Charlie Kaufman è un autore sicuramente particolare, schivo e introverso che ha portato la propria condizione, spesso rappresentativa di quella umana, al centro dei propri lavori. Dopo aver scritto film live action che mescolavano realtà e fantasia come Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee e Se mi lasci ti cancello, quest’ultimo Oscar alla miglior sceneggiatura originale, ha sperimentato l’animazione per adulti con Anomalisa, aggiudicandosi il Leone d’argento – Gran premio della giuria al Festival di Venezia. Quasi dieci anni dopo torna all’animazione, questa volta per bambini (almeno in apparenza) e su Netflix, piattaforma con la quale aveva già collaborato per Sto pensando di finirla qui. In streaming dal 2 febbraio, Orion e il buio questa volta non è un soggetto originale ma è basato sull’omonimo libro illustrato di Emma Yarlett, anche se il target non è necessariamente solamente infantile, come vedremo nella recensione, e da Kaufman non potevamo aspettarci niente di diverso.
Viaggiare col buio…
Orion e il Buio (in originale Orion and the Dark) segna il ritorno della DreamWorks dopo la sorpresa Troppo cattivi, lo sperimentale e bellissimo Il Gatto con Gli Stivali 2, il nuovo e meno coraggioso Ruby Gillman – La ragazza con i tentacoli, il sequel Trolls 3 – Tutti insieme e in attesa del quarto Kung Fu Panda. Questa volta siamo in streaming su Netflix, da una sceneggiatura come dicevamo di Charlie Kaufman, l’esordio alla regia di Sean Charmatz e la voce narrante nientemeno che di Werner Herzog. Voce narrante data l’importanza dello storytelling per l’autore e in particolare per la trama di questo film.
Orion è un ragazzo dotato di una fervida immaginazione, che tende a concentrarsi sempre sullo scenario peggiore possibile, finendo per avere terrore di qualsiasi cosa. Non sembra voler affrontare le proprie paure, non solo verso i compagni di scuola che lo bullizzano, ma anche quella innata verso il buio, nonostante la pazienza e il calore dei genitori. Una notte però – anzi, per la precisione 24 ore, 12 di luce e 12 di buio – la conoscenza proprio con quel mostro sotto il letto, o dentro l’armadio, o dietro la porta che dir si voglia, ovvero il Buio del titolo, sottoforma di gigante che si può “vedere” solamente in assenza di luce, potrebbe cambiare la sua percezione e prospettiva sul mondo e sulle proprie paure. O forse no.
…per arrivare alla luce
Il film d’animazione Netflix vuole provare a raccontare una delle paure più ancestrali dell’uomo, andando alla ricerca del suo significato più esistenziale e della sua causa scatenante – proprio come Kaufman è solito fare nei propri lavori, sedendosi sulla sedia dello psicoterapeuta e aprendo il taccuino, riempiendolo di dialoghi e teorie. In fondo Orion e il buio ci vuole comunicare proprio il potere dello storytelling, che non rimane mai uguale a se stesso ma cambia continuamente. Il potere delle storie, narrate e tramandate per via orale nel corso degli anni e delle generazioni, non è solamente una preziosa eredità ma può trasformarsi anche in una fonte di grosse sorprese.
Diventa così l’arma più potente contro le paure dell’uomo, che inventa queste storie proprio per dare un senso ed una logica a ciò che non riesce a spiegare razionalmente. Il perfetto antidoto contro i capricci e le idiosincrasie del nostro inconscio. C’è anche il tema del doppio nella pellicola, o meglio delle due facce della stessa medaglia: Luce e Buio sono visti erroneamente come rivali e non come due elementi complementari, dato che senza l’uno non potrebbe esistere l’altro. Il film diviene così pregno di livelli e di significati, ricolmo di timori esistenziali, e da Kaufman in fondo che altro potevamo aspettarci, nonostante l’apparente target prettamente infantile. Coinvolgendo anche piani temporali e spaziali inaspettati che rendono ancor più complessa (e appassionante, vedi ultima parte) la trama. Forse troppo.
Semplicità e complessità
A livello di animazione l’utilizzo scelto da Sean Charmatz per la sua opera prima per il comparto tecnico si avvicina a quanto fatto con la Laika in ParaNorman (il protagonista lo ricorda molto) mescolata a Ruby Gillman, ma la forza sembra essere affidata maggiormente ai dialoghi, ai temi di cui si fanno portatori piuttosto che alle immagini per raccontarli allo spettatore. Non convincono infatti appieno le caratterizzazioni date alle entità della notte, compagni di viaggio di Buio, che ricordano un po’ troppo le emozioni di Inside Out. Risulta invece interessante a livello visivo il lavoro fatto proprio sul co-protagonista, che ricorda il Gigante di Ferro per certi versi.
Buio viene rappresentato infatti come un gigante scuro e apparentemente invisibile ma anche come rivale invidioso di Luce, che tutti amano e lodano istintivamente, facendolo sentire poco apprezzato e irragionevolmente temuto. Il protagonista invece diviene, come già capitato nella filmografia di Kaufman, un suo alter ego, e il film una sorta di terapia catartica per sé stesso prima ancora che per il pubblico. Non c’è, purtroppo, grande sperimentazione ibrida tra animazione classica in 2D e moderna in 3D come era stato fatto nel seminale Gatto Con Gli Stivali 2. Peccato aver intrapreso un’altra strada e non aver colto pienamente nel segno con questa pellicola.
Chiudiamo la recensione di Orion e il buio sottolineando come si tratti di un film d’animazione complesso e stratificato ma che si fa troppa forza del proprio comparto narrativo piuttosto che di quello visivo, risultando non sperimentalista e non coraggioso come avrebbe potuto essere. Interessanti i livelli psicologici e filosofici messi in campo, che rendono il target anche adulto e non prettamente infantile, ma che a volte si perdono proprio nella loro complessità.
- Il protagonista, alter ego di Charlie Kaufman, e la voce narrante di Werner Herzog.
- L’importanza delle storie come arma contro la paura.
- I piani temporali e spaziali utilizzano…
- …che però rischiano di incartarsi su se stessi.
- La caratterizzazione delle entità notturne.
- Troppa attenzione ai dialoghi rispetto alla controparte animata, poco sperimentale.