Il mio vicino Totoro, l’infanzia sognata

Il mio vicino totoro

Il mio vicino Totoro è un po’ il punto zero del film d’animazione. L’archetipo definitivo di come si possa, in un solo titolo, coniugare la verve autoriale di un’artista che si stava formando e che qui è più palese nelle sue fonti di ispirazione e meno sornione nei suoi spunti originali con la capacità di parlare a tutti.

Forse per questo è stato il film che è divenuto, anche inaspettatamente, il più rappresentativo dello Studio Ghibli, regalandoci la sua mascotte e una porta di accesso più semplice al vissuto traumatico di Hayao Miyazaki, l’elemento cardine che si riaffronta in ognuna delle sue opere. La pellicola del 1988 è, di fatto, il titolo che unì in qualche modo l’immaginario del Maestro giapponese con quello occidentale in modo ufficiale, tanto da portare la Pixar ad omaggiarlo proprio con la presenza del Totoro gigantesco in un film in particolare. Favore che poi fu ricambiato.

Il mio vicino Totoro è un po’ il punto zero del film d’animazione.

Pe quelli delle generazione di chi scrive in realtà la conoscenza della casa di produzione giapponese è avvenuta attraverso La città incantata (o magari Princess Mononoke) perché la distribuzione del titolo è stata incredibilmente tardiva, solo nel 2009 infatti il film riuscì a girare in modo fluido nel nostro Paese.

Un grazie va a Lucky Red, che all’epoca pose rimedio a quella parabola inspiegabile e che questa estate dà la possibilità a tutti di vederlo al cinema dal 10 al 16 agosto, nell’ambito della seconda edizione della rassegna “Un mondo di sogni animati”.

Le bambine di maggio

All’inizio del progetto doveva esserci una sola bambina protagonista de Il mio vicino Totoro e anche il periodo in cui doveva essere ambientato doveva essere un altro rispetto a quello che poi è stato scelto per la storia definitiva.

Mei e Satsuki, le bambine di maggio perché entrambe con nomi richiamanti il quinto mese dell’anno, si trasferiscono in una casa dei fantasmi insieme al papà per avvicinarsi alla mamma, malata di tubercolosi, la stessa malattia che privò Miyazaki della sua nella vita reale.

Un evento che segnò ovviamente per sempre la vita del cineasta, che spesso si è soffermato a raccontare dei fatti incredibilmente drammatici legati ai suoi ricordi con gli ultimi anni di vita della donna. La donna che lui ha sempre tributato in ogni sua pellicola e che qui diventa la rappresentazione della vita promessa per tutto il resto della sua famiglia. Le due bambine vivono in attesa del “domani” (“Mei i suoi domani“), carico di speranze a causa del ritorno di una figura che porta con sé l’accompagnamento all’adolescenza, colei che dolcemente porta via l’infanzia, al contrario di com’è stato per il Maestro, che è dovuto crescere in un modo diametralmente opposto.

Il mio vicino totoro

La donna che lui ha sempre tributato in ogni sua pellicola e che qui diventa la rappresentazione della vita promessa per tutto il resto della sua famiglia.

Secondo una chiave di lettura ovvia il ritorno nella madre altro non è che il ribaltamento favolistico dell’elaborazione del lutto della donna stessa, che è quello per l’infanzia, del sentirsi bimbi, figli, fragili, capricciosi, casinari, giocosi. Del sentirsi Mei e Satsuki. Un lieto fine che insegna come il rientro nella vita famigliare della mamma non è che altro che l’acquisizione e il mantenimento di un ricordo che attraversa le età della vita e che ci accompagnerà per sempre.

I troll, i Totoro, i gatti autobus diventano allora gli spiriti dell’infanzia, che è quella età che permette di guardare oltre le apparenze e trovare riparo nell’anima di quello che ci circonda.

Il mistero dell’infanzia

Il mio vicino Totoro è anche uno dei film più misteriosi di Miyazaki, forse proprio perché è l’infanzia stessa, tra tutte le stagioni della vita, ad essere la più carica di magia, dubbi e potenzialità. Per molto tempo si sono fatte (e in parte si fanno tuttora) numerose speculazioni riguardo i significati nascosti della pellicola, una tra tutti era quella che vedeva le bambine come già morte, cosa smentita più volte dal cineasta stesso.

Quello che è invece è certo è la volontà di Miyazaki di raccontare una storia dal respiro universale, riuscendo a fare un film per bimbi, ma dai messaggi incredibilmente profondi e maturi. Per farlo pesca anche nei classici occidentali, uno tra tutti Le avventure di Alice nel Paese delle meraviglie, citato in modo incredibilmente cristallino nella scena in cui Mei cade nella tana del Totoro o nel sorriso del Gatto autobus, che richiama palesemente lo Stregatto della favola di Lewis Carroll.

L’animazione richiama il realismo solito del Maestro che con il suo team riesce a creare un ambiente rurale sospeso tra l’universo fantastico e uno credibile in modo da porre il bambino come punto in comune tra i due aspetti. Una scelta incredibilmente cinematografica se si pensa alla regola principale della storie di formazione: tutto deve essere narrato secondo il punto di vista del protagonista.

Il mio vicino totoro

Quello che è invece è certo è la volontà di Miyazaki di raccontare una storia dal respiro universale, riuscendo a fare un film per bimbi, ma dai messaggi incredibilmente profondi e maturi.

Infine, un altro aspetto meravigliosamente suggestivo del film è quello di accomunare il percorso di crescita (il ciclo di vita, per meglio dire) delle bambine e degli uomini in generale con quello delle piante. C’è un momento in cui il papà di Mei e Satsuki parla di una fratellanza tra uomini ed alberi in un passato non precisato, senza dimenticare che un altro momento fondamentale della pellicola è il rito con il quale bambini e spiriti, tutti insieme, riescono a farne crescere un esemplare in modo spropositato.

L’energia vitale che è in ognuno di noi e in tutti gli esseri del mondo è inarrestabile. Quello che dobbiamo fare noi è trovare un modo per danzare tutti insieme e celebrarlo.

Così Il mio vicino Totoro chiude il cerchio, divenendo un film che parla dell’elaborazione del lutto, delle necessità di affrontare i dolori e le sfide del crescere e anche una celebrazione della vita. Un film per tutti che diventa un film totale. Come detto in apertura dell’articolo: il punto zero del film d’animazione.

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