Il franchise di A Quiet Place è nato un po’ per caso, dato che il primo film diretto da John Krasinski voleva essere una pellicola post apocalittica che, tra le varie commistioni tra generi e derivazioni immaginative dei suoi simili, voleva raccontare una storia originale con un suo inizio e una sua fine. Solo in seguito il successo ottenuto ha messo sul tavolo la possibilità di un proseguo del progetto, che si è scoperto quasi inaspettatamente in possesso di strumenti per garantirsi un futuro, nonostante racconti la fine del mondo. Ne sono testimoni A Quiet Place II e soprattutto A Quiet Place: Giorno 1, che, nonostante diverse criticità, di quegli strumenti riesce a vivere, avvicinandosi o orientandosi ad essi.

Tolta la parte legata al meccanismo tensivo che ribalta la tagline del primo Alien (diventando: “sulla Terra nessuno ti deve sentire”), sempre efficace e di aiuto ad una regia tutto sommato buona a cura dell’ottimo Michael Sarnoski, le firme della saga sono quelle che riguardano il racconto del microcosmo quando il macro sta andando in fiamme; l’isolamento dell’uomo dal suo ambiente comunitario, che da sonoro diventa esistenziale; la disgregazione familiare e, cosa più importante di tutte, l’atteggiamento nei confronti dell’apocalisse. Sono come dei punti di orientamento, intorno al quale può navigare anche uno spinoff / prequel con protagonisti, premesse e obiettivi differenti.

Al di là della solita formula

L’idea narrativa alla base di A Quiet Place: Giorno 1 è una derivazione dell’apertura del secondo film: osserviamo delle persone che tentano di affrontare la fine del mondo a modo loro. Non siamo quindi in una storia con il disastro alle spalle, ma una storia che avviene durante il disastro. Per la precisione la storia di Sam (Lupita Nyong’o), una ragazza a cui è stato diagnosticato una malattia terminale, Eric (Joseph Quinn), studente inglese trasferitosi in America, e Frodo, un gatto che ha la precisa funzione di essere il collante emotivo tra i due (oltre a completare una sgamatissima citazione a Il Signore degli Anelli).

A Quiet Place: Giorno 1

Di solito in questo franchise bisognare fare silenzio.

Quella che seguiamo non è quindi una famiglia che lotta per rimanere unita in un modo ormai disgregato e in cui ogni forma di comunicazione è scoraggiata dalla presenza dei più grossi impiccioni dell’intero universo, ma una parabola durante la quale una famiglia si potrebbe formare dalle ceneri di dei vissuti che sono stati segnati dall’allontanamento dei rispettivi cari. Questo ci viene più o meno fatto capire nelle poche (per fortuna) scene di approfondimento dei personaggi, facendoci scoprire delle scritture che dire didascaliche è poco. Per non parlare del pretesto che li fa muovere per la città di New York (o, meglio, quello che ne resta) rischiando la vita. Anche perché alla storia del pezzo di pizza non ci crede nessuno… vero?

A Quiet Place: Giorno 1 infatti funziona (più o meno) solo quando decide di andare oltre le vecchie formule del franchise (riviste, ribaltate, la matrice sempre quella rimane), i personaggi o la trama e, in un certo senso, anche oltre il giochino orrorifico. Non fraintendeteci, la trovata del silenzio funziona, è ben presente e probabilmente regala ancora una volta le sequenze più riuscite e tensive al punto da farci sospettare che Sarnoski abbia accettato di fare il film più che altro per girarle e su di loro improntare qualche discorso da cinema teorico. Cosa che in realtà non funziona neanche troppo bene a parte qualche riferimento metacinematografico sulle potenzialità del genere di riferimento.

Fine vita e fine del mondo

Quello che rende A Quiet Place: Giorno 1 interessante (o almeno meritevole di una visione, che sia su grande o piccolo schermo) è il cambio di atteggiamento verso l’apocalisse non solo dei personaggi, ma anche del tono generale. Un aspetto che permette allo spinoff / prequel di emanciparsi dagli altri capitoli della saga, ma anche di prendere le distanze da pellicole sue contemporanee appartenenti allo stesso genere o incentrate sulle medesime tematiche. Qualcosa che lo rende atipico anche al di là della trovata atipica che ha mosso anche dai film precedenti.

A Quiet Place: Giorno 1

Frodo e Sam.

Il motore della pellicola è infatti la riflessione che si instaura sulla morte e la possibilità di sopravvivere o meno. La protagonista interpretata da Nyong’o si è già isolata dal resto del mondo perché chiusa all’interno di un lutto che a primo impatto sembra essere causato dalla sua condizione, mentre, come scopriamo più avanti, la questione è più complessa. Il suo desiderio di smettere di vivere è dovuto al fatto che non ha più nulla per cui farlo, intrappolata in una morte apparente prima ancora che arrivi il fatidico giorno. Questa condizione viene completamente rivoluzionata nel momento in cui cominciano a piovere alieni sui grattacieli statunitensi.

Con queste premesse alle spalle il suo viaggio diventa un cammino spirituale verso la pace e non verso la sopravvivenza, una condizione comprensibile se guardiamo lei, ma che invece si allarga sorprendentemente a chi la circonda. Forse neanche l’Eric di Quinn sotto sotto vuole vivere, dal momento che, invece di scappare verso l’ipotetica salvezza, decide di accompagnare una donna conosciuta da poche ore (neanche troppo simpatica) verso quella che sembra a tutti gli effetti morte certa. Forse alla fine decide di provare a darsi una scossa solamente perché tiene troppo a Frodo, con tutta probabilità il gatto più mansueto, coccoloso e affettuoso dell’intero Nord America.

A Quiet Place: Giorno 1

“Dove hai lasciato il gatto?”

Ecco quindi che il finale di A Quiet Place: Giorno 1 rischia di diventare solamente un meccanismo narrativo utile a creare una rete con ciò che accadrà dopo (e che noi abbiamo già visto), tenendo ben presente di riservarsi anche uno spiraglio per qualcos’altro di nuovo da poter pensare per i capitoli che verranno. Ciò che rimane impresso è invece la voglia di raccontarci una “corsa” per sopravvivere fatta da dei personaggi che non sembrano interessati a farlo, anzi, con la protagonista che si rianima in tempo per l’avvento dell’apocalisse portato da cavalieri dall’udito sopraffino solo per trovare la sua strada verso la pace. Una trovata interessante che mette insieme due generi di film, collegando il tema del fine vita a quello della fine del mondo.