Gli Hobbit sono da sempre il popolo più amato dell’universo cinematografico (a discapito degli elfi e nani) de Il Signore degli Anelli, ma le differenze con i libri di Tolkien sono sostanziali. In questo approfondimento vedremo le grandi differenze con il popolo dei mezzuomini scritto nelle pagine dei libri del professore di Oxford.
Anche la persona più piccola può cambiare il corso del futuro.
Oltre la qualità dei tre film, della prova attoriale, delle scenografie ed effetti visivi e della reinterpretazione del libro di Tolkien, se dovessimo annoverare uno dei motivi per cui il grande pubblico si è innamorato di questa trilogia probabilmente la risposta è negli Hobbit.
Sono proprio i Mezzuomini, con tutti i loro difetti a conquistare il pubblico: gli hobbit della trilogia sono impavidi, ma anche paurosi, sono scaltri, ma sventati, amano il ritorno a casa da provinciali quali sono, ma si ritrovano nel bel mezzo di un’avventura più grande di loro. Insomma in una Terra di Mezzo zeppa di magia, forza, brutalità e magnificenza sono gli esseri più vicini all’animo umano che si possano incontrare.
La parola hobbit, dopo la trilogia cinematografica, è divenuta parte del lessico comune, di una caratteristica ben precisa e anche chi non ha mai letto Tolkien conosce perfettamente le caratteristiche dei Mezzuomini. “Sei proprio un Hobbit” è il riassunto di un personaggio pigro, sognante, amante del cibo, della natura e delle avventure. La Contea di Jackson tuttavia è reale, è un luogo bucolico dove l’amore per la terra e le cose semplici, come coltivare un campo o passare delle serate in un pub a ridere e scherzare con un bel boccale di birra, sono la quotidianità.
Come viene presentata, con dei campi larghi che scrutano le tipiche case a porta tonda, la Contea cinematografica sembra voler raccontare di una società in pieno connubio tra natura e i suoi abitanti, appunto gli hobbit. I piedi così grandi e resistenti, anche se nel libro non sono una caratteristica così predominante e quei capelli riccioloni, un po’ anni ottanta, rendono questo popolo impossibile da non amare.
Tolkien nel libro ha fatto un uso massiccio di personaggi “monouso” e di “Terre protagoniste”, rendendo perfettamente l’idea della vastità della Terra di Mezzo che in nessun’occasione da l’impressione di essere un mondo inventato.
Chiaramente trasporre nello stesso modo, da libro a film, questi concetti sarebbe stato irrealizzabile: Jackson non avrebbe mai potuto permettersi il lusso di coprire le spese di budget per mettere in scena centinaia di situazioni “non parlanti” tra comparse, terre e altro ancora.
Sì perché nelle pagine dei libri i personaggi non parlanti sono ugualmente importanti come gli stessi eroi per il proseguo della trama; tuttavia la Contea è tra le trasposizioni più riuscite da parte di Jackson ed è anche per questo motivo, probabilmente, che il popolo Hobbit è tra i più amati, anche e soprattutto per la caratterizzazione della Contea stessa. E in Tolkien? Ci sono analogismi e differenze importanti.
Come Jackson è riuscito ad imprimere Frodo e i suoi amici nell’immaginario collettivo, per il professore di Oxford si tratta forse dell’invenzione più spontanea del suo Legendarium. Nonostante il suo immenso lavoro, mai finito tra l’altro abbia rivoluzionato e riscritto l’immagine degli Elfi, degli Orchi, dei Nani, quella sugli Hobbit è un’idea totalmente nuova che poi corrisponderà all’intenzione dell’autore di far diventare protagonisti della Terza Era delle creature “semplici”.
Gli Hobbit: società ecologista perfetta? Non proprio…
Gli hobbit di Tolkien sono un Popolo della Terra di Mezzo, caratterizzato principalmente dalla bassa statura (più bassi dei Nani e molto più gracili) e in alcuni casi dalla singolare struttura fisica dei loro piedi che gli permette anche di andare senza calzature.
Sono un popolo schivo, ma di ceppo molto antico, un tempo erano molto più numerosi di ora; amano la pace, la vita tranquilla e la buona terra dissodata: l’ambiente da loro preferito era una campagna organizzata e coltivata a dovere. Pur essendo bravi con gli attrezzi, non hanno mai capito ne amato macchine più complicate di un mantice, un mulino ad acqua o un telaio a mano (Il Signore degli Anelli, Prologo p.11).
Hobbit è il nome che danno a sé stessi ed a tutti quelli della loro razza, gli Uomini invece li chiamano Mezzuomini e gli Elfi Periannath che è il medesimo significato. La parola in sé deriva da un termine dei linguaggi del Nord, ancora in uso a Rohan, e sarebbe un’abbreviazione di holbytla cioè “scavatori di buchi”.
Nonostante siano un popolo molto antico, non si ebbero particolari notizie di loro fino alla Guerra dell’Anello, quando Bilbo Baggins e suo nipote Frodo acquistarono notorietà diventando parte fondante dell’intera saga.
Gli hobbit di Tolkien sono i classici uomini di campagna, per natura pacifici, addirittura non così avvezzi alle novità che non hanno più di tanto ambizioni di conquista ai danni di altre popolazioni. Nella Terra di Mezzo non esiste nessun popolo che sia più incline agli hobbit a lasciare in pace la gente, purché anche a loro si decida di lasciarli vivere senza tante responsabilità.
Tuttavia quando la circostanza lo richiede si rivelano coraggiosi, molto resistenti alle fatiche ed ai disagi più di quanto si lasci supporre dal loro modo di vivere: Sam che affronta da solo gli orchi a Cirith Ungol e il ragno Shelob, Merry che combatte insieme ad Eowyn un Nazgul, Pippin che diviene uno scudiero di Gondor, Bilbo che affronta Smaug e lo stesso Frodo che decide di prendere a sé l’Anello.
Queste caratteristiche sono analoghe, in parte, anche negli hobbit di Peter Jackson, un popolo che più volte ricorda la Contea come l’unico luogo da salvare (con un pizzico di sano egoismo da provinciali), anche alle pendici del Monte Fato c’è un pensiero verso casa, eppure il cinema ha donato una sbagliata trasposizione per quanto riguarda il loro “manifesto ecologista a 360 gradi e società perfetta”.
Per tutti coloro che hanno solo visionato il film, senza aver analizzato le pagine del libro, vivere nella Contea sarebbe l’ambizione massima, in quanto sembra un luogo dove risiede una società dove tutto è in piena correlazione con la natura. Quindi la Contea che ci viene presentata nei film è similare a quella tolkieniana? Si e no, è molto riuscita come rappresentazione, complice anche le tante descrizioni che Tolkien gli dedica, ma se nel film ci abituiamo a familiarizzare con un luogo senza confini, dove soltanto un campo di grano rappresenta per alcuni il limite massimo da svalicare, quella dei testi è un po’ diversa.
La Contea tolkieniana è difatti uno spazio antropizzato, come quella cinematografica, ma che ha anche un confine fisico rappresentato da un’alta siepe che funge da barriera, che separa la Contea stessa dalla Vecchia Foresta, lo spazio della natura incontaminata.
Questa siepe è stata edificata dagli hobbit stessi, in seguito alla guerra con gli alberi della Vecchia Foresta, vinta dai Mezzuomini che hanno così potuto difendere il loro luogo, ma la situazione dopo aver costruito il “confine” non si è per nulla pacificata.
Il Vecchio Uomo Salice difatti, uno degli alberi più antichi della Foresta, fa di tutto per uccidere gli hobbit con lo scopo di punire gli abbattimenti fatti ai suoi fratelli alberi. Se dovessimo fare un parallelismo con gli Ent e la guerra contro Saruman, quello che cerca di fare lo stesso Vecchio Uomo Salice, agli hobbit, è molto similare: cioè vendicare tutti gli alberi che hanno subito la violenta conquista della natura per far spazio alla civilizzazione.
Un’altra parte mancante nei film di Jackson, che rientra sempre nel delicato equilibrio tra natura e modernizzazione, è proprio la guerra contro Saruman che gli Hobbit devono combattere, dopo la distruzione dell’Anello, per riconquistare la Contea. La guerra (che si vede nei film soltanto nello specchio di Galadriel) vinta poi dagli hobbit, dona una Contea spoglia dai suoi campi, ma che grazie al terriccio che viene dall’orto di Galadriel il nuovo sindaco Sam riesce a far rifiorire ancora più verde di prima.
Questi due punti sono molto importanti perché fanno intendere molto bene l’idea di Tolkien su quei luoghi: la Contea, come Fangorn dopo la devastazione causata dagli Orchi, non riesce a tornare ai fasti del passato e per “preservare” questo posto così speciale il nuovo Re di Gondor Aragorn deve addirittura emanare un editto dove vieta, anche a sé stesso, l’ingresso alla Contea a tutta la Gente Alta. Sembra quasi un ossimoro, per difendere il popolo che ha liberato la Terra di Mezzo, serve una sorta di campana di vetro che preservi al meglio gli hobbit stessi.
Un’idea di Contea come luogo bucolico, attento alla natura e tutto ciò che ne circonda, è un’idea sicuramente non così vicina a quella tolkieniana, molto più attigua invece ai villaggi inglesi del Warwickshire della fine del XIX secolo o in generale al mondo moderno, con tutti i difetti di una società agreste di quel periodo.
Ma non è soltanto la vostra Contea – disse Gildor – Altri ci hanno abitato prima degli Hobbit; e altri ancora ci abiteranno quando gli Hobbit non ci saranno più. Il mondo intero è tutt’intorno a voi: potete chiudervi dentro la Contea, ma non potete chiudere fuori il mondo per sempre. (Il Signore degli Anelli, cit., CA, I.III, p.96)
Gli Hobbit jacksoniani e tolkieniani: il coraggio alla base.
Purtroppo, per chi li ha fin troppo amati, grazie ai film si deve un po’ ricredere, perché gli hobbit di Tolkien sono lievemente diversi, ma nondimeno molto più vicini ai contadinotti delle campagne rurali inglesi. Sì perché quella dei mezzuomini è una società di agricoltori, la più grande fattoria della Contea appartiene a Maggot e ovviamente per ricavare lo spazio indispensabile per le colture serve farsi posto tra i boschi abbattendo alberi: quindi anche gli hobbit, come è stato precedentemente ricordato con la guerra contro la Vecchia Foresta, recitano la loro parte nel disboscamento della Terra di Mezzo. Un dettaglio epurato dalla trilogia cinematografica, che di contro invece dipinge la loro società fin troppo perfetta, quasi senza sbavature, una società dove tutti vorrebbero poter vivere.
Il focus che fa scattare questo innamoramento da parte del pubblico è questo? Probabilmente sì, il loro modo di vivere li rende empatici dalle primissime scene, un popolo apparentemente fuori dagli schemi e dalle politiche della Terra di Mezzo, una popolazione semplice (quasi degli hippie) che diventa protagonista della più grande impresa e avventura della Terza Era.
Ma è proprio dalla Contea che si può percepire il grande disegno di Jackson, perché se per tanti “puristi” personaggi come Faramir, Arwen o la comicità di Gimli fanno storcere il naso, sono proprio le variazioni né La Compagnia dell’Anello a sottolineare quanta dedizione ci sia stata nel raccontare questa immensa storia.
Il primo capitolo difatti è quello che ha subito più variazioni rispetto al libro, solo che la maggior parte della gente non se n’è accorta a causa della grande maestria dello stesso Jackson nello sviluppare le prime vicissitudini: quasi nessuno si è lamentato di un Frodo più o meno diciasettenne, quando nel libro ci viene descritto come un cinquantenne; formalmente potrebbe essere non influente, ma senza dubbio empatizzare con un adolescente è ben diverso da un adulto.
I diciassette anni trascorsi tra le due visite di Gandalf alla Contea, nel film ridotti a pochi mesi, non hanno causato scompiglio, come la fuga dal primo Nazgul, durata sei mesi nel libro e trasformata in un repentino cambio di programma da parte di Frodo nel film, non ha causato drammi epocali tutto perché lo spirito e la tematica, epurando i dettagli, sono stati rispettati in pieno.
Forse solo la parte finale, quella dedicata alla riconquista della Contea da parte degli Hobbit contro Saruman, abbozzata nel film dalle visioni di Frodo nello specchio di Galadriel, ha estromesso uno spicchio importante del popolo hobbit: quello della Resistenza. Ma per ovvi motivi cinematografici, dopo la distruzione dell’Anello, il climax dello spettatore non poteva essere spostato altrove (Guerra della Contea) che non la risoluzione del focus dei film con la caduta di Sauron.
E Sam? Un giardiniere che diviene l’eroe della storia è stato il personaggio più amato, e forse meglio rappresentato dal regista neozelandese, anche se molto caricato delle proprie azioni. Lo stesso Tolkien aveva un’idea molto chiara dei due hobbit: Frodo è il protagonista mentre Sam è il vero eroe della storia. Nondimeno queste due accezioni tendono a livellare fin troppo, soprattutto per quanto riguarda Frodo, le loro caratteristiche. E’ Frodo che decide di partire per una missione in terre nemiche, sopportando il peso del fardello più grande della Terra di Mezzo, mentre Sam segue e protegge in ogni modo il protagonista fino al suo destino.
Sono due personaggi comprimari perché insieme riescono a contribuire al successo della missione, ma se Sam al ritorno a casa tornerà non solo giardiniere dei Baggins, ma un hobbit molto più arricchito dall’esperienza (a poco diventerà Sindaco della Contea) Frodo dovrà salpare per i porti Grigi, insieme a Gandalf, gli Elfi e suo zio Bilbo, per trovare la serenità perché un reduce di guerra è questo: a battaglia finita le ferite non riusciranno mai a rimarginarsi.
Nel film quello che ne esce più a “pezzi” è proprio lo stesso Frodo, messo in scena da Peter Jackson fin troppo dipendente dalla sua spalla Sam (pochi fan del film hanno un giudizio positivo sul Portatore dell’Anello), cosa che non accade lungo le pagine de Il Signore degli Anelli. Inoltre il filo che conduce gli Hobbit all’interno del film è anche ovviamente la crescita, nel bene o nel male, i personaggi che si incontrano nei tre capitoli maturano verso la loro natura, sia essa buona o cattiva. Alla fine li lasciamo, senza eccezioni, molto cambiati.
La storia inizia in un periodo di pace e termina in un altro periodo di pace e i quattro hobbit, non saranno più gli stessi, perché la guerra si è insinuata in loro e prima di andarsene ha compiuto un’azione da una parte logorante, ma dall’altra anche edificante. Gli hobbit per concludere sono realmente il cuore, l’anima e il corpo de Il Signore degli Anelli, sia per Tolkien che per Jackson, sono la più grande invenzione dell’autore inglese e anche il più grande mistero: una popolazione avulsa alle grandi storie, senza magia o particolari doti (che non la forza d’animo) ma che brama di essere raccontata nei canti, un popolo provinciale che pensa solamente all’erba-pipa, ma capace di impeto di audacia che nemmeno gli immortali Elfi riescono a compiere.
Ciò che unisce gli hobbit Jacksoniani agli hobbit di Tolkien è proprio l’attitudine al coraggio: in un’era dove il buio può invadere la luce, dove i grandi eserciti possono trucidare popolazioni e un Oscuro Signore decidere di far trionfare il male (la Grande Guerra combattuta dal giovane Tolkien), la chiave di volta non è nella grandezza di un eroe, ma è nella consapevolezza che l’uomo comune nonostante il suo smarrimento e paura può ancora volgere il suo sguardo verso uno slancio improvviso. Attraverso gli hobbit sia Tolkien, con i suoi libri, che Peter Jackson, con la trilogia cinematografica, rispondono alla fatidica domanda: può un uomo semplice diventare un eroe? Assolutamente sì.