Erano ormai più di quattro settimane che andava avanti la trattativa per il rinnovo del contratto tra il sindacato degli attori, SAG-AFTRA (che conta circa 160 mila membri), e l’associazione dei produttori, Alliance of Motion Picture and Television Producers o AMPTP (più o meno 300 studios, tra grandi major, comprese Paramount, Disney, Universal, Sony e Warner e streamer tra i quali Netflix, Apple e Amazon), e, viste le numerose difficoltà per arrivare ad un accordo che potesse accontentare entrambe le parti, si era deciso di stabilire una proroga di ben 12 giorni, ovvero, fino al 13 luglio, per trovare una soluzione.
Alla fine il tempo è però scaduto (il termine era giovedì alle 9:00, ora italiana) senza arrivare a nessun tipo di risultato e dunque, come annunciato dal presidente della SAG-AFTRA Fran Drescher e dal Direttore Esecutivo Nazionale Duncan Crabtree-Ireland si è deciso di indire uno sciopero che è entrato in vigore dalla mezzanotte del 14 luglio. Questo nonostante le speranze di entrambi i rappresentanti degli attori di non arrivare a tanto e riuscire con l’annuncio a suscitare una reazione dall’altra parte.
Qui potete assistere all’intervento integrale della Drescher e di Crabtree-Ireland durante la conferenza stampa convocata a mezzogiorno a Los Angeles:
Cosa succede adesso? Quali sono le motivazioni?
Storia e precedenti
Lo Screen Actors Guild – American Federation of Television and Radio Artists (SAG-AFTRA) è un sindacato americano che rappresenta attori di cinema e televisione, ma anche giornalisti, personalità radiofoniche, cantanti, doppiatori e ormai anche influencer, oltre altri professionisti tutto il mondo. L’organizzazione è stata costituita il 30 marzo 2012, in seguito alla fusione della Screen Actors Guild (cioè la SAG, creata nel lontano 1933) e dell’American Federation of Television and Radio Artists (l’AFTRA, creata invece nel 1937).
Lo sciopero è il primo dal 1980, all’epoca durò più di 3 mesi e iniziò un 21 luglio invece che un 14. Le motivazioni che lo mossero erano un miglioramento delle condizioni salariali dei propri iscritti e la richiesta che una parte dei benefici derivanti dall’home video (VHS all’epoca) e dalla distribuzione tramite le prime pay tv.
Pe trovare un precedente in cui si è assistito ad un fermo contemporaneo di attori e sceneggiatori della WGA, Writer Guild of America (i quali, ricordiamolo, sono in una situazione di stallo dal due maggio scorso), bisogna risalire addirittura al 1960, quando Ronald Reagan era presidente della SAG. In quel caso i partecipanti ottennero delle conquiste fondamentali per lo stato delle professioni come la conosciamo oggi.
Ricostruzione e motivazioni
Quando la WGA è entrata in sciopero in primavera era consapevole (così come la stampa americana e non) che si sarebbe trattata di una battaglia lunga e che sicuramente non avrebbe avuto una reale svolta fino, almeno, ad autunno inoltrato, dato che il listino delle produzioni era comunque abbastanza nutrito da andare avanti per diversi mesi e perché gli sceneggiatori sono notoriamente una categoria di lavoratori dello spettacolo con una potenza di fuoco minore in termini di peso specifico, oltre ad essere anche quella più vicina alla soglia di povertà.
Il piano delle major era quello di non scendere a compromessi (nessuna trattativa c’è più stata infatti negli ultimi mesi) e tirare la corda fino all’estremo per poi portare gli autori a tornare sui propri passi con la coda tra le gambe.
Con lo sciopero degli attori la situazione cambia incredibilmente. In più, il fatto che alcune delle motivazioni di entrambi i sindacati coincidano potrebbe portare a svolte inaspettate fino a qualche giorno fa, quando la Drescher si era dimostrata molto più accomodante e possibilista nei riguardi di un esito positivo della trattativa. Cosa poi non avvenuta, forse perché, giusto ricordare anche questo, la maggior parte dei membri della SAG-AFTRA non sono attori premi Oscar, ma professionisti che vivono con parti minori e magari azzeccando una serie di successo nella carriera.
Il casus belli di maggior rilievo riguarda la questione dei diritti d’autore (fondamentale per il sostentamento degli autori e per la fascia di attori di cui sopra), praticamente ridotti a zero a causa del tramonto di un sistema di calcolo basato sul pagamento delle repliche (le famose royalties), inapplicabile allo stato delle cose data la disponibilità sempiterna dei prodotti streaming. Urge quindi la necessità di un nuovo metodo di regolamentazione.
In seconda battuta c’è la necessità di una limpidezza sull’uso dell’intelligenza artificiale, soprattutto, anche in questo caso, in riferimento alla parte economica e, ancora, ai diritti d’autore. Allo stato attuale delle cose, per esempio, diversi dei volti scannerizzati di comparse e attori minori diventano automaticamente proprietà degli studios.
In più di 4 settimane di trattative si è registrata qualche cedimento da parte delle case di produzione, soprattutto in termini di concessioni monetarie, ma non c’è stato fino ad ora un margine per un cambiamento molto più radicale che gli attori invece chiedono a gran voce.
E adesso?
Adesso rischia di fermarsi tutto.
Le première dei due eventi più attesi dell’estate cinematografica, cioè Barbie di Greta Gerwig e Oppenheimer di Christopher Nolan, sono state anticipate in modo da poter permettere agli attori di partecipare, anche se nel secondo caso dopo la mezzanotte l’intero cast è stato costretto ad abbandonare il cinema di Londra dove si stava svolgendo l’anteprima.
Ricordiamo infatti che non solo è stato vietato agli attori di lavorare sui set, ma anche di partecipare a qualsiasi attività di promozione dei lungometraggi, sia essa live o sul web. Se poi diverse produzioni americane, come ad esempio House of the dragon, o britanniche, come Slow Horses, erano riuscite a proseguire i lavori nonostante lo sciopero della WGA, ora devono invece fermarsi anch’esse. Senza contare le produzioni televisive alle quali partecipano i membri del sindacato, come reality show o quiz prime time.
Rischia molto anche l’ormai imminente Mostra del cinema di Venezia, alla quale non potrebbero partecipare i cast, comprese le grandi star hollywoodiane sulle quali il festival del Lido conta molto, ma non è ancora chiaro se saranno ritirati i film delle major dell’AMPTP, anche se qualche voce al riguardo già circola, dopotutto è difficile promuovere un film da milioni di dollari senza i propri pezzi da novanta.
Senza contare, in ultima battuta (ma non ultima per importanza) la pesante conseguenza che questo sciopero rischia di avere per le sale cinematografiche, già ampiamente provate dalla recentissima pandemia di COVID, e che non potrebbero (almeno non tutte) reggere un ulteriore slittamento di produzione enormi (pensate ai film Marvel già ritardati) e l’assenza di grandi titoli per riuscire a riempirsi.
Parte del sindacato case di produzione, invece? Gli studios hanno visto crollare il loro titolo in borsa (lo citiamo perché la Drescher ha nominato Wall Street nel discorso che potete vedere nell’introduzione dell’articolo) per via del deficit evidente in fatto di promozione dei loro grandi titoli, mentre gli streamer hanno visto riguardarli il fenomeno contrario. Ciò, probabilmente, perché se i film non arrivano in sala, allora il pubblico dove li vedrà? Presumibilmente a casa.