Tekken 8, provato: maggior accessibilità per i novizi e maggior spettacolo in casa Bandai Namco

Questa è a tutti gli effetti l’estate dei picchiaduro. A giugno Street Fighter 6 ha mostrato come si può andare a reinventare un brand posizionandosi non solo sull’accessibilità a tutti i costi, ma anche proponendo una mole di contenuti così alta da poter accontentare sia i puristi del fighting game che quei giocatori desiderosi di sperimentare qualcosa di diverso, come la single mode proposta da Capcom. Poi in queste settimane abbiamo avuto l’occasione di lanciarci sia all’assalto dello Stress Test di Mortal Kombat 1 che, adesso, nella closed beta di Tekken 8: ogni titolo prova a dire la sua, prova a trovare il punto forte per dimostrare di avere le qualità che l’altro non può avere, ma allo stato attuale delle cose sembra che la qualità proposta da Street Fighter 6 sia su tutt’altro piano. Se Mortal Kombat, infatti, ha puntato forte su un reboot narrativo e sull’intreccio delle Kombo, Tekken 8 per ora sembra intenzionato a non volersi staccare dal precedente capitolo, confermandosi un more of the same con qualche sparuta aggiunta.

L’esordio dell’Heat

Tekken 8 ci si è presentato con un roster già bello carico, con 16 personaggi a disposizione, tutti iconici oppure introdotti con i capitoli più recenti, come ad esempio Claudio. La struttura di base è traslata dal precedente capitolo, ma chi è di casa, sin da Tekken 3, ritroverà anche le stesse combinazioni di tasti per poter arrivare a usare quelle che sono le mosse note di Bryan, Paul, Jin e tutti gli altri. Dal punto di vista del funzionamento delle combo la variazione si ritrova nell’aggiunta dell’Heat System, la grande novità della ricetta dell’Iron Fist Tournament. Siamo dinanzi a una carica he può essere attivata a proprio piacimento durante ogni round: abbiamo usato non a caso il termine “carica”, perché questa finirà per dare un boost al nostro combattente e renderlo quasi del tutto invincibile. Andiamo per gradi, però: per poter attivare l’Heat ci sono due modalità, la prima è l’Heat Burst che richiede l’utilizzo di una determinata mossa che garantisce una singola carica, il secondo invece è affidato all’Heat Engager, che si può attivare colpendo l’avversario con determinate mosse così da generare due cariche che vi assicurano un bel danno d’attacco. La particolarità dell’Heat, tra le tante, è che non può essere parato (o schivato con movimento laterale) e una volta attivato riesce a infliggere anche seri danni da parata. Questo vi costringerà a dover fare di tutto per difendersi proprio dall’Engager, quindi dalla mossa che vi porterebbe subito in una situazione di svantaggio, anche perché l’Heat premia chi lo usa e in posizione offensiva la sua durata aumenta.

Posto che un sistema del genere andrà sperimentato in maniera molto più capillare quando saremo in sede di recensione, Tekken 8 ha confermato, come se non bastasse già tutto questo aspetto che punta allo spettacolo, anche la presenza delle Rage e delle Rage Arts: per quanto riguarda le prime siamo dinanzi a delle mosse che chi arriva dai precedenti capitoli della serie dovrebbe già conoscere, ma si tratta di essere dinanzi a un aumento di danno che si può attivare quando siamo in una condizione di svantaggio con la nostra salute; le seconde, invece, sono delle mosse di potenza elevata che possono essere attivate nella condizione di Rage. Diremo un’eresia per i pro, ma a volte ci è sembrato quasi più “comodo” attendere di avere poca salute per poter scatenare la nostra Rage Arts e ribaltare l’esito del round. In questo insieme di contenuti Tekken 8 si è presentato molto più votato all’offensiva, come se non ci fosse più tanto tempo per pensare alla difesa o a come evadere dal colpo dell’avversario: meno prese, meno riflessione, solo assalti all’arma bianca (tranne che per Nina, che qualche arma da fuoco ce l’ha sempre) e una potenza sfoderata con quella proverbiale cattiveria che Bandai ha sempre perseguito in questi anni.

Maggior accessibilità, anche per Tekken

L’idea che ci è sembrata trasparire dall’aggiunta di un sistema come l’Heat è che Bandai voglia inseguire, anche in questo caso, un’accessibilità che possa permettere ai neofiti di avvicinarsi il più possibile ai giocatori professionisti, riducendo quel gap che, soprattutto online, spingerebbe la prima categoria a mollare il gioco quanto prima. Il discorso è altrettanto intuitivo e semplice: nel momento in cui mantieni salde le fondamenta di una serie e crei continuità in quello che è il processo del core loop, tutti quei giocatori che da Tekken 6 in avanti si sono ben allenati per diventare dei pro, esordiranno su Tekken 8 con una base tanto forte da potersi affermare subito come campioni; i novizi, a questo punto, tenderanno a scappare a gambe levate dal PvP a meno di non trovare solo altri novizi: scenario improbabile, però. Aggiungere dei sistemi che permettano alla community di vedere i nuovi giocatori agevolati da proposte come l’Heat e le Rage, non a caso attivata in una palese condizione di svantaggio, annulla quel gap di cui sopra e non solo rende più spettacolari gli incontri, ma assicura una durata più longeva al sistema competitivo online.

E proprio parlando di spettacolarità arriviamo a sottolineare che i combattenti di Tekken 8 hanno decisamente puntato forte sulla potenza bruta. Al di là di Paul che è invecchiato abbastanza male, gli altri combattenti si ritrovano ad aver subito una sorta di iniezione di steroidi che li ha resi ancora più pompati di prima. Bryan Fury è l’esempio più lampante, soprattutto ora che il suo occhio bionico gli permette di mirare con quella forza bruta che lo ha sempre contraddistinto, ma non da meno è Kazuya, che si può concedere attacchi a lungo raggio basati sulla propria forza energetica. Continuando su quella che è l’ideologia dell’accessibilità arriviamo a parlare anche del fatto che Tekken 8 ha introdotto una movelist semplificata con tecniche principali di ogni guerriero accompagnate da spiegazioni testuali, così da venire incontro a chi non fosse in grado di andare a interpretare quelle che sono simbologie legate a un pubblico professionista o comunque navigato dopo tanti anni di Tekken.

Sulla falsa riga, poi, di Street Fighter, si è deciso di inserire anche un sistema di 12 sfide che permetterà al giocatore meno esperto (o anche al pro che decide di testare comunque le sue competenze) di affrontare delle gare imposte dalla CPU per apprendere e migliorare le proprie capacità in un crescendo di difficoltà che aiuterà anche l’apprensione di nuove combo e tecniche. E infine, sempre nel rispetto di quanto fatto da Capcom, Bandai introduce anche i controlli semplificati, diversi però da quelli di Street Fighter: se questi ultimi hanno permesso a tutti di eliminare le mezzelune e raggiungere un livello molto più immediato e semplice dell’approccio ludico, Tekken compie una riduzione affidando a un solo tasto l’esecuzione di una combo. Un elemento che, però, svilisce le enormi possibilità che si possono andare a compiere con un moveset così vasto e che dopo qualche sfida sarete subito spinti a eludere, per tornare alla normalità.

Tra rollback e doppia scelta

In questa situazione va da sé che Tekken 8 abbraccia una filosofia che vuole puntare forte sul caos a tutti i costi: i combattimenti sono caciaroni, sono esagerati, sono coadiuvati da dei modelli 3D molto dettagliati e dall’interazione con le arene che esalta ancora di più il mettere al muro un avversario, sia per la possibilità di interagire con gli ambienti (non di usarne gli elementi, ma solo distruggerli) che per come si presentano ai nostri occhi. La nostra prova, comunque, si è concentrata anche su quella che è la struttura del netcode, per capire quanto l’elemento competitivo online potesse essere ben funzionale al sistema messo in piedi: dopo una prima partita di posizionamento con la CPU, che ci ha permesso di capire quale fosse il nostro livello e dove andare a collocarci in una ipotetica fascia di giocatori con le medesime capacità, siamo stati catapultati in quel sistema che adotta il rollback netcode. Lo spieghiamo in maniera rapida, trattandosi di un’intuizione molto gradevole: è un’espediente che rende il gioco molto fluido e lo fa grazie a una tecnologia che prevede alcuni input e li unisce all’esecuzione speculativa, facendo sì che anche in caso di latenza il comando del giocatore arrivi a destinazione nel minor tempo possibile. Insomma, vi dona l’illusione di una latenza zero.

Tekken 8 adotta un sistema ibrido, perché le impostazioni vi chiedono di procedere verso un netcode ibrido e un rollback: dando priorità alla grafica avrete maggior fluidità ta le animazioni, ma avrete un ritardo nella risposta ai comandi; se invece preferirete avere una maggior rapidità di risposta avrete un’esperienza online migliore, ma subirete dei tagli, una sorta di jumpcut, tra le varie animazioni. Su questo aspetto c’è tanto da migliorare, insomma. Al di là di questo, abbiamo trovato gradevole il fatto che nell’attesa del nostro sfidante sia stata confermata una sorta di modalità training che ci permetta di allenare le nostre combo contro un fantoccio della CPU con vita infinita, con annesse valutazioni, percentuali e indicazioni su quelli che sono i danni che stiamo andando a infliggere. Tutti questi aspetti dovranno essere controllati ancora di più in sede di recensione, anche nel momento in cui abbiamo deciso di approvare la volontà di accoppiamenti cross-play (che si può anche declinare) e che il netcode ci permette di raggiungere avversari che si trovano anche oltreoceano.

Non sappiamo di preciso quanto manca ancora a Tekken 8, ma possiamo dire che la situazione è già ben definita e che ci troviamo dinanzi a un prodotto che è prossimo all’essere del tutto completo. Con ancora 6 mesi sicuri di lavoro dinanzi a noi, il team di sviluppo potrebbe anche andare a rivedere parte della struttura del gameplay e del bilanciamento. Non vediamo l’ora, quindi, di andare a scoprire ancora di più cosa ci ha preparato Bandai Namco.

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