L’anatomia di una caduta, la recensione: una Palma d’oro meravigliosa

Anatomia di una caduta

Che meraviglia la Palma d’oro di Cannes 76Una pellicola da manuale per qualsiasi studioso dell’evoluzione di genere, che riesce a piazzare una struttura a prova di bomba regolata secondo delle parti pensate per mangiarsi volta per volta quella precedente, come ogni thriller che si rispetti. Anche se la nuova pellicola di Justine Triet non è un thriller, né un giallo propriamente detti, quanto un film che usa una commistione di generi (ce ne è uno che predomina sugli altri in realtà) e registri linguistici differenti per dar vita alla vivisezione di un caso che è anche un dramma di coppia e che è, in ultima istanza, anche una prova di una sceneggiatura, motivo per il quale riesce a coinvolgere lo spettatore in modo totalizzante. E pensare che il lavoro precedente della regista non era granché.

Nella recensione di Anatomia di una caduta (una citazione cristallina ad Anatomia di un omicidio di Otto Preminger), presentato in anteprima alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma, sezione Best of, e nelle sale italiane dal 26 ottobre 2023 con Teodora Film, vi parliamo di una delle pellicole dell’anno, arrivata proprio nel finale, con una scrittura fantastica, una messa in scena che utilizza il controcampo con grande sapienza e con al centro due interpreti pazzeschi, come Sandra Hüller (protagonista anche de La zona d’interesse, presentato anche questo sulla Croisette nel 2023, qui la nostra recensione), un habitué della Triet, e il piccolo Milo Machado Graner.

Che meraviglia la Palma d’oro di Cannes 76!

Una pellicola che parla di poteri nelle relazioni tra donne e uomini, di come il vissuto di ognuno di noi non è comunicabile solamente pensando alla ricostruzione cronologica e di come la verità può essere talmente sfuggente e sottile che è possibile si possa annidare tra ciò che è reale e ciò che solamente oggetto della fantasia. E di come a volte siamo proprio noi che siamo ciechi di fronte ad essa, forse perché non pronti a poterla accogliere o non è utile farlo.

Non basta l’occhio al dettaglio, non basta la rievocazione, non basta tornare sui proprio passi, non basta neanche riascoltarsi o rivedersi. Non è mai possibile avere un’interpretazione univoca che possa restituirci la storia di un vissuto o di due vissuti che si intrecciano.

Storia di un triangolo familiare

In un (delizioso) chalet situato sulle montagne innevate vicino Grenoble vive la scrittrice tedesca Sandra Voyter (Hüller) insieme al marito scrittore ed ex professore Samuel Maleski (Samuel Theis) e il figlio ipovedente Daniel (Graner). La incontriamo mentre è intenta a rilasciare un’intervista ad una studentessa a proposito del suo metodo di scrittura, scoprendo fin da subito come la donna sia ben poco interessata a parlare di questo, quanto distrarsi da una vita quotidiana, che però irrompe sulla scena sottoforma di un brano sparato a volume altissimo dal marito, che, al piano di sopra, lo sta ascoltando. L’intervista si interrompe, la studentessa se ne va. Pausa.

Siamo all’esterno dell’abitazione, in mezzo alla neve, in compagnia di Daniel e di Snoop, il cane che è anche i suoi occhi. I due giocano per un po’ e poi tornano a casa, scoprendo, appena fuori dall’uscio, il cadavere di Samuel, all’apparenza morto a causa dell’impatto con il terreno occorso in seguito ad una caduta dall’ultimo piano del (delizioso) chalet. È caduto per sbaglio? Si è buttato? È stato spinto da qualcuno? È scivolato? L’unica cosa certa è che in casa con lui c’era solo la moglie.

Anatomia di una caduta

In un (delizioso) chalet situato sulle montagne innevate vicino Grenoble vive la scrittrice tedesca Sandra Voyter insieme al marito scrittore ed ex professore Samuel Maleski e il figlio ipovedente Daniel.

Come unica imputabile Sandra finisce presto sotto i riflettori di un caso che da subito si preannuncia come dal grande fascino per i media, anche grazie allo status del bambino, unico testimone possibile, ma anche testimone che non può esserlo del tutto, e ago della bilancia, in quanto causa della crisi di coppia che potrebbe essere all’origine della tragedia, per la ricerca di una verità che diventa più fantomatica man mano che si procede.

Crisi di coppia che emerge durante un processo durissimo in cui l’unica sentenza che sembra farsi strada tra le menti dei componenti della giuria (e anche nella nostra) è l’impossibilità di arrivare ad una certezza tale da poter dire anche solamente se l’imputata o la vittima fossero effettivamente delle persone innocenti o colpevoli rispetto a quello è accaduto. Nonostante la vivisezione che si opera, quasi scientificamente, per essendo in un’aula di tribunale.

Non esiste una verità univoca

L’assenza che diventa più importante della presenza si manifesta sin da subito in Anatomia di una caduta con l’irrompere in scena della versione strumentale di P.I.M.P., la canzone che Samuel mette a tutto volume per disturbare la presenza, che è legata a Sandra. L’inizio di un duello rusticano che segna tutta quanta la vicenda e che rende alla fine vittima ideale il piccolo Daniel, posto proprio a metà tra le due dimensioni.

La Triet porta in scena il marito attraverso la rievocazione, fisica solamente in dei flashback, rispettando tutti i canoni del giallo e concedendosi di sporcare la sua regia canonica con delle trovate più documentaristiche, da registrazione casalinga, oppure affidandosi alla visione mediatica. Poi arriva il courtroom (che non è il legal) e tutto quello che c’è stato prima viene completamente ribaltato, smentito, rielaborato e attacco, anche grazie ad un avvocato accusatore interpretato con una ferocia veramente conturbante. Una prova straordinaria di riscrittura che sorprende sempre lo spettatore fino a portarlo completamente da un’altra parte. 

Anatomia di una caduta

L’inizio di un duello rusticano che segna tutta quanta la vicenda e che rende alla fine la vittima ideale il piccolo Daniel, proprio a metà tra le due dimensioni.

Il rappresentante del pubblico nel film è ancora Daniel e il suo / nostro alleato è il cane Snoop, i cui occhi diventano gli occhi dell’innocenza che fanno le veci di quelli del bimbo e, alla fine, forse quelli rivelatori della direzione di una pellicola che, pur parlando di un procedimento giudiziario a seguito di una morte sospetta, si scopre totalmente disinteressata ad arrivare ad una sentenza. Il suo scopo è  infatti riscontrabile nel processo in sé e non nel suo esito.

Bellissimo, lo diciamo ancora, questo Anatomia di una caduta. Teso, incalzante, soggiogante nel suo continuo rivelarsi strato dopo strato, impegnato in un percorso che porterà chi guarda a rendersi conto che non c’è una chiave di lettura risolutoria a quello a cui ha assistito. L’unica verità che probabilmente conta è che la vita non ma è così semplice da poter trovare una sola verità per leggerla. Frase ad effetto riuscita a metà.

Anatomia di una caduta è disponibile nelle sale italiane dal 26 ottobre 2023 con Teodora Film.

80
Anatomia di una caduta
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Anatomia di una caduta è la bellissima Palma d'oro di Cannes 76. La nuova pellicola di Justine Triet con protagonisti Sandra Hüller e Milo Machado Graner è uno straordinario esempio di scrittura che riesce a mischiare generi e soluzioni registiche rileggendo costantemente la sua struttura da thriller / giallo e riuscendo, tramite la lingua processuale, a parlare di matrimonio, di rapporti di potere, di ambizioni e di genitorialità. Un opera molto scritta e molto dialogata che mettendo in scena la complessità di una vita familiare ci mette di fronte al fatto che non esiste una realtà univoca, che possa risolvere un'equazione e che abbiamo le stesse possibilità di vederla di un bimbo ipovedente.

ME GUSTA
  • Le prove degli attori sono eccezionali.
  • Il modo in cui gioca con i generi e i registri visivi.
  • La capacità di rileggersi e riscriversi costantemente.
  • Il modo in cui utilizza il cinema come strumento rivelatorio dell'inesistenza di una realtà univoca.
FAIL
  • Una pellicola che esige un attenzione particolare e che propone una soluzione complessa.
  • Non adatta a chi non digerisce bene il cinema soprattutto dialogato.
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