Questa settimana è stato ufficializzato, anche in Italia, il nuovo tariffario dei prezzi dell’abbonamento a Disney+, la piattaforma di streaming on-demand di Disney. Per la prima volta, l’offerta del servizio è stata declinata in tre proposte e la più costosa di fatto va ad includere tutti i perk precedentemente inclusi nell’unico piano previsto.
In breve, gli abbonati si ritroveranno davanti a due scelte: pagare la stessa somma per avere di meno, oppure pagare un po’ di più per mantenere la qualità di riproduzione in 4K e soprattutto la visione senza interruzioni pubblicitarie. 11,90€/mese contro gli 8,90€/mese previsti in precedenza. Si tratta del secondo aumento del costo dell’abbonamento da quanto è stato lanciato il servizio nel 2019.
Di recente, dopo aver aumentato il costo dei suoi abbonamenti più e più volte, anche Netflix ha introdotto alcune novità impopolari, a partire dallo stop alla condivisione delle password; inoltre, il piano Base è stato sostituito da un nuovo piano Base supportato dalle pubblicità. A partire dal 2024, anche Disney+ cambierà le sue policy sulla condivisione degli account.
La “rivoluzione” dello streaming ci conviene ancora?
L’annuncio di aumenti di prezzo è diventato ormai un rituale a cadenza pressoché annuale per la maggior parte dei servizi in streaming. Il caso più emblematico probabilmente è proprio quello di Netflix, che dai 15,99$/mese richiesti nel 2019 per il piano Premium è passato agli attuali 22,99$/mese. Un aumento del 43,84% in appena quattro anni.
Un appuntamento a cadenza fissa, si diceva. Il sospetto – pericolosamente vicino ad una certezza – è che per quando uscirà la prossima stagione di Stranger Things (prevista per il 2025), l’abbonamento Netflix Premium sarà diventato ancora più costoso di quanto non sia oggi.
Ma fino a dove possono spingersi le grandi aziende dell’intrattenimento. O, meglio ancora, fino a dove dovranno spingersi per riuscire a mettere un business, quello dello streaming on-demand, in condizione di produrre finalmente utili a fronte di costi esorbitanti e un’improvvisa incapacità di conquistare nuovi abbonati con i ritmi che avevano accompagnato il settore nelle sue prime fasi di vita?
Netflix ha già superato la soglia psicologica dei 20 dollari (17,99€/mese in Italia), quanto ci vorrà ancora prima che anche gli altri servizi competitor – da Apple TV+ a Paramount, passando per Disney+ – raggiungano tariffe simili?
Secondo Paul Erickson, fondatore di Erickson Strategy & Insights intervistato da The Verge, c’è una buona notizia: è evidente che presto o tardi i prezzi raggiungeranno un prezzo limite oltre il quale non si potrà più andare salvo perdere milioni di iscritti. La cattiva notizia è che non ci siamo ancora. “Penso che quel momento sia ancora molto distante e che affronteremo ancora diversi rincari in futuro”.
Tornando alla domanda precedente: non ci vorrà nemmeno poi così tanto prima che anche le altre aziende decidano di aumentare il costo dei loro abbonamenti portandolo al livello di Netflix.
“Netflix ha guidato l’industria occupando il ruolo del fratello maggiore nel mondo dello streaming. Ha avuto molti anni per sperimentare con le sue fasce di prezzo, tipi di contenuto e nuove funzionalità”, scrive Emma Roth sempre sulle pagine di The Verge.
Le altre aziende – continua Erikson – guardano attenzione quello che fa Netflix. Vedono come reagiscono gli abbonati ai nuovi aumenti di prezzo e allo stop alla condivisione delle password. “Se Netflix lo fa, allora gli altri competitor si sentono moralmente autorizzati a fare altrettanto”.
E poi c’è la pubblicità
A partire dal 2021, Netflix ha introdotto negli Stati Uniti un nuovo piano economico supportato dalle interruzioni pubblicitarie. Si chiama Piano Base con Pubblicità e ora, anche in Italia, ha sostituito completamente il vecchio Piano Base. Insomma, chi vuole risparmiare e non è interessato alla riproduzione in 1080p o 4K ora deve obbligatoriamente supportare brevi spot di 15 o 30 secondi prima e dopo la riproduzione dei contenuti. In totale, si parla di 4 o 5 minuti di pubblicità per ogni ora di visione.
Inizialmente, l’iniziativa di Netflix non era partita con il piede giusto. Ma le cose sono cambiate rapidamente: non solo il numero di iscritti al piano con pubblicità è in aumento, ma Netflix si è accorta che guadagna più soldi dagli abbonati che guardano le pubblicità rispetto a quelli senza. Si parla di circa 8,50$ di ricavi pubblicitari extra per singolo abbonato.
Non stupisce allora che, fedelmente al pattern descritto da Erikson, anche Disney+ abbia appena introdotto un abbonamento con pubblicità anche in Italia. Costo: 5,99€/mese.
Proprio l’introduzione delle pubblicità è diventata la bacchetta magica dei colossi dell’intrattenimento per assicurarsi di poter alzare l’asticella dei prezzi senza perdersi per strada quell’importante fetta di pubblico che non può o non vuole pagare 20€ al mese per guardare le ultime puntate della sua serie TV preferita.
Pubblicità, prezzi alle stelle e addio alla condivisione dell’account con gli amici. Ma se quella dello streaming doveva essere una rivoluzione per il meglio, come mai sempre più spettatori si sentono presi in giro? Nel frattempo negli USA c’è chi rimpiange la TV via cavo, e altrove più di qualche utente ha iniziato a far pace con l’idea di aggiornare l’antivirus e fare slalom tra un pop-up e l’altro, per accedere in luoghi del web che aveva giurato non avrebbe mai più visitato.