Il Castello Invisibile, recensione: Keiichi Hara non replica il successo del romanzo

Il Castello Invisibile è stato un fenomeno editoriale. Mizuki Tsujimura in Giappone ha venduto oltre un milione e mezzo di copie con il suo romanzo, tanto da guadagnarsi sia un adattamento manga in cinque volumi che adesso anche un lungometraggio, in arrivo a settembre in Italia con un evento di tre giorni (11-12-13 settembre) grazie ad Anime Factory. Con una storia votata a un pubblico giovanile, un target ben specifico, la capacità di Tsujimura è stata quella di andare a sviscerare tematiche che oggi più che mai arrivano a essere attuali, conquistando l’attenzione di un vasto pubblico non solo di giovani, ma anche di adulti interessanti a comprendere qualcosa in più su un mondo che spesso sentono distante e incomprensibile. Abbiamo avuto l’opportunità di guardare in anticipo il film, doppiato in lingua originale e sottotitolato in italiano, quindi non abbiamo avuto la possibilità di tastare con mano l’interpretazione dei doppiatori italiani e dei quali non parleremo, al momento.

L’emarginazione scolastica giapponese

La giovane Kokoro ha deciso di non frequentare più la sua scuola: lo fa perché il solo pensiero di recarsi quotidianamente in aula, tra persone che la maltrattano e si prendono gioco di lei, la fa star male. A volte è un mal di pancia somatizzato, altre volte ce l’ha davvero. Fatto sta che Kokoro oramai di uscire di casa non ne vuole sapere, tantomeno riesce a trovare giovamento da quella struttura di sostegno che la madre sta provando a fornirle per superare le sue preoccupazioni. La sua è una vicenda che sembra prossima a sfociare nell’essere una hikikomori, ma all’improvviso uno specchio della sua stanza le apre un passaggio segreto verso un castello. Al suo interno troverà altri sei suoi coetanei che vivono le stesse problematiche e che hanno deciso di abbandonare la scuola per le angherie subite. Il luogo magico all’interno del quale trovarsi ha, però, delle regole che vengono dettate da una ragazzina che indossa una maschera da lupo: oltre a esserci una chiave nascosta da qualche parte nel castello che garantisce un desiderio da esaudire a chi la troverà, l’intero luogo può essere visitato solo dalle 9 alle 17 del fuso orario giapponese; inoltre, una volta trovata la chiave ed esaudito il desiderio, tutti i ricordi che appartengono a quanto accaduto nel castello svaniranno per sempre.

Le regole imposte all’interno del castello sono i perfetti espedienti narrativi per mettere in difficoltà i sette protagonisti, che mentre lottano con le loro problematiche di vita sociale e reale, si devono ritrovare a compiere importanti scelte anche con chi, come loro, sta già subendo angherie all’esterno. Non c’è alcuna volontà di mettersi l’uno contro l’altro, anzi il gruppo finirà per fraternizzare in maniera molto attiva, ma con grande lentezza. I temi che si esaltano in questa narrazione partono dall’incomunicabilità che serpeggia tra i vari ragazzi, che scopriranno soltanto alla fine una sorprendente realtà su loro stessi, tenuta celata solo perché nessuno ha avuto la capacità di aprirsi al prossimo. In questa continua non-narrazione Il Castello Invisibile riesce a mettere a nudo tutte le problematiche di una generazione che sta soffrendo, non solo in Giappone ma in tutto il mondo. Immediatamente dopo la narrazione insiste su quei twist narrativi che devono tenere lo spettatore ben attento sulla vicenda senza scadere in una ripetitività di fondo che potrebbe condizionare una vicenda che concede una valvola di sfogo a dei ragazzini bullizzati. Il vero problema risiede nel fatto che l’intera storia non ha nessun tipo di mistero da svelare e tutto ciò che viene rivelato alla fine cade dal cielo senza che potesse esser stato seminato nel corso del film: non saremo mai spinti a domandarci dell’identità della ragazzina con la maschera da lupo, tantomeno degli altri personaggi, così come ogni scoperta viene banalizzata dall’assenza di un climax che la precede.

Una storia fantasy senza fantasy

Altro aggravante di ciò che il regista ci propone è che il Castello non è altro che un mero setting, senza alcun tipo di contesto. Questa è la più grande occasione persa, perché per rappresentare al meglio il contraltare di una vita noiosa e monotona dei ragazzi si sarebbe potuto andare a creare un ambiente dinamico, giocoso, felice all’interno delle mura del castello, cosa che invece non accade. Gli interni sono tutti resi come salotti arredati in maniera molto umile, quasi spoglia, quando avremmo potuto avere qualcosa di molto più fantasioso o quantomeno aspettarcelo. Tutte le interazioni dei personaggi finiscono per essere dei totali in cui si parla in maniera composta, tutti seduti come se impegnati in un circolo serale. Avere una tale potenza di fuoco nell’animazione e limitarsi a sfruttare qualche inquadratura in primi piani o piani americani è veramente un peccato.

Quello che ci saremmo aspettati dal film non era un riassunto del libro, ma una messa in scena che fosse in grado di trasmetterci un grande impatto visivo. Il Castello Invisibile sarà una grande scoperta per chi al tempo non ha avuto modo di leggere il romanzo di Tsujimura (adesso non di facile reperimento in libreria e online), ma dall’adattamento di Keiichi Hara (molto attento a tematiche legate alla vita in Colorful del 2010) ci saremmo aspettati una capacità evocativa di tutt’altro peso, che andasse oltre la mera prosa e la narrazione dei personaggi e delle loro caratteristiche. A dar supporto al regista c’è comunque un ottimo team per l’animazione, A-1 Pictures, che aveva già lavorato a Sword Art Online ta le altre. Le tematiche da rappresentare, inoltre, per Hara sono le medesime di Colorful, ma in maniera più intensa: la depressione giovanile, il timore dell’esterno, quella vicinanza al diventare hikikomori tornano a essere di estrema attualità, ma tutto finisce per essere una mera trasposizione visiva di ciò che Tsujimura aveva raccontato nel suo romanzo. Soltanto nel finale è possibile notare come l’animazione vada in soccorso di una storia che necessitava di più twist e più climax.

La conclusione de Il Castello Invisibile, d’altronde, arriva a essere il momento più soddisfacente dell’intera visione, proprio nella capacità che uno dei protagonisti ha di leggere l’intera vicenda in un modo del tutto personale, ma funzionale. Quella storia universale assume, così, un’entità soggettiva, molto più singolare, che nelle scene successive, che fungono da epilogo alla storia di Kokoro, si esaltano nei giochi registici voluti da Hara, che gioca con i riflessi degli specchi e nel donarci momenti di grande empatia nei confronti di ciò che è accaduto fino a quel momento e che accadrà dopo. È impossibile non sottolineare, però, come alcune vicende avrebbero meritato maggior approfondimento e contenuto, a partire da ciò che accade ad Aki, una delle ragazze del castello, che rischia una violenza sessuale: nel tentativo di non apparire troppo didascalico, Hara si dimentica di aiutarci a comprendere cosa sta accadendo ed elide dalla narrazione elementi che appartenevano al romanzo, in grado di fornirci una base molto più completa e soddisfacente della caratterizzazione dei personaggi. Un vero peccato, perché l’animazione è di altissima qualità e ci riesce a trasmettere tutta la potenza della narrazione, ma senza riuscire ad andare oltre.

60
Il Castello Invisibile
Recensione di Mario Petillo

Il Castello Invisibile è un'occasione persa: spogliato di tutti quelli che potevano essere elementi fantasy di spessore, a partire dalla caratterizzazione del Castello e del suo essere un luogo di sfogo e di rifugio per chi soffre nella vita vera, il film finisce per essere un riassunto del libro, finendo per eliminare elementi importanti per la caratterizzazione di alcuni personaggi e per comprendere a meglio le loro scelte e decisioni. Resta un ottimo film di formazione con una altrettanto ottima animazione, ma il successo che l'autrice aveva ottenuto andava oltre la mera narrazione di ragazzi con problemi sociali: forniva loro una fuga e un punto di vista diverso, per aprire loro una finestra sul mondo. Quella finestra che lo specchio del film non è stato in grado di trasmettere, mettendo in piedi anche dei misteri privati del loro climax.

ME GUSTA
  • Viene mantenuto il pathos della vicenda
  • L'animazione è di alto livello
FAIL
  • Il Castello è un set spoglio di contenuti
  • Troppi elementi caratterizzanti eliminati
  • Finisce per essere un riassunto del libro
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