Il Simpatizzante (qui la nostra recensione) era uno dei titoli più importanti e attesi del mondo dello streaming del 2024, anche perché posizionato in un momento strategico del (nostro) calendario, ovvero a cavallo del giro di boa e poco prima dell’arrivo delle serie più grosse della stagione, The Boys (qui la nostra recensione) e House of The Dragon. Il finale è infatti andato in onda su Sky Atlantic nell’ultimo doppio appuntamento di lunedì 11 giugno ad appena due giorni dall’inizio del momento clou.
Lo show HBO e A24 aveva moltissimi motivi di interesse per il pubblico del piccolo e grande schermo, a partire dai più grandi nomi coinvolti davanti e dietro la camera, ovvero Robert Downey jr. (chiamato ad interpretare più ruoli, vedere trailer montato ad arte per credere) e quello del cineasta sudcoreano, nonché uno dei cocchi della Croisette, Park Chan-Wook, affiancato all’ideazione da Don McKella e in regia da due professionisti di grande spessore come il brasiliano Fernando Meirelles (I due papi) e Marc Munden, uno dei directors dietro la prima, leggendaria, stagione di Utopia.
Insomma, garanzia di qualità a fronte di un adattamento difficilissimo come quello che riguardava il romanzo omonimo vincitore del premio Pulitzer per la narrativa dello scrittore vietnamita naturalizzato statunitense, Viet Thanh Nguyen. Un testo affascinante, ma profondamente complesso, a metà tra storia di spionaggio, racconto coming of age, ritratto storico e una grande metafora politica del rapporto tra l’America e il Paese asiatico in un momento di crisi profonda.
Tanta carne al fuoco che il finale de Il Simpatizzante era chiamato a smaltire, al culmine di un percorso piuttosto burrascoso, ma che nel suo terzo atto aveva rimesso la storia su dei binari inquadrabili, terminando il suo giro per gli USA e cercando il compimento della storia tra la natura vietnamita, dove tutto era iniziato anni prima.
I tre moschettieri
L’uomo con più soprannomi del Vietnam (tutto pur di non dargli un nome di battesimo), ovvero il nostro protagonista, il Doppio di tutto, “Il Capitano” con il volto della più bella sorpresa della miniserie, Hoa Xuande (ma che peccato che non abbia veramente gli occhi azzurri!) ha alla fine accettato di partecipare alla missione suicida del Generale per iniziare la lenta opera di ricostituzione dell’esercito repubblicano vietnamita (quello del Sud appoggiato dall’America). Decisione presa per l’ormai insostenibile peso della sua doppia vita e per salvare uno dei suoi migliori amici, Bốn (Fred Nguyen Khan), in nome del quale il nostro ha rinunciato anche all’ancora di salvataggio offertagli in extremis da Claude (Downey Jr.).
I due vengono prontamente catturati dall’esercito comunista al potere nel Paese e avviati al processo di “rieducazione”, durante il quale Il Capitano viene obbligato a scrivere una minuziosa confessione (che poi è la narrazione degli episodi visti fino a quel momento) per convincere i suoi compatrioti del suo essere un simpatizzante. Proprio la cosa che ha nascosto, ironia della sorte, per gran parte della sua vita.
Una sceneggiatura di una miniserie scritta in un anno di isolamento non basta però a soddisfare gli ufficiali comunisti (peggio dei critici), ma serve al nostro ad incontrare l’uomo mascherato a capo del campo di rieducazione, che poi è Mẫn (Duy Nguyễn), l’altro amico del capitano, quello rimasto a casa come contatto e il terzo dei tre moschettieri ora sfregiato a causa del napalm. Sarà infatti fondamentale per il proseguo proprio il recupero dell’amicizia fraterna tra i tre ragazzi, la cui prova risolutiva sarà unirsi per andare oltre quelle divisioni politiche che hanno mosso tutti i passi del loro percorso.
Il Capitano sarà sottoposto a tortura nel tentativo di scavare tra i suoi ricordi senza soluzione di continuità. Ciò che importa alle alte sfere non è tanto riuscire a tirare fuori qualsiasi cosa possibile ad una spia che ha vissuto a stretto contatto con il generale dell’esercito del Sud e lavorato per anni con la CIA, ma cambiare il suo punto di vista. La morale americana è infatti ormai talmente radicata dentro di lui da risultare incompatibile per un reinserimento nella società comunista vietnamita.
Un finale dedicato alla memoria
La memoria è la chiave del finale de Il Simpatizzante. Il Capitano, sottoposto a privazioni sensoriali sempre più insistenti e coercitive, si ricorda di aver cancellato dalla sua memoria il fatto di aver assistito ad uno stupro, che poi sarebbe dovuto essere raccontato nel corso della prima puntata. Stupro su di un palcoscenico ai danni di una ragazza vietnamita pochi giorni prima della fine della guerra, che conosceva la sua vera identità e non lo ha denunciato.
Il buco nero è dovuto ad un trauma che il ragazzo ha subito durante la sua infanzia, quando ha visto un francese con la faccia di Downey Jr. (ancora) e gli occhi azzurri come i suoi approfittare di sua madre ogni mese non si sa bene dietro quale accordo. Con questo ricordo probabilmente la miniserie vuole suggerirci come il padre del Capitano possa essere proprio quel così familiare uomo francese. Se ciò fosse vero allora si spiegherebbe con l’origine tossica il motivo per cui il ragazzo è stato spinto per tutta la vita a combattere la propria dualità.
Ancora nella memoria risiede la soluzione all’ultima prova della rieducazione. Per superarla bisogna saper rispondere ad una semplice domanda: “Che cosa c’è di più prezioso dell’indipendenza e della libertà?”. Il Capitano sa benissimo la risposta o, almeno, un tempo era sicuro di saperla, ma non gli viene più in mente, fino a quando, semplicemente, sussurra “niente”. Test finito, ora il nostro può considerarsi rieducato, ma non indipendente né tanto meno libero. Questa consapevolezza lo invade come invade il suo amico mascherato. Mẫn, il quale non ha infatti mai voluto il Capitano tornasse in patria, perché convinto a buona ragione che non si sarebbe mai riuscito a reintegrare se non rinunciando alla sua natura. Un esercizio che, dopo anni di guerra, non vale la pena fare.
Il Capitano quindi scappa dal campo con la complicità del suo amico salvando anche Bốn. I due poi si imbarcano per fuggire di nuovo dal Paese, destinazione “chissà dove” e con il 50% di arrivare. Il Simpatizzante si chiude con il protagonista dagli occhi azzurri, rivoluzionario anche davanti al niente, che guarda la riva da cui sta partendo. Lì, in lontananza, i fantasmi di tutti quelli che sono morti durante la guerra, che esigono di essere ricordati quando chi alla fine sopravvivrà riuscirà a riscrivere e a ricominciare.