Iron Dome: come funziona il sistema di difesa antimissile dello Stato d’Israele

Il conflitto arabo-israeliano si è risvegliato dopo un periodo relativamente lungo di quiete. Le immagini che ci sono arrivate dalla regione mediorientale sono state drammatiche. Il cielo di Gaza era continuamente dominato dai razzi Qassam: venivano lanciati dalle postazioni militari di Hamas verso le città di confine israeliane, come Sderot. Solo nella prima settimana i gruppi palestinesi ne hanno sparati oltre tremila.

Israele ha risposto con una serie di operazioni militari di una violenza sconcertante, distruggendo armi, depositi, obiettivi strategici e bombardando la complessa rete di tunnel costruita da Hamas nel corso degli anni. Nel farlo ha mietuto anche centinaia di vittime civili. I bollettini dei media e delle associazioni umanitarie ci lasciano ogni giorno un racconto degli orrori, con liste di vittime innocenti sempre più lunghe.

Nonostante l’intensità degli attacchi palestinesi, l’asimmetria delle vittime e dei danni è evidente. Mentre scriviamo questo articolo, dall’inizio dei conflitti sono oltre 200 le vittime palestinesi nella striscia di Gaza. Quelle israeliane sono 12.

Lo si deve anche, e forse soprattutto, all’Iron Dome,la “cupola di ferro”, un complesso ed avanzato sistema di misure anti-missile mobili in grado di neutralizzare i razzi provenienti dalla striscia di Gaza. È stato annunciato nel 2007 per poi diventare operativo nel 2011.

Vista l’unicità degli scontri tra Hamas e Israele, e in particolare l’asimmetria tra gli arsenali delle due forze e la prossimità della minaccia, si tratta di un sistema unico nel suo genere, progettato appositamente per intercettare e neutralizzare razzi e mortai a corta e media gittata. Altri sistemi, come l’americano Patriot System, sono progettati per i missili balistici a lungo raggio — una minaccia che il sistema israeliano delega ad altri strumenti, come gli Arrow 2 e 3.

Come funziona Iron Dome

L’Iron Dome è in grado di eliminare i colpi di mortaio e i razzi a bassa e media gittata con una precisione impressionante. Si divide in diverse batterie mobili: Israele ha la possibilità di riadattare la propria strategia difensiva, mobilitando le postazioni a seconda delle necessità.

Un radar di scoperta identifica la minaccia comunicando i dati ad un’unità chiamata BMC – acronimo di Battle Management & Weapon Control: il cervello elettronico dell’Iron Dome calcola la traiettoria e la velocità del razzo e quindi decide se è il caso d’intervenire: se il razzo ha la seria possibilità di raggiungere un’area densamente popolata o un obiettivo militare strategico, il sistema si mette in moto.

Il calcolo avviene in una frazione di secondi. A quel punto l’unità di lancio missili spara un missile Tamir con l’obiettivo di far esplodere il razzo palestinese prima che possa raggiungere la sua area d’impatto. I Tamir viaggiano ad una velocità più elevata dei razzi palestinesi, il sensore di prossimità opera una volta raggiunta un’area di circa sette metri dal razzo nemico, attivando l’innesco e neutralizzandolo.

Come funzionano i missili intercettori Tamir (via aljazeera.com)

Le batterie dell’Iron Dome sono in grado di calcolare la traiettoria dei razzi palestinesi, facendo partire il missile intercettatore solo se esiste il rischio che possa colpire un’area abitata o un obiettivo miltiare.

A differenza dei razzi Qassam – nomignolo usato, spesso impropriamente, per chiamare gli strumenti offensivi di Hamas -, i missili Tamir hanno un’alta componente tecnologico: sono dotati di un sensore elettro-ottico, oltre che di alette mobili che gli permettono di modificare e correggere la sua traiettoria in volo.

Un’infografica della BBC illustra il funzionamento dell’Iron Dome

Abbiamo notizia di almeno dieci diverse unità di lancio distribuite per il confine israeliano. Ogni unità è equipaggiata con venti missili Tamir.

Il numero di israeliani uccisi o feriti durante il conflitto sarebbe estremamente più alto se non fosse stato per il sistema Iron Dome, che anche in questa occasione ha dato prova di salvare delle vite

ha detto il Tenente Colonnello Jonathan Conricus, uno dei portavoci dell’esercito israeliano.

Secondo la BBC, che cita fonti israeliane, l’Iron Dome è stato in grado di intercettare oltre il 90% dei missili lanciati dalla Striscia di Gaza negli ultimi didici anni.

Il dibattito sulla precisione dell’Iron Dome

Ma proprio quest’ultimo è in realtà un dato estremamente dibattuto. Sulla reale efficacia del sistema anti-missilistico si discute fin dalla sua entrata in servizio nel 2011.

La critica è che Israele approfitterebbe della scarsa capacità offensiva dei razzi di Hamas per gonfiare i successi della sua rete anti-missile, facendo propaganda.

Un articolo del New York Times si era posto la questione già nel lontano 2013. «Nessun sistema difensivo ha un’efficacia del 90%», aveva ad esempio tuonato Philip E. Coyle, già alto funzionario del Pentagono statunitense. Stime più recenti, complice anche l’aumento della precisione dei razzi palestinesi, rivedono il numero mantenendolo comunque ampiamente sopra l’80%.

Più drastica la tesi di Ted Postol del MIT, come riporta in Italia Inside Over, rivista specializzata in geopolitica e questioni militari: una sua ricerca attribuirebbe alla cupola di ferro un’efficacia drasticamente più bassa, tra il 6 e 12%. Postol sostiene che perché i Tamir siano in grado di neutralizzare le minacce palestinesi sia fondamentale che l’impatto sia di tipo frontale.

L’Iron Dome è progettato per neutralizzare i rudimentali razzi a bassa gittata storicamente associati all’arsenale di Hamas, ma il gruppo terroristico negli ultimi hanno ha aumentato progressivamente la sua capacità d’offesa, dotandosi anche di armi a maggiore gittata. Con gli anni l’efficacia, reale o presunta, del sistema di difesa antimissilistico potrebbe scendere ulteriormente.

Come ha spiegato in questi giorni lo specialista Jean-Loup Samaan a Vox, esiste poi la concreta possibilità che l’Iron Dome non sarebbe in grado di gestire un serio tentativo di saturazione – un enorme numero di razzi sparati simultaneamente -, o un attacco su due fronti, ad esempio da Gaza e dal sud del Libano.

Del resto, l’Iron Dome non è l’unica misura di difesa predisposta dallo Stato d’Israele, che può contare su un’ampia rete di bunker a difesa dei cittadini, oltre al fatto che – per legge – ogni abitazione è dotata di una safe room, un’area protetta e costruita in modo tale da resistere anche ad attacchi molto violenti. A volte tutto questo non basta, come testimonia un tragico episodio avvenuto lo scorso venerdì, quando un razzo palestinese è riuscito a superare ogni misura di difesa ed ha colpito direttamente un’abitazione provocando la morte di Ido Avigal, un bambino israeliano di cinque anni.

 

Il costo dell’Iron Dome

Ogni missile Tamir costa oltre ventimila dollari, alcune stime parlando di ottantamila dollari per missile. Per contestualizzare questo numero, un razzo di Hamas come i Qassam-3 in genere costa attorno ai 500$-800$. I razzi più sofisticati, con una gittata più ampia, difficilmente superano qualche migliaio di dollari.

Ogni volta che l’Iron Dome rileva una minaccia credibile facendo partire un missile i contribuenti israeliani spendono decine di migliaia di dollari, a cui si sommano i costi di gestione. Alcune fonti attribuiscono ad una singola intercettazione un costo di centomila dollari.

Ovviamente è stato richiesto un enorme investimento in ricerca e sviluppo. A questo vanno aggiunti anche i costi per ogni unità  – quindi radar, centro di controllo e lanciatore mobili: circa 50 milioni di dollari l’una.

Intercettare un singolo razzo palestinese ha un costo elevatissimo.

Gli Stati Uniti si sono dimostrati degli alleati formidabili nel sostenere, almeno in parte, i costi delle difese israeliane. Solamente nel 2012 l’amministrazione Obama ha finanziato il progetto con 225 milioni di dollari. Più recentemente gli Stati Uniti d’America hanno deciso di ordinare diverse batterie dalla Rafael, la stessa azienda che ha prodotto quelle dell’Iron Dome. Le prime due sono state consegnate lo scorso settembre.

Esiste anche un fattore temporale, che non va ignorato. Produrre un singolo missile intercettatore richiede molto più tempo di quanto i palestinesi spendano per i loro razzi.

Per questo gli attacchi di Hamas, nonostante i danni contenuti, hanno la capacità di logorare lo Stato Israeliano. Non è solo una questione economica: ogni volta che nelle città israeliane suonano le sirene, la vita si ferma completamente. I cittadini devono correre nei bunker o nelle aree blindate delle loro abitazioni, vivendo nella paura di perdere la loro vita o quella dei loro cari.

Alcune testate minori israeliane chiedono il superamento dell’Iron Dome, o quantomeno che venga affiancato a soluzioni più moderne e meno costose. I sistemi di difesa laser oggi non sono fantascienza e in passato lo stesso Stato d’Israele ha preso seriamente in considerazione di usarli per potenziare le sue difese.

La stessa Rafael nel 2020 ha fornito ad Israele un sistema di difesa chiamato Keren Barzel, o Iron Beam, dei potenti cannoni laser che sono progettati per intercettare le minacce a cortissimo raggio, fino ad un massimo di 7Km. Ci sono degli enormi vantaggi: dai costi per singola intercettazione, irrisori, ad una maggiore efficacia contro i droni. Il nuovo sistema non può sostituire l’Iron Dome e non è pensato per questo scopo, quello che può fare è integrare le difese pre-esistenti offrendo protezione contro minacce per cui i Tamir non sono pensati. Sempre sui cannoni laser si basa anche il Drone Dome, sempre della Rafael e sempre pensato per abbattere gli UAV di dimensioni più piccole.

 

 

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