Cento anni. Cento anni sono veramente tanti, alcuni direbbero che si è molto fortunati ad arrivare ad un’età del genere. Quello che è certo è che cento anni non sono abbastanza per smettere di sognare. Probabilmente la fortuna reale è proprio arrivare a cento anni così, con ancora un desiderio così grande all’interno del proprio cuore. Magari uno che riguardi anche chi verrà, che nasce mosso dalla voglia di lasciare qualcosa al prossimo, magari ispirarlo. Un desiderio simile a quello che ha la Disney, che fa cento anni ed è molto fortunata.
Nella recensione di Wish, in sala da noi dal 21 dicembre 2023 con Walt Disney Pictures, vi parliamo della pellicola con la quale la leggendaria casa di produzione di Burbank ripercorre se stessa, scegliendo di raccontare l’origin story della stella che è sempre stata il suo simbolo (la stessa già comparsa in Pinocchio) per celebrarsi con i piedi attaccati alla tradizione e lo sguardo rivolto verso l’orizzonte. A dirla tutta si tratta del secondo progetto creato per lo storico anniversario dopo il cortometraggio Once Upon a Studio, disponibile su Disney+. Senza contare tanti altri prodotti, eventi e titoli (se vi interessa trovate tutte le info qua).
Cento anni. Cento anni sono veramente tanti, alcuni direbbero che si è molto fortunati ad arrivare ad un’età del genere.
Una pellicola destinata dunque a passare alla Storia a prescindere dai suoi meriti (o demeriti) cinematografici e destinata dunque a rappresentare un grande onere per chiunque fosse stato scelto per portarla alla luce. Chiunque che in questo caso è il duo composto dal veterano Chris Buck (Premio Oscar per Frozen – Il regno del ghiaccio) e dalla debuttante alla regia Faw Veerasunthorn (storyboardista di Moana, Zootopia e proprio Frozen e head of story di Raya e l’ultimo drago), inedito, ma allo stesso tempo incredibilmente adatto perché rappresentante in pieno l’intenzione che muove questo 62esimo classico: far dialogare passato e futuro.
Nel nome di questa conversazione viene ideata l’intera parte estetica della pellicola, che ha nel suo registro d’animazione una felicissima commistione tra 2D e 3D, in modo da richiamare sfondi, sequenze e colori classici, modernizzandoli. La trama, piuttosto cervellotica in realtà, è quella di un film più scritto rispetto ai precedenti, pensato per asservire pienamente al suo compito editoriale. Tutto ruota intorno alla creazione di una favola moderna che tenta di ripresentare i topoi classici disneyani (c’è addirittura li ritorno di un cattivo) all’interno di un contesto aziendalista e super citazionista (non poteva essere altrimenti), riservando comunque un finale di grande impatto e significatività.
Attento a ciò che desideri
Wish non poteva che basarsi sul concetto di desiderio, mettendolo in relazione al sogno e all’utopia che è in ognuno di noi. Il film ci dice che i sogni sono ciò che ci fa vivere, ci fa alzare la mattina e ci fa compiere grandi imprese. Poi però sovverte questa visione, presentandoci un reame governato da un potentissimo mago che ha deciso di fondarlo per poter accogliere tutti, senza distinzione alcuna, con la promessa di sollevarli dal peso dei sogni. Il ribaltamento sta infatti nell’idea che i sogni possono far compiere grandi imprese, ma possono anche causare un dolore enorme se poi non si dovessero realizzare.
Il mago Magnifico, traumatizzato da un destino simile, ha deciso di votare la sua vita a proteggere gli altri da questa possibilità e ha acquisito i suoi poteri straordinari con il solo scopo di custodire i sogni di tutti gli abitanti del suo regno, eleggendosi però sia a giudice che giuria, dato che solo a lui in questo modo è riservata la facoltà di poterli realizzare. Insomma, oltre ai sogni si è rubato anche il libero arbitrio.
Wish non poteva che girare intorno al concetto di desiderio, mettendolo in relazione al sogno e all’utopia che è in ognuno di noi.
Questo fino a quando Asha, una giovane guida turistica locale, nel giorno del centenario di suo nonno, ancora in attesa che il suo desiderio venga esaudito, tiene un colloquio per divenire l’assistente del re. La ragazza riesce in questo modo a scoprire la parte oscura di un sovrano all’apparenza benevolo, quando invece vive nella follia e nella negazione totale, tutto il contrario della visione della ragazza, nonostante i due siano accomunati da un dolore passato.
Con un gesto di ribellione la giovane si rivolge quindi al cielo notturno che guardava con il padre ed esprime un desiderio che si avvera con l’arrivo di Star, una stella che rivelerà la realtà delle cose ad Asha, spingendola a combattere per avverare il suo sogno.
La fiamma dell’ispirazione
Wish parte da una soluzione di trama piuttosto complessa e inizialmente anche abbastanza debole, che si salva con l’ingresso di Star (simbolo della magia creativa di Walt Disney stesso) e il ritorno su dei binari molto canonici e molto usati nella tradizione disneyana. Tutto è fondamentalmente organizzato sul doppio: la doppia percezione del desiderio, la doppia natura del regno, la doppia identità del suo re e via dicendo.
Una volta terminato il primo atto comincia la storia di formazione in cui il sogno è adoperato come mezzo per trovare la propria strada nella vita fino ad arrivare ad una conclusione collettiva dalla valenza in un certo senso anche politica. “I sogni son desideri di felicità” (quanto tempo fa la Disney ce lo ha detto?) a cui tutti hanno diritto, ma per cui bisogna lottare con le unghie e con i denti, anche a cento anni, quando il tuo sogno è quello di ispirare altri. L’ispirazione è la luce che può cambiare il mondo. La luce della Casa di Topolino nello specifico. Il messaggio arriva forte e chiaro.
Wish parte da una soluzione di trama piuttosto complessa e inizialmente anche abbastanza debole, che si salva con l’ingresso di Star (simbolo della magia creativa di Walt Disney stesso) e il ritorno su dei binari molto canonici e molto usati nella tradizione disneyana.
In mezzo c’è tutta la parte metacinematografica, in cui la pellicola cita in maniera più o meno esplicita (soprattutto esplicita) i classici del passato (vi potete veramente divertire a trovarli) attraverso personaggi, dialoghi, soluzioni di trama ed inquadrature, ripercorrendo in modo quasi postmoderno anche delle scelte narrative, specialmente per quanto riguarda il grande uso che se ne fa nelle parti musicali.
Eppure è ciò che è velato che desta la maggior suggestione. Wish è un racconto che si racconta (ripetizione voluta) più volte all’interno di sé, attraverso la letteratura, il disegno, l’animazione tradizionale, ma anche attraverso le prime forme di cinema (la lanterna magica, le ombre cinesi), tracciando una strada evolutiva che ha segnato la storia della Settima Arte e la storia della Disney medesima. Un segno di eternità, che la casa di produzione pone all’interno di una storia che parla innanzitutto di creazione, che vuole celebrare il passato e parlare alle nuove generazioni affermando il proprio peso sul presente.
Wish arriva nei cinema il 21 dicembre 2023 con Walt Disney Pictures.
Wish è il 62esimo classico Disney e festeggia il centesimo anniversario della leggendaria casa di produzione di Burbank. Una pellicola dunque storica a prescindere e che cerca di trovare la sua dimensione ideale attraverso una postura che la vede stare con i piedi nella tradizione e con lo sguardo rivolto verso il futuro. Un’intenzione sottolineata dal duo alla regia, composto da Chris Buck e Fawn Veerasunthorn. La pellicola racconta una storia di formazione che vuole esprimere a gran voce il messaggio che ha sempre mosso le fondamenta disneyane ripercorrendo parallelamente i momenti classici della favola. Lo spunto della trama è in realtà piuttosto cervellotico, ma essa è infine in grado di arrivare al punto in maniera dritta da quando riesce a rimettersi su dei binari già rodati. Quello che conta è la sua natura meta, supercitazionista e autocelebrativa, in cui si intravede l’intenzione di rimarcare il proprio ruolo anche nel mondo attuale.
- Funziona la commistione di registri a livello di animazione.
- La storia di formazione di una creatrice è ottima.
- Ci sono dei passaggi citazionisti quasi postmoderni molto interessanti.
- Il messaggio di fondo arriva forte e “a gran voce”.
- Lo spunto della pellicola è cervellotico e inizialmente piuttosto debole.
- La pellicola è totalmente asservita al suo messaggio.
- Si corre il rischio di non avere un cuore del tutto formato.
- Ci sono dei momenti citazionisti veramente troppo didascalici.