Da questa estate, il rallentamento di Internet in Pakistan ha messo in ginocchio milioni di cittadini, trasformando quella che sembrava essere una semplice interruzione temporanea in una lunga e preoccupante limitazione. Con il passare delle settimane, la lentezza della connessione si è rivelata sempre più persistente e insidiosa.

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Secondo esperti di tecnologia e attivisti per i diritti digitali, dietro questo rallentamento ci sarebbe la mano del governo, intenzionato a limitare le proteste dei sostenitori dell’ex primo ministro Imran Khan, attualmente incarcerato. Le autorità avrebbero implementato una sorta di “firewall” nazionale, simile a quello utilizzato in Cina, per monitorare e controllare il traffico online, bloccando l’accesso a contenuti considerati pericolosi o critici verso il governo e le forze armate. L’obiettivo sarebbe quello di sopprimere il dissenso politico e impedire alla popolazione di organizzarsi attraverso i social media e le piattaforme di messaggistica, come WhatsApp, che in Pakistan conta decine di milioni di utenti.

Il rallentamento della rete non ha solo conseguenze politiche, ma anche economiche. Il settore IT del Paese, già fragile, potrebbe perdere fino a 300 milioni di dollari a causa di queste restrizioni, secondo la Pakistan Software Houses Association. Molti lavoratori digitali e liberi professionisti lamentano gravi difficoltà nel portare avanti le proprie attività.

Le autorità hanno fornito spiegazioni ambigue e contraddittorie riguardo ai motivi del rallentamento. Inizialmente hanno parlato di aggiornamenti al sistema di gestione del web, mentre altre dichiarazioni hanno attribuito la colpa al danneggiamento di un cavo sottomarino. Tuttavia, è opinione diffusa tra attivisti e analisti che il vero scopo sia reprimere il supporto al leader dell’opposizione Imran Khan e limitare le critiche alle forze armate, soprattutto nelle regioni più sensibili come il Balochistan e il Khyber Pakhtunkhwa.