Se c’è una cosa che in questi anni abbiamo capito in tema di rifacimenti cinematografici (ovvero quel calderone in cui si perdono e si confondono termini come remake, reboot, requel e via discorrendo) è che ciò che fa la differenza in termini di successo è la capacità dei creativi di recuperare il senso che quei testi contenevano nell’epoca in cui sono stati pensati. Solo quando sono compresi fino in fondo possono essere ritrattati con buoni esiti, anche nei casi in cui vengono stravolti.

Nella recensione di Twisters, al cinema dal 17 luglio 2024 con Warner Bros., vi parliamo di una pellicola che rientra nel calderone di cui sopra (lato operazioni ben riuscite), essendo ufficialmente un “sequel stand alone” di Twister del 1996, anche se alla fine dei conti è più corretto indicarlo come un un vero e proprio remake. Anzi, meglio ancora, come il manuale di “come si fa un buon remake“.

Il segreto del successo della pellicola diretta da Lee Isaac Chung (passato dall’autoriale pluricandidato ai Premi Oscar Minari a The Mandalorian e ora ad un blockbuster vintage) sta proprio nella sua capacità di recuperare il materiale originale e mettersi completamente al suo servizio per poi adattarlo al tempi odierni, cambiando quel tanto che basta per aggiornarlo, senza alterarne quasi per nulla lo spirito. I difetti che ha rientrano nel suo essere a volte troppo teorico, quasi scolastico, pur rimanendo sempre e comunque nei confini della funzionalità.

Kate ama i tornado, anche se un po’ li odia pure

Twisters

Le facce sbalordite di chi vede una finestra aperta.

Come nella pellicola del 1996, anche in questo caso Twisters inizia con un incidente che segna in modo irreversibile il personaggio principale, in questo caso la giovane Kate (interpretata da Daisy Edgar-Jones), che nel suo rincorrere i suoi amati tornado subisce una grave perdita che la spinge a ritirarsi per fare la meteorologa. Ancora, la stessa professione che decide di intraprendere il protagonista del film cult di Jan de Bont. Superato l’innesco il film continua sui binari già tracciati, rimettendo in pista Kate tramite la comparsa di una sua vecchia conoscenza ai tempi della ricerca (anzi, della caccia) appassionata e pericolosa, facendo tornare in lei quella voglia di scoperta e conquista scientifica.

La nostra è infatti una “geniale” giovane scienziata che fa quello che fa per riuscire a “leggere” la natura di questi fenomeni atmosferici così devastanti e misteriosi. Sulla sua strada però (in tutti i sensi) compare una sorta di cowboy / influencer del vento, il belloccio Tyler Owens (con il volto sornione di Glem Powell), una sorta di eminenza nella bolla degli appassionati di avventure estreme e di tornado in particolare. Un avventuriero con tanto di coloratissima squadra ai suoi ordini e un timido giornalista che lo segue per scrivere su di lui il suo prossimo articolo.

L’incontro tra i due rappresenterà per entrambi l’incontro più importante delle loro rispettive vite, dal momento che l’uomo riconoscerà in un altro essere umano un mondo da esplorare addirittura più importante di quello che fa capo a se stesso, mentre la ragazza troverà nella sfida lanciatale un modo per fare i conti con il proprio passato, con se stessa e con quello che vuole sul serio. Il prossimo tornado in cui si imbatteranno sarà il più importante perché lo affronteranno insieme.

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La conoscenza è potere

La scelta di lavorare meticolosamente sulla fedeltà alla sceneggiatura originale permette non solo di avere un canovaccio da subito ben strutturato sul quale poter costruire un’impalcatura, ma anche di usare gli archetipi presenti in Twister a proprio piacimento, cercando di rinnovarne l’immaginario e nel mentre conquistarsi una fetta di pubblico già affezionata ad un certo tipo di cinema.

Twisters

Ci sono due modi diversi di dare la caccia ai tornado.

Il tornado viene presentato non solamente nella sua funzione di rappresentazione della Natura contro l’Uomo, che è stato un chiodo fisso per un certo cinema d’intrattenimento ad alto budget per tantissimo tempo, ma anche per la sua funzione metaforica. La vita stessa, o almeno, i momenti topici della vita stessa, sono dei tornado che bisogna affrontare, a volte domandoli e a volte abbandonandosi a loro. Il film è molto esplicito su questo fronte, sia nei dialoghi e sia nelle tante scene in cui i personaggi si ritrovano a riflettere su stessi e a compiere scelte cruciali, mentre sono nell’occhio del ciclone.

Se qualche sbavatura c’è nella parte scritta la si può trovare in dei momenti di eccessiva didascalia, soprattutto quando si vuole guidare lo spettatore verso i cambiamenti che Twisters apporta rispetto al materiale da cui proviene (i cambiamenti di forza tra sessi e anche tra gli strumenti di cui si avvale l’uomo per affrontare le sfide interne ed esterne). Ottimamente trasportato nel XXI secolo invece la sfida tra tra la dimensione umana e quella divina.

Cinema & spettacolo

Non solo la sceneggiatura, Twisters si avvale quasi in toto del recupero visivo e contestuale dell’atmosfera anni ’90, la stessa che ha permesso ad un certo tipo di blockbuster “muscolare”, ma domestico (tutto è in CGI ovviamente), di emergere creando un enorme appeal sul grande pubblico, creando intorno a sé un contesto che nel tempo è andato via via collaudandosi sempre di più attraverso diversi altri titoli.

Chung è stato in grado di rispettare questo universo linguistico, cercando di reinventarlo grazie alla sua sensibilità che per gli spazi incontaminati e la capacità di saper donare quel sapore retrò alle sue immagini. Un sapore accogliente,, come quando mette in scena quelle che sembrano rimpatriate tra amici mentre in realtà sono reunion un mucchio di cacciatori di tempeste, ma anche drammatico, come quando racconta le distruzioni lasciate dal passaggio dei tornado, eco di quelle che porta la protagonista dentro di sé. Fondamentale questa sua caratteristica per riproporre la potenza immaginifica del mito dell’eroe che non solo sconfigge le calamità, ma la accetta e la comprende, attraversa l’autoanalisi e  attraverso la scienza.

Twisters

L’unione fa la forza.

La scelta della produzione di avvalersi del lavoro dell’autore statunitense di origini sudcoreane sta quindi proprio nella sua capacità di lavorare sia con la dimensione intima (fondamentale per la riuscita di questa pellicola) che con quella più selvaggia ed evocativa. Qualità a sulla quale ha puntato molto fino ad ora nella sua carriera. Certo, in Twisters è comunque abbastanza rilegato nel dover comunque cucire un certo tipo di abito, che punta sul cinema spettacolare condito da un’esplorazione umana semplice e diretta. La pellicola vive quindi un ottimo equilibrio tra il suo lato d’intrattenimento e quello di analisi antropologica, oltre che di una messa in scena a dir poco impressionante.

70
Twisters
Recensione di Jacopo Fioretti

Nella recensione di Twisters vi abbiamo parlato di quello che sarebbe il sequel stand alone di Twister del 1996, anche se in realtà ne è un ottimo remake con due ottimi attori protagonisti come Daisy Edgar-Jones e Glem Powell. La pellicola diretta da Lee Isaac Chung recupera ottimamente il materiale originale cercando qualche variazione sul tema efficace attraverso il mantenimento di un equilibrio costante tra dimensione intima e selvaggia e puntando molto sul lato intrattenimento. Fine che centra in pieno anche grazie ad una messa in scena impressionante.

ME GUSTA
  • La ripresa del materiale originale con tutto il suo immaginario.
  • L'uso della CGI e la messa in scena in generale.
  • Equilibrio tra dimensione intima e selvaggia.
  • Ottimo intrattenimento.
FAIL
  • A volte un po' scolastico nelle sue intenzioni.