Giornata Mondiale per la lotta alla sepsi: consapevolezza e dati

Oggi, 13 settembre, come ogni anno, il mondo si unisce per celebrare la Giornata Mondiale per la lotta alla sepsi, nota come World Sepsis Day. Questa iniziativa globale, giunta alla sua undicesima edizione, ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza pubblica sulla sepsi e di migliorare la sua prevenzione, riconoscimento e gestione clinica. In Italia, il Ministero della Salute continua a sostenere questa campagna promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

La sepsi rappresenta un grave problema di salute pubblica, non solo nei Paesi in via di sviluppo ma anche nei paesi industrializzati, compresa l’Italia. La sua definizione, formulata nel febbraio 2016 dall’European Society of Intensive Care Medicine e dalla Society of Critical Care Medicine, la identifica come una disfunzione d’organo potenzialmente letale causata da una risposta inadeguata dell’organismo a un’infezione. La sepsi può verificarsi in risposta a un’infezione che danneggia tessuti e organi, portando a shock, insufficienza multiorgano e, se non viene riconosciuta e trattata tempestivamente, alla morte.

Alcuni individui sono più a rischio di sviluppare la sepsi, tra cui quelli con malattie croniche ai polmoni, al fegato o al cuore, persone senza milza o con un sistema immunitario compromesso, bambini di età inferiore a un anno e adulti sopra i 60 anni. In particolare, i pazienti con patologie oncologiche hanno un rischio di sepsi dieci volte superiore rispetto a quelli senza tali malattie. Il fumo di tabacco è anch’esso un fattore di rischio poiché aumenta la probabilità di infezioni respiratorie.

A livello globale, si stima che ogni anno ci siano tra 47 e 50 milioni di casi di sepsi, ma solo il 20% di essi si verifica in ambiente ospedaliero. La sepsi è associata al 20% dei decessi mondiali, con almeno 11 milioni di morti all’anno, equivalente a una morte ogni 2,8 secondi. Inoltre, fino al 50% dei sopravvissuti alla sepsi sperimenta effetti a lungo termine noti come sindrome post-sepsi, che comporta sequele fisiche, cognitive e psicologiche persistenti, con tempi di recupero che possono richiedere mesi o anni.

Nei paesi industrializzati, il 40% dei casi di sepsi colpisce bambini di età inferiore a cinque anni. Questa condizione può causare il 3-4% dei decessi neonatali nei paesi industrializzati e addirittura fino al 24% nei paesi in via di sviluppo. Ogni anno, nel mondo, si registrano circa 680.000 decessi neonatali dovuti alla sepsi, con un rischio particolarmente elevato in alcune nazioni, tra cui India, Pakistan, Nigeria, Congo e Cina. La sepsi neonatale può anche provocare gravi manifestazioni cliniche e deficit irreversibili a lungo termine.

In Italia, il numero di certificati di morte associati alla sepsi è aumentato significativamente da 18.939 nel 2003 a 49.010 nel 2015, rappresentando dal 3% all’8% di tutti i decessi registrati nel paese durante questi anni. La sepsi è una sfida persistente che richiede un impegno continuo per aumentare la consapevolezza, migliorare le pratiche di prevenzione e garantire una gestione clinica tempestiva per ridurre il suo impatto devastante sulla salute umana.

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