Argylle – La superspia, recensione: Matthew Vaughn torna al cinema con una spy story arrogante

Aspettavamo il ritorno di Matthew Vaughn da tre anni, da quando aveva deciso di raccontarci un prequel della sua serie di maggior successo – a oggi anche l’unica, in realtà – ossia Kingsman. Un concentrato di azione, colpi di scena, avventura al cardiopalma, tutto incentrato su delle figure che potrebbero rientrare benissimo nel novero dei James Bond moderni, con tutti gli stereotipi della spia pronta all’azione. Lo aspettavamo, questo ritorno, perché Vaughn ha un suo stile cinematografico che non può non essere riconoscibile, ha quella firma aggressiva ed esplosiva che gli permette di essere, nel suo approccio surreale alle dinamiche d’azione, unico. Così, dopo aver vestito di tutto punto delle spie a difesa del mondo, adesso il regista britannico ha deciso di condurci in un thriller infarcito di tematiche di spionaggio con il suo stile inequivocabile: vi raccontiamo che film è Argylle – La superspia.

Lo scrittore è un indovino

Elly Conway (Bryce Dallas Howard) è una affermata scrittrice di romanzi del genere spionaggio: arrivata al quarto volume con protagonista Argylle (Henry Cavill), la sua superspia assistita dal fedelissimo Waytt (John Cena), si appresta ad accontentare tutti i suoi fan con la scrittura di quello che dovrebbe essere il capitolo conclusivo della saga. Introversa, schiva, poco propensa alle attività mondane, vive in un cottage sul lago insieme al suo gatto, Alfie, e i suoi libri, e le sue idee. Durante la scrittura dell’ultimo capitolo del quinto libro, però, convinta dalla madre a poter dare di più, decide di prendere un treno per raggiungere i genitori: durante il viaggio, però, sarà costretta a vivere un’avventura che renderà reale tutto ciò che lei ha sempre scritto nei suoi romanzi, scoprendo che le sue potrebbero essere doti di indovina, oppure qualcosa di più.

Vaughn riesce, con il supporto della sceneggiatura di Jason Fuchs, a rendere un intreccio narrativo molto semplice carico di colpi di scena, forse alcuni abbastanza prevedibili, ma comunque ben centellinati e gradevoli. L’utilizzo che fa sin da subito di alcuni elementi in grado di distrarre lo spettatore, lo portano a creare un mondo nel quale non ci si può fidare di nessuno e così come fa lo spettatore allo stesso modo fa Elly nel film: più grande è la spia, più grande è la bugia, è il payoff di tutti i romanzi dell’autrice. Tutti i personaggi coinvolti riescono ad avere un secondo volto, forse anche troppe volte: un andirivieni che ci mette nelle condizioni di non capire, fino in fondo, chi sta facendo il doppio gioco e chi no, soprattutto nei momenti conclusivi del film, in cui tutti i nodi dovrebbero venire al pettine. Al di là di questo, però, quando Vaughn va a seminare alcuni elementi per riuscire a venire a capo dell’intreccio è inevitabile che si finisca per apprezzare quanto impegno ci sia stato nella costruzione dell’intero intreccio. Soprattutto nel momento in cui una qualsiasi rivelazione sul plot rischierebbe di rovinarvi i colpi di scena. Eppure, vi assicuriamo, non è tanto la sceneggiatura ad attirare di questo film, nonostante qualche battuta sagace, in grado di scatenare anche delle risate di buon gusto, ma il modo in cui il tutto viene messo in scena.

Un’esplosione di musica e colori

Abbiamo parlato di quel marchio stilistico inequivocabile, facilmente riconoscibile, ed eccolo di nuovo qui. Sin dalle prime inquadrature, dalle prime scene, Vaughn riesce a farci capire dinanzi a che tipo di film siamo: non sono due ore e poco più di scazzottate, ma siamo dinanzi a un tripudio di inseguimenti, di pickup che inseguono una motocicletta (guidata da Dua Lipa) sui tetti delle case della Grecia, buttando giù qualsiasi costruzione in cemento (a questo punto, in cartongesso forse). Tra sparatorie in cui tutti sono in grado di sopravvivere e i protagonisti non vengono mai colpiti, Argylle in quanto film ha sempre modo e tempo per scherzare su quelle che sono le dinamiche dello spionaggio, forse anche con una vena di ironia: schiacciare la testa a un nemico a terra diventa un passo di twist, sparare a un partner diventa un diversivo solo perché lo scrittore arriva a essere onnisciente. Ma dopo questa esplosione di pura arroganza scenica, Vaughn decide, nell’ultimo atto del film, di spingere ancora più su l’asticella.

Sulle note di Run di Leona Lewis, i due protagonisti, Elly e Aiden (Sam Rockwell) si lasciano andare in un ballo a suon di granate fumogene che impregnano l’aria e la scena con colori caleidoscopici, accompagnando a ogni passo di danza, a ritmo di musica, uno sparo o una smitragliata. Quella scena, della durata di una manciata di minuti, diventa un tripudio di beltà scenica, concedendo a Vaughn un momento di cinema totale, che finisce per regalare un culmine anche alla sceneggiatura, che fino a quel momento aveva seminato in varie occasioni la questione riguardante il ballo, rinnegandolo e poi accogliendolo nel miglior modo possibile. A qualcuno potrà sembrare puro onanismo scenico, totalmente ridondante per quello che era l’obiettivo della coppia, ossia la salvezza, ma lo stile di Vaughn è proprio questo: rendere scenicamente appariscente anche la più semplice e banale delle azioni da compiere, per evidenziare quella cifra stilistica che gli appartiene. D’altronde già in Kingsman 2 avevamo avuto occasione di assistere a una buona commistione tra musica e recitazione, grazie all’iconica scena di Take Me Home, Country Roads di John Denvers.

E in questo Argylle non si sottrae mai a una serie di esperimenti registici che riescono a darci a volte anche delle soggettive, soprattutto nei momenti in cui la camera decide di giocare con le palpebre dei protagonisti, magari prima di addormentarsi: è un espediente per saltare le parti noiose, per lasciarci godere solo dei momenti topici. Tra riprese dall’alto, lusso sfrenato di jet privati, hotel di prim’ordine, è sempre negli stunt che Vahghn trova la sua arma preferita, perché sin dai tempi di Kick-ass è indubbio che la sua più grande qualità è quella di costruire scene che nella realtà sarebbero impensabili, infarcite anche di un’ironia tutta sua nei confronti del felino Alfie, presenza costante dell’intera pellicola. Accanto a lui un cast corale di altissimo livello: Sam Rockwell è il vero mattatore del film, capace di vestire i panni della spia ma allo stesso tempo dell’amante disincantato e pronto a sacrificare tutto per riavere ciò che gli è stato tolto. Non da meno Bryan Cranston, sempre più calato nel miglior modo possibile nella parte dell’antagonista bramoso di potere: ha fatto scuola Walter White, insomma. Non c’è niente fuori posto, nemmeno il cameo di Dua Lipa, per quanto duri davvero poco.

Sembra tutto perfetto, insomma, ma è chiaro che stiamo parlando di un film che si rivolge a un pubblico molto giovane, desideroso di guardare qualcosa che non solo ha durata forse eccessiva, inficiata dal fatto che la sceneggiatura si arrovella su sé stessa con l’andirivieni di cui parlavamo poc’anzi, ma che ha anche un plot abbastanza fumoso. D’altronde le spie di Argylle non hanno un vero e proprio obiettivo, ma sembra che debbano rispondere delle proprie azioni in qualche modo, agendo solo in funzione del fatto che prima hanno agito in un modo non gradito a qualcun altro: insomma, qualcosa di abbastanza ridondante e inutilmente verboso, soprattutto in quelle che sono le spiegazioni fornite. Con pochi dialoghi realmente affascinanti, con la maggior parte delle battute sagaci affidate al personaggio di Sam Rockwell – quello scritto meglio – è scontato dirvi che Argylle è un film di azione che non nasce per fare la storia del cinema, ma per intrattenere e divertire con grande serenità.

65
Argylle - La superspia
Recensione di Mario Petillo

Se volessimo essere aggressivi nei confronti di Matthew Vaughn potremmo dirgli che di film in film non è cambiato mai, non ha deciso di far progredire la propria cifra stilistica: è evidente, però, che quello è il suo timbro, questa è la sua volontà, che si perpetra di film in film così da darci delle avventure sempre molto arroganti, aggressive. Non vi diremo che questo è il quarto film uguale di seguito del regista di Kingsman, ma nemmeno che si distanza di troppo: sempre di spie parliamo, sempre di contrasti super segreti da sventare parliamo. Però stavolta l'obiettivo di Vaughn è quello di raccontarci un intreccio più psicologico, mettendoci dinanzi a un risvolto di trama che sembra essere più convincente dei non-misteri di Kingsman. Approcciate Argylle con l'obiettivo di vedere un film scanzonato e farvi qualche risata dinanzi a una CGI usata in maniera non proprio perfetta e con l'arroganza di un regista che vuole sfiorare l'assurdo: vi darà qualche soddisfazione.

ME GUSTA
  • Delle scelte registiche affascinanti
  • Matthew Vaughn ha uno stile esplosivo, unico
  • Un cast corale che non sbaglia una virgola
FAIL
  • La trama è un andirivieni di schieramenti
  • Il plot di partenza è abbastanza debole
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