Wonka, la recensione: la magia si cela dietro il nome

Wonka

Il cinema è veramente il luogo dove tutto è possibile. Dove i sogni possono diventare realtà, la bontà può cambiare il mondo e il cioccolato costa così poco che tutti se lo possono permettere, anche se fa volare, ricrescere barba e capelli e regala un’autostima tale da conquistare la donna dei propri sogni. O risparmiare diversi soldi quando si vuole uscire a fare serata al bar con gli amici (mai esagerare, mi raccomando). Come realizzare tutto questo? Creando un’attività che abbatta i costi di produzione, che punti tutto sulla condivisione con l’altro e, soprattutto, sia improntata sulla spirito di immaginazione. Pensate quanto sia incredibile il fatto che un film con questi valori lo abbia fatto una major hollywoodiana nel 2023.

Nella recensione di Wonka, in sala dal 14 dicembre con Warner Bros., vi parliamo della pellicola con protagonista l’attesissima nuova versione del famigerato Willy ideato dal genio di Roald Dahl e portato in scena nel 1971 da Gene Wilder e nel 2005 da Johnny Depp. Il progetto è stato affidato a niente meno che a Paul King (la mente dietro Paddington, una delle più importati commedie per famiglie degli ultimi anni), che per l’occasione torna a far coppia in sede di scrittura con il sodale Simon Farnaby, mentre il futuro capo de La fabbrica di Cioccolato ha il volto del divo Timothée Chalamet. Guida di un cast d’eccezione che definire azzeccato è poco, composto da Calah Lane, Olivia Colman, Tom Davis, Keegan-Michael Key, Sally Hawkins, Paterson Joseph, Hugh Grant, Rowan Atkinson e Jim Carter.

Il cinema è veramente il luogo dove tutto è possibile.

L’impianto primitivo del film basterebbe a renderlo una straordinaria classica fiaba cinematografica per grandi e piccini impreziosita dalla magia eterna che permea il musical dall’alba dei tempi. L’operazione in questo senso è infatti ottima da qualsiasi punto di vista la si guardi, ma King, come è solita la sua scrittura, decide di spingersi oltre, anche correndo il rischio di sovraccaricare un intreccio da coming of age classico con una sovrastruttura politica che va anche oltre l’irresistibile tentazione (per un creativo) di raccontare il miracolo che si cela dietro la creatività.

In questo intento Wonka beneficia del fatto di poter riuscire a dividere i suoi compiti, raccontando più storie che, man mano che il minutaggio avanza, si alternano sul proscenio, riuscendo poi a legare tutto nel terzo atto grazie soprattutto ad un collante estetico tale da riuscire a catturare lo spettatore sin da subito, catapultandolo in un magico mondo senza nome, ma dalla personalità strabordante, senza lasciarlo andare più via.

Cambiare il mondo

Willy Wonka (Chalamet) è un eccentrico mago, inventore e cioccolatiere, che ha passato gli ultimi 7 anni in giro per il mondo per perfezionare la sua arte in modo così immersivo da aver totalmente sottovalutato la possibilità che imparare a leggere gli sarebbe potuto servire nella vita. Il suo scopo è quello di realizzare un sogno espresso insieme a sua madre quando era solo un bambino. Lo stesso che lo ha portato in una città famosa (un po’ Londra, un po’ Monaco di Baviera) per i suoi straordinari negozi di cioccolato.

All’apparenza un posto meraviglioso, da cui il ragazzo viene velocemente fagocitato al punto da cadere vittima di una truffa da parte di una mefistofelica locandiera (Colman) e il suo totalmente antigienico assistente (Davis), a causa della quale si trova indebitato per diecimila corone in neanche 24 ore, costretto a lavorare per quasi 3 decadi nella lavanderia del terribile duo. Come se non bastasse la sua immaginazione viene totalmente castrata dai terribili magnati “cioccolatosi” (affiliati pure con la Chiesa), che prima lo umiliano e poi lo mettono al bando grazie al capo della polizia (Key) da tempo sul loro libro paga, corrotto, come tutti, a suon di cioccolatini.

Il suo scopo è quello di realizzare un sogno espresso insieme a sua madre quando era solo un bambino.

Wonka

L’amara realtà non può che essere combattuta con la dolcezza dei prodotti di Wonka, che attirano l’orfana Noodle (Lane), un’altra schiava della locanda maledetta, la quale decide di aiutarlo per vendere il suo cioccolato magico al mondo intero e liberare così dal giogo del debito, sia loro che gli altri sfortunatissimi avventori. E perché i prodotti di Willy, semplicemente, fanno bene alla gente: essi sono in grado di far vedere la speranza anche nelle situazioni più drammatiche.

Un bene inestimabile che ogni persona deve poter assaggiare per cambiare la propria realtà. Ambizioni difficilissime da realizzare senza contare le forze del male citate poco sopra e un piccolo omuncolo con la pelle arancione e con i capelli verdi (Grant), che non vuole saperne di smettere di rubare le creazioni de signor Wonka.

Il nome è la firma

Paul King riprende l’idea del protagonista outsider che vede il mondo con un’ingenuità così disarmante da essere prima respinta dalla realtà circostante e poi risultare incredibilmente vera. Dei personaggi in grado di stupire lo spettatore con la loro visione bohémien e convincerlo che sono loro ad avere ragione. Persino in un mondo fondamentalmente ultracapitalista (tutte le relazioni sono misurate tramite denaro o cioccolato) basta mostrare alle persone come cambiare e loro lo faranno (c’è un passaggio con i fenicotteri che dice proprio questo). Un meccanismo classico che il cineasta di Chicago conosce estremamente bene e che basta da solo a portare a casa la fiaba per famiglie.

In questo caso di fattura estremamente pregevole, nel suo comparto scenografico, nelle sue straordinarie citazioni alle pellicole eterne della golden age (da Gene Kelly a Chaplin) e nelle coreografie, nell’eleganza della messa in scena, nell’uso delle canzoni e nella scelta degli attori. Wonka ha nel suo spirito musical l’intenzione di riprendere il discorso linguistico di Gracey e Hooper coniugandolo con un immaginario che guarda a cineasti rigorosamente eleganti e che spesso lavorano in contesti filmici che hanno una visione più corale che individualista.

Un meccanismo classico che il cineasta di Chicago conosce estremamente bene e che basta da solo a portare a casa la fiaba per famiglie.

Wonka

La straordinarietà della scrittura di Wonka sta proprio in questo. Essa, pur avendo in bella vista il nome (ma su questo ci torniamo) del suo protagonista, vive di una evoluzione collettiva. Un meraviglioso utilizzo del musical, che è un genere che permette di rappresentare in modo performativo l’evoluzione di ogni personaggio, riproponendo una meravigliosa coniugazione tra grande schermo e palcoscenico sempre difficile da mettere in scena.

L’ensemble è eccezionale nel lavorare insieme e la scelta di mischiare gli attori come tanti ingredienti permette a Chalamet di esaltare il suo fare istrionico, senza appesantirlo con compiti ulteriori (tant’è che i momenti in cui pecca sono quelli in cui si ritrova a duettare con un Grant irresistibile come Umpa Lumpa in versione crociera anni ’80) e, anzi, inserendolo in una rete di storie dove può spesso e volentieri essere un alieno tra i terresti (soprattutto quando a prendersi la scena è un’altra storia di formazione), chiudendo così il cerchio intorno all’idea tematica dietro il titolo.

“Wonka” non è Willy, “Wonka” è il marchio. “Wonka” è l’idea dietro la cioccolata, interpretata attraverso una persona eccezionale. Una narrazione di marketing trasformata in una splendida favola per tutti in cui si racconta di un genio visionario in grado di soppiantare il vecchi tromboni che si spartiscono il mondo, schifano i poveri, se ne fregano delle istituzioni e, in extrema ratio, sommergono chi di dovere con il proprio patrimonio. In questo senso il film di King  può essere inserito nella lista di quelle pellicole che prendono proprietà intellettuali (in questo caso di fantasia) per costruirci sopra una narrazione in modo efficacissimo con il plus di poter vantare un sincerità tangibile sia nella sua parte formale che contenutistica. Vedremo se la pellicola avrà il seguito che diversi sue parenti, anche se non proprio prossime, hanno riscontrato.

Wonka arriva in sala dal 14 dicembre con Warner Bros.

75
Wonka
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Wonka è la nuova pellicola di Paul King basata sul famoso personaggio di Roald Dahl, stavolta portato in scena da Timothée Chalamet, affiancato da un cast d'eccezione composto da Calah Lane, Olivia Colman, Tom Davis, Keegan-Michael Key, Sally Hawkins, Paterson Joseph, Hugh Grant, Rowan Atkinson e Jim Carter. Un musical elegantissimo che sfrutta in modo magistrale l'idea primitiva che muove le storie di formazioni per grandi e piccini confezionando una pellicola efficace nel suo essere classica e contemporanea. Quest'ultimo aspetto viene incoraggiato dalla scrittura dalla volontà collettiva, in cui si tenta di rileggere l'attualità da cattivo capitalismo ribaltando l'idea dell'individualismo fine a stesso, ma premiando l'idea di condivisione e fantasia. Da sottolineare perché questo aspetto poteva appesantire molto il film, che invece, al netto di qualche incastro non riuscitissimo, tiene bene.

ME GUSTA
  • La messa in scena è straordinaria.
  • Il cast è azzeccatissimo e Chalamet è in parte.
  • La confezione da fiaba classica è ottima.
FAIL
  • La scrittura a volte si appesantisce della volontà di avere un carattere politico.
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