Barbie: la storia del simbolo del femminismo e della sua rivoluzione

Nonostante la concorrenza, Barbie fin al sua esordio è rimasta sempre podio, è un mito che ha travalicato il mondo dei giocattoli per bambini, un fenomeno di costume che ha cavalcato l’onda delle trasformazioni culturali.

Le Barbie si salutano con sorriso e gioia, ogni volta incrociano lo sguardo, all’interno del loro mondo Barbieland e niente può cambiare questo status quo. Questo accade nel film di Greta Gerwig, almeno nella parte iniziale della pellicola, e questo accadeva nelle camerette delle bambine dagli anni settanta in poi.

Ciao Barbie
Ciao Barbie

Le avventure con le Barbie hanno rappresentato nella storia dei giocattoli il primo vero multiverso creato dal vivo, dove più Barbie convivevano in varie situazioni, magari incontrando anche personaggi di altri mondi come Big Jim o He-Man per “coinvolgere” anche i maschietti nelle avventure più disparate. Ma quello che sta accadendo alla pellicola record di incassi del 2023 è la riproposizione del primo successo storico della bambola per eccellenza. Sì perché per le bambine di tutto il mondo la “Barbie non è una semplice bambola”. Un concetto che sicuramente potrà essere utilizzato per la pellicola di Greta Gerwig in quanto nonostante i suoi alti e bassi, soprattutto nella parte centrale un po’ confusionaria sul messaggio che vuole mettere in scena, la consapevolezza di aver visto qualcosa che segnerà una generazione è stata palese.

Un film figlio della campagna promozionale infernale? Sì, ma non c’è nulla di cui scandalizzarsi dato che parliamo di uno dei simboli del commercio americano che ha letteralmente rivoluzionato il mondo dei giocattoli. Barbie difatti nasce nel 1959 da un’intuizione di Ruth Handler, moglie del co-fondatore della Mattel, una casa produttrice statunitense che poi diventerà, ad oggi, una delle più grandi potenze commerciali che produce giocattoli e non solo. Negli anni sessanta i giochi per bambine più diffusi erano i bambolotti da cullare e le bambole di porcellana (proprio come si nota nell’incipit del film con citazione a Kubrick). La svolta si ebbe quando Ruth decise di donare alla figlia un gioco con cui potesse immaginarsi nel ruolo di un’adulta, un’operazione di storytelling dove la consumatrice (la figlia di Ruth) doveva rappresentare il fulcro delle idee.

Con un’idea geniale tra le mani la Handler propose al marito di avviare la produzione di bambole rivoluzionarie per l’epoca, ma Elliot non fu capace di cogliere il potenziale di quella che si sarebbe rivelata un’intuizione fortunata. Nonostante il rifiuto, Ruth aveva intuito la grande idea che si nascondeva dietro la “nuova bambola” e, prendendo ispirazione da Bild Lilli, bambola svizzera tratta dai fumetti, creò la prima Barbie – con un ringraziamento alla figlia “Barbara”, il nome della figlia – facendola debuttare sul mercato americano il 9 marzo 1959. La prima Barbie indossava un costume zebrato, aveva un incarnato molto chiaro e capelli neri legati in una coda. Grazie anche alla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti del tempo e alle trasformazioni estetiche e culturali che si sono susseguite nel corso degli anni, Barbie, da giocattolo leggendario, si è trasformata in un modello intergenerazionale.

Un simbolo leggendario per le bambine di tutto il mondo

Alta, bella, bionda, curvilinea, capace di ogni impresa. Iconica. Eternamente giovane. Addirittura Andy Warhol, nel 1986, la portò nel mondo dell’arte, consacrandola immediatamente a icona pop e, al contempo, di femminilità alla pari di Marilyn Monroe. Dopo Warhol anche altri artisti hanno seguito il suo esempio, trovando nelle sue forme il simbolo con cui sintetizzare un intero universo fatto di stereotipi (Margot Robbie nel film) e cliché, di lussi, frivolezze e aspirazioni, condannando l’orizzonte fittizio e più ancora ritenuto limitante, del suo mondo di plastica, ma anche animato da desideri, sogni, fantasie, meraviglia. Ma non solo arte, la Barbie nei suoi primi anni di vita incarnava alla perfezione la rivoluzione delle donne (anche se non sempre è stato così), il suo successo era legato ai look più stravaganti che indossava e alla libertà con cui le bambine potevano abbinare capi e accessori per esprimere la loro creatività. Barbie nasce in un’economia che prospera e che sta all’apice della sua rinascita. La guerra appare ormai memoria lontanissima e ciò che ne è rimasto, la sua industria, si è fatta lezione e cultura del consumo. La classe media negli Stati Uniti sta bene e difatti la bambola inizialmente è rivolta alla classe media, difatti la ricchezza del suo guardaroba, dei suoi accessori, delle sue auto o case sono l’esempio più lampante.

I numeri di Barbie 
Mattel ha stimato che esistono oltre 100.000 collezionisti di Barbie. Il 90% è donna, di un’età media di circa 40 anni, che acquista una ventina di nuove Barbie ogni anno. Il 45% di esse spende oltre 1000 dollari ogni anno per la loro collezione. Le prime Barbie sono quelle che hanno assunto il più alto valore commerciale, e mentre una Barbie nel 1959 veniva venduta per 3 dollari, la stessa Barbie è stata aggiudicata per 3552,50 dollari su eBay nell’ottobre 2004. Le Barbie da collezione Platinum Label sono le più rare e costose, con edizioni limitate a meno di 5000 esemplari. La Barbie by Stefano Canturi: anno 2010, è stata prodotta per una raccolta fondi per la lotta ai tumori. Porta al collo veri diamanti rosa australiani, taglio smeraldo, ed è stata venduta all’asta per $ 302.500 (record assoluto).

La barbie più costosa al mondo

Barbie non è una principessa, anche se il suo mondo è un mondo palesemente ricco, ma si cerca di far passare il messaggio che Barbie potrebbe essere la classica ragazza della porta accanto, quella che molte delle bambine che la riceveranno potranno sognare di diventare. Tuttavia la prima interrogazione fu proprio sullo stereotipo del suo fisico: stando al rapporto di scala 1:6 applicato al suo mondo, Barbie nella realtà sarebbe alta 175 cm, avrebbe 91 centimetri di seno, 46 di vita, 84 di fianchi. La sua bilancia nel 1965 segnava poco meno di 50 chili, in evidente sottopeso (Estratto dal libro “Barbie, la Venere di plastica” di Valeria Arnaldi). E’ l’inizio di una particolare guerra da parte delle femministe che individuavano in quel giocattolo, fino ad allora ben voluto da tutti, il simbolo di secoli di sottomissione, sintesi dei pregiudizi moderni. A rendere ingannevole il messaggio è in primis la “confezione”. L’animo da rivoluzionaria è custodito nel corpo di una pin-up perché Barbie è bella, esageratamente bella, un corpo fin troppo longilineo, ostentatamente sensuale, evidentemente appagata da sé e spensieratamente vanitosa. Una battaglia tuttavia che nasce più dalle esigenze dei genitori di fa riflettere le figlie, che dalle bambine stesse che non hanno mai denunciato le “inesattezze etiche” della propria bambola preferita. E’ per questo che dopo vari decenni la Barbie cambia temperamento e si fa più ambiziosa: diventa medico, astronauta, donna in carriera, un’atleta formidabile, una rockstar e persino presidente degli Stati Uniti d’America.

Diventa un giocattolo ispirazionale per giovani bambine di tutto il mondo

Diventa un giocattolo ispirazionale per giovani bambine di tutto il mondo. E siccome parliamo di ispirazione sempre più i dettagli si sono dovuti modificare in base al mondo di appartenenza. Barbie fa paura ai genitori e agli adulti e dopo che il mondo della moda ha portato con sé l’immagine malsana di canoni estetici impossibili da incarnare, ecco che anche Barbie inizia “fisicamente” a cambiare. La richiesta di un maggiore realismo con il mondo esterno toglie a Barbie il privilegio del suo passo eternamente in punta (uno dei focus principali del film con Margot Robbie) portandola a una terrena, e più anonima, pianta piatta. E la fa uscire sconfitta dalla sfida condannandola ad allargare i fianchi e la vita, togliendole infine anche qualche centimetro di altezza per renderla meno “spaventosa” nella sua irrealtà comunque apprezzata e desiderabile. Anche nel film si cerca di far intendere il messaggio del cambiamento della stessa Barbie. La regista Greta Gerwig attraverso la vita delle bambole racconta i suoi temi radicali in ambito di femminismo che emergono con veemenza e senza nessun giro di parole, specie nel finale che appare conciliante solo al livello più superficiale, ma che alla fine ci fa capire che la lotta tra i sessi non è conclusa e mai si concluderà, che l’utopia sarebbe vivere in un mondo equilibrato dove uomini (Ken) e donne (Barbie) collaborino con i medesimi poteri e invece purtroppo siamo ancora lontanissimi da questa situazione e si dovrà ancora soffrire moltissimo prima di arrivare ad un ipotetico grande equilibrio… se mai ci si arriverà. L’universo di Barbie non si ferma qui: è infinito e non conosce limiti. Ecco che, allora, debuttano sul mercato bambole che rappresentano le donne di tutto il mondo con differenti tonalità di pelle, costumi e forme del corpo, con capelli lunghi, corti o calve, con la vitiligine, con arti artificiali o in sedia a rotelle.

Ecco che, allora, debuttano sul mercato bambole che rappresentano le donne di tutto il mondo con differenti tonalità di pelle, costumi e forme del corpo, con capelli lunghi, corti o calve, con la vitiligine, con arti artificiali o in sedia a rotelle

Un cambiamento che a molti non è mai andato giù, ma che ripercorre invece perfettamente la storia della donna in questi ultimi sessant’anni di lotte e sacrifici, un cambiamento che comunque non rende meno seducente la bambola originaria perché Barbie rimarrà sempre l’icona che molte hanno cercato di oscurare, ma che mai sono riusciti ad avvicinare.

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