenti concreti: il R1 può ora trascrivere memo vocali senza connessione internet e gestire in locale le registrazioni, sintetizzandole con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Anche Intern, l’agente AI che costituisce il cuore del sistema, è stato potenziato e consente di combinare voce, testo e immagini in un’unica interazione. L’aggiornamento è il risultato di mesi di lavoro e di oltre trenta patch distribuite dopo il lancio, segno di un impegno costante nel perfezionamento del software.

Nuova scommessa sul “vibe coding”
La vera novità, però, è Creations, l’evoluzione della precedente modalità Teach Mode. Con essa, gli utenti possono creare app personalizzate parlando direttamente con l’agente Intern. Si descrive ciò che si vuole ottenere, si risponde a qualche domanda di chiarimento, e in pochi minuti il software è pronto. È un’esperienza quasi magica, che promette di rivoluzionare il modo in cui le persone interagiscono con la tecnologia, ma resta da capire se sarà davvero sufficiente per conquistare un pubblico più ampio.
Creations può essere condiviso tramite la piattaforma Rabbithole o attraverso codici QR, senza passare per un app store tradizionale. Tuttavia, la monetizzazione è ancora un punto interrogativo, e il costo dei cosiddetti “Intern tasks” potrebbe scoraggiare gli utenti più curiosi. Inoltre, la sfida principale per Rabbit resta sempre la stessa: convincere le persone a portarsi dietro un secondo dispositivo oltre allo smartphone.
Il CEO Jesse Lyu sa bene che questo è l’ostacolo più grande, ma crede che la flessibilità e la creatività offerte da Creations possano aprire una strada nuova per l’interazione uomo-macchina. In un panorama dove anche produttori come Nothing stanno sperimentando soluzioni simili, Rabbit tenta di anticipare la concorrenza con un’idea audace: trasformare il concetto stesso di app in qualcosa di fluido, personale e conversazionale.
Se basterà a riscrivere la storia dell’R1 è ancora presto per dirlo, ma con rabbitOS 2 l’azienda prova almeno a dimostrare che il futuro dell’intelligenza artificiale portatile non è ancora scritto.


