Con l’uscita del quinto capitolo della saga di Indiana Jones ci si interroga sull’importanza di alcuni reperti archeologici famosi come il Sacro Graal e l’Arca dell’Alleanza e quanto le sceneggiature dei film di Spielberg abbiano romanzato la realtà.
È il destino dell’archeologo quello di vedere frustrati anni e anni di lavoro e ricerche.
Quanti sognatori negli anni ottanta pensavano che il lavoro dell’archeologo fosse analogo alla trasposizione più famosa della storia del cinema? In quanti si sono iscritti all’Università di archeologia per calcare le orme del grande Indiana Jones? E’ indubbio che la sua icona ha rappresentato un simbolo universale di una materia straordinariamente appassionante, ma ovviamente molto diversa dall’interpretazione di Harrison Ford.
Per decenni si è creduto quasi che il ruolo dell’archeologo fosse analogo a quello del cacciatore di tesori che con frusta e cappello andava in giro per il mondo alla ricerca di manufatti. Non solo. Oltre al ruolo dell’archeologo la saga di Indiana Jones ha portato alla ribalta la curiosità della ricerca di alcuni reperti, soprattutto quelli legati alla religione cristiana. Ma quanto c’è di vero in quello raccontato nelle pellicole più importanti della storia del cinema d’avventura e non solo? I nazisti, così citati da Spielberg, erano veramente ossessionati dalla ricerca dei manufatti storici legati alla cristianità?
Innanzitutto prima di andare al nocciolo della questione è giusto ricordare che la necessità di metodi precisi negli scavi archeologici s’impose soltanto agli inizi del XX secolo, in quanto fino ad allora l’archeologia consisteva in una specie di caccia all’oggetto e al tesoro (molto similare ad alcune scene di Indy) per arricchire i musei dell’Europa.
Era molto facile in quel tempo trovare all’interno appunto di grandi magazzini o di collezioni private, casse e contenitori riempiti alla rinfusa, dove poi venivano studiati i reperti più interessanti, per poi essere trasferiti nei luoghi preposti. La grande problematica di questi passaggi è che si perdevano per sempre dati preziosi per la ricostruzione degli aspetti meno appariscenti, ma per gli studiosi non meno interessanti, delle civiltà antiche e inoltre, dettaglio non da poco, si rendeva difficile o quasi impossibile riconsiderare l’oggetto nel suo ambiente naturale.
L’archeologo inglese William Flinders Petrie, nel 1890, introdusse lo studio della stratigrafia, della ceramografia e della tipologia archeologica.
Per stratigrafia s’intende la ricostruzione delle diverse fasi di occupazione di una città sepolta attraverso l’osservazione degli strati sovrapposti. La tecnica più recente consiste nel praticare una trincea, un taglio verticale dalla sommità del tell (la collina artificiale formata dai detriti della città sepolta) fino al terreno vergine. Invece per ceramografia s’intende la descrizione dei vari tipi di ceramica che si succedono nei diversi strati dello scavo. Infine per tipologia in archeologia s’intende la correlazione degli strati di diversi luoghi. Questa correlazione viene messa in evidenza dalla convergenza di diversi indizi, come il tipo caratteristico delle costruzioni, dei manufatti e della ceramica.
Questa premessa più scientifica, per fare un piccolo quadro storico e più tecnico dell’archeologia in genere, introduce il secondo quesito che ci portiamo dietro dal buon vecchio Indiana Jones: la ricerca di oggetti di culto religioso. Nei vari capitoli dell’archeologo più famoso di sempre, i nazisti sono alla ricerca del Sacro Graal, la coppa usata prima da Cristo nell’Ultima Cena e poi da Giovanni di Arimatea per raccogliere il sangue di Cristo dalla Croce, dell’Arca dell’Alleanza e in ultimo della Lancia del Destino (ne parleremo all’uscita del quinto capitolo). Questo almeno succede nel grande schermo.
Hitler era ossessionato dai reperti biblici, oppure Himmler?
La verità è nel mezzo. Da una parte c’è un improbabile interesse speciale per l’archeologia da parte del leader del partito nazista, ma, come di solito, Adolf Hitler aveva le sue ragioni per interessarsi anche a situazioni “oltre-politiche”. Nel 1933, quando Hitler prestò giuramento come Cancelliere della Germania e leader del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (partito nazista), ottenne il controllo di tutte le istituzioni statali, comprese le sue Università. Parte del piano di Hitler includeva la modifica di aspetti del curriculum in queste Università per allinearsi con le dottrine del partito nazista, uno dei quali comprendeva la prova che il popolo germanico era discendente dell’originaria “razza padrona” ariana.
Hitler per comprovare questo assioma provò a dimostrarlo inviando squadre di archeologi a scavare nei siti di tutto il mondo per trovare la prova che avrebbe sostenuto la sua teoria.
Oltre ad aiutare ad alimentare la sua enorme macchina propagandistica, Hitler usò anche l’archeologia per sostenere che la Germania aveva tutto il diritto di invadere i paesi circostanti, tuttavia nello specifico non ci sono prove dell’ossessione dello stesso Fuhrer per oggetti come il Graal o l’Arca dell’Alleanza.
Dopo l’invasione della Polonia nel 1940, Hitler inviò un gruppo di archeologi per provare a dimostrare che i tedeschi avevano vissuto lì per primi e avevano legittimamente rivendicato la terra, ma la ricerca per dimostrare la superiorità della Germania non era iniziata con la Seconda Guerra Mondiale…era iniziata molti anni prima. Nella realtà tuttavia ci fu uno storico e ricercatore medievale, impegnato nella ricerca di manufatti come il Graal. Si chiamava Otto Rahn e non combatteva i nazisti come Indiana Jones anzi era un ufficiale delle SS, incaricato da Himmler per trovare il Graal.
Otto Rahn era un appassionato di poemi medievali e, come Himmler, conosceva bene il mito di Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. In particolare, la figura su cui si focalizzò fu quella di Parsifal, il cavaliere di Artù che aveva trovato il Graal. Secondo la leggenda, il Graal era custodito sulla cima del Monsalvato, in un eremo in cui i puri di cuore trascorrevano la loro vita traendo forza dagli oggetti sacri ivi custoditi al suo interno. Tra gli altri oggetti c’era anche la Lancia di Longino (di cui ci occuperemo in un approfondimento su Indiana Jones e il Quadrante del Destino). A questo punto occorre fare una precisazione: sebbene il beneficiario del potere di questi oggetti sarebbe stato il Führer, la ricerca ossessiva fu opera di Himmler (capo delle SS e secondo uomo più potente della Germania) e di Otto Rahn quindi non attribuibile allo stesso Adolf Hitler.
L’Arca dell’Alleanza è stata ritrovata?
L’Arca dell’Alleanza (in ebraico ארון הברית, ʾĀrôn habbərît) conosciuta anche come l’Arca della Testimonianza o l’Arca di Dio, è un manufatto ritenuto la reliquia più sacra degli Israeliti, che è descritto come una cassa di legno, ricoperta d’oro puro, con un coperchio chiamato “propiziatorio”. Secondo il Libro dell’Esodo, conteneva le due tavole di pietra dei Dieci Comandamenti. Secondo la Lettera agli Ebrei del Nuovo Testamento, conteneva anche la verga di Aronne e una pentola di manna. Il racconto biblico riferisce che circa un anno dopo l’esodo degli Israeliti dall’Egitto, l’Arca fu creata per custodire le Tavole della Legge che Dio diede a Mosè sul monte Sinai. Essa costituiva il segno visibile della presenza divina in mezzo alle dodici tribù di Israele. Jahvè, il Dio degl’Israeliti, era assiso sui Cherubi del propiziatorio e sotto i suoi piedi, dentro la cassa, era stato deposto il testo dell’alleanza per cui Jahvè era diventato il Dio della nazione, cioè le tavole della Legge. Per questo motivo il nome di Arca dell’Alleanza.
Faranno dunque un’arca di legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza, un cubito e mezzo di altezza. La rivestirai d’oro puro: dentro e fuori la rivestirai e le farai intorno un bordo d’oro. Fonderai per essa quattro anelli d’oro e li fisserai ai suoi quattro piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull’altro. Farai stanghe di legno di acacia e le rivestirai d’oro. Introdurrai le stanghe negli anelli sui due lati dell’arca per trasportare l’arca con esse. Le stanghe dovranno rimanere negli anelli dell’arca: non verranno tolte di lì. Nell’arca collocherai la Testimonianza che io ti darò.
Farai il coperchio, o propiziatorio, d’oro puro; avrà due cubiti e mezzo di lunghezza e un cubito e mezzo di larghezza. Farai due cherubini d’oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del coperchio. Fa’ un cherubino ad una estremità e un cherubino all’altra estremità. Farete i cherubini tutti di un pezzo con il coperchio alle sue due estremità. I cherubini avranno le due ali stese di sopra, proteggendo con le ali il coperchio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il coperchio. Porrai il coperchio sulla parte superiore dell’arca e collocherai nell’arca la Testimonianza che io ti darò.
Ma quali sono le teorie su questo oggetto così pieno di spiritualità e di potenza? Nel film I Predatori dell’Arca Perduta, proprio l’apertura della cassa mostra la potenza evocativa che si trova all’interno dell’Arca e la sua ricerca è stata alla base di molte speculazioni archeologiche. Le teorie difatti sono molte, quasi tutte legate all’ipotesi che l’Arca sia stata allontanata da Gerusalemme prima dell’arrivo di Nabucodonosor per difenderla sia dagli invasori che dalle apostasie del popolo ebraico. Un’altra tesi attesta che l’Arca non è mai andata perduta, ma si trova da sempre in una chiesa di Axum, in Etiopia, confermata anche dal giornalista esperto di archeologia Graham Hancock. Altre indicazioni riportano la storia che l’Arca si trovi in una caverna dalle parti del mar Morto, su una delle due rive del Giordano.
Tuttavia i molti scavi effettuati nella zona, grazie ai quali sono stati scoperti i famosi manoscritti del mar Morto, non hanno mai trovato tracce dell’Arca. C’è poi chi dice che la preziosa reliquia sia rimasta a Gerusalemme fino all’arrivo di Tito, nel 70 d.C. quando il Tempio, ricostruito al ritorno dall’esilio, fu distrutto per la seconda volta. L’imperatore romano avrebbe sottratto numerosi tesori, portandoli a Roma.
Ma la teoria più popolare, rispetto a quelle che sono state elencate, racconta che la prodigiosa cassa è tuttora a Gerusalemme
Ma la teoria più popolare, rispetto a quelle che sono state elencate, racconta che la prodigiosa cassa è tuttora a Gerusalemme, in una grotta scavata a grande profondità nella roccia del monte su cui sorgeva il Tempio, dentro una camera segreta, costruita addirittura da re Salomone: insomma secondo questa storia l’Arca dell’Alleanza riposerebbe ancora oggi, integra e indisturbata. A questa tesi aderiscono molti dei gruppi ebrei ortodossi che caldeggiano la costruzione del Terzo Tempio. Nel 1981, indagini clandestine sotto la montagna avrebbero portato alla luce un discreto numero di tunnel ed ambienti scavati nella roccia, ma in quel periodo le ricerche furono interrotte dal governo israeliano, in seguito alle pressioni politiche del mondo islamico, che non vede assolutamente di buon occhio l’eventuale ritrovamento dell’Arca.
Al tempo delle Crociate infatti i Cavalieri Templari stabilirono il loro quartier generale a Gerusalemme, nei luoghi in cui sorgeva il Tempio di Re Salomone e proprio i Cavalieri erano convinti che l’Arca si trovasse al suo interno, scavando dei tunnel lunghissimi nel tentativo di recuperarla. Dopodiché avendo avuto notizia che si trovava in Etiopia, partirono alla sua ricerca. E in effetti, ci sono numerose tracce della loro presenza nella stessa Etiopia, tra cui l’emblema della croce templare disseminato un po’ ovunque. Oggi la complessa situazione politica e religiosa di Gerusalemme (per adesso e chissà per quanto tempo) rende impossibile proseguire gli scavi e l’Arca dell’Alleanza potrebbe rimanere una reliquia indisturbata ancora per moltissimi anni. Ma non per sempre perchè secondo la Bibbia un giorno l’Arca sarà ritrovata e aperta. E quando ricomparirà, secondo le parole di Giovanni, allora vi saranno:
Lampi e voci e tuoni e un terremoto e una forte grandinata
Il Sacro Graal: la reliquia più famosa della storia
Il Santo Graal è la leggendaria coppa con la quale Gesù celebrò l’Ultima Cena e nella quale fu raccolto, da Giuseppe di Arimatea, il sangue sgorgato dal suo costato trafitto dalla Lancia del centurione romano Longino durante la crocifissione. Il termine si suppone derivi dal latino medievale gradalis o dal greco κρατήρ (kratḗr «vaso») e designa in francese antico una coppa o un piatto. Il termine italiano corrispondente è gradale. Da un punto di vista simbolico, il Graal allude al possesso di una conoscenza esoterica o iniziatica, che da un lato viene elargita da Dio, ma dall’altro comporta una conquista riservata a coloro in grado di accoglierne il mistero e degni dell’enorme potere magico in essa racchiuso. Come sintetizzato da Étienne Gilson:
La ricerca del Santo Graal è la ricerca dei segreti di Dio, inconoscibili senza la grazia.
La versione classica del Graal che tutti abbiamo in mente è appunto quella della coppa con la quale Gesù celebrò l’Ultima Cena e nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue dal costato del Cristo crocifisso. Ma questa versione del Graal risale solo al 1202, quando Robert De Boron la inserisce nel poema “Joseph d’Arimathie”, fondendola con il mito celtico del calderone. Il calderone nelle leggende celtiche era simbolo dell’abbondanza che dispensa cibo inesauribile e conoscenza infinita, ma anche simbolo di resurrezione (ndr) nel quale si gettano i morti perché resuscitino il giorno seguente. Il calderone dunque nutre i guerrieri celtici così come il sangue contenuto nel calice nutre la fede dei cristiani e li rigenera a una vita nuova. Da allora in avanti la leggenda del Graal si legherà indissolubilmente con il calice di Cristo, divenendo il simbolo cristiano per eccellenza.
Dunque il mito del Graal, come moltissime altre tradizioni religiose, ha radici molto più arcaiche del Cristianesimo e nasce dalla fusione di antiche leggende presenti in numerose culture del nostro pianeta. Anche l’origine della parola “Graal” risale al termine latino Gradalis, che significa scodella o vaso; questi oggetti nella mitologia classica rappresentavano la potenza benefica delle forze superiori, basta pensare alla Cornucopia dei Greci e dei Romani. Un altro esempio, correlato alle tradizioni arturiane, ricorda che intorno al 1210 il tedesco Wolfram Von Eschembach, nel poema “Parzifal” fornisce un ulteriore interpretazione sulla natura del Santo Graal. Innanzitutto non è più una coppa ma una pietra purissima, chiamata Lapis exillis, pietra che al suo interno sprigiona dei poteri miracolosi tra i quali l’immortalità. Il termine lapis “exillis” è stato interpretato come “lapis ex coelis”. Ovvero “pietra caduta dal cielo”.
Ma la prima volta che apparve il Graal sotto forma letteraria fu nel Perceval ou le conte du Graal di Chrétien de Troyes (XII secolo). In questo racconto il Graal non viene definito “sacro” e nemmno identificato come Calice di Cristo. Non si conosce neppure che forma abbia perché Chrétien, descrivendo il banchetto nel castello del Re Pescatore, dice semplicemente che “un graal antre ses deus mains / une dameisele tenoit» («un graal tra le sue due mani/una damigella teneva») e descrive le pietre preziose incastonate nell’oggetto d’oro. Il Graal viene citato di nuovo in una delle scene finali, quella in cui un eremita rivela a Perceval che il Graal porta al padre del Re Pescatore un’Ostia, nutrimento spirituale.
Il racconto del Re Pescatore riguarda un re zoppo la cui ferita alla gamba rende la terra sterile. L’eroe (Gawain, Percival, o Galahad) incontra il Re pescatore ed è invitato ad una festa al castello. Il Graal in quel frangente è ancora presentato come un vassoio di abbondanza ma è anche parte di una serie di reliquie religiose, tra cui una lancia che stilla sangue ed una spada spezzata. Lo scopo delle reliquie è di incitare l’eroe a porre domande circa la loro natura e quindi rompere l’incantesimo del re infermo e della terra infruttuosa, ma l’eroe invariabilmente fallisce nell’impresa.
E queste sono solo poche leggende che si conoscono sul Santo Graal, che ovviamente l’hanno reso per antonomasia l’oggetto più ricercato e leggendario della storia dell’archeologia. Le ricerche intorno alla coppa di Cristo sono state centinaia, ma se volessimo ripercorrere la sceneggiatura narrata da Indiana Jones e l’Ultima Crociata è giusto soffermarsi proprio su una SS (e non un archeologo che combatteva le SS) di nome Otto Rahn. Nella seconda metà degli anni Venti, finita l’Università, Rahn comincia a viaggiare in lungo e in largo per l’Europa con un obiettivo: fare luce sulla fine dei catari, la cui storia lo aveva stregato completamente.
Era convinto, invero, che loro fossero stati gli ultimi custodi del Sacro Graal e che nei luoghi delle loro predicazioni andasse ricercata la leggendaria coppa. La sua passione, che stava diventando ossessione, tuttavia lo avrebbe condotto molto lontano. Nel 1933, all’indomani della pubblicazione di un resoconto dei suoi viaggi (Crociata contro il Graal), venne contattato dal numero due del neonato cancellierato nazista: Heinrich Himmler e di lì a poco (1935) il faccendiere di Hitler avrebbe costituito un’agenzia specializzata proprio nella ricerca sull’occulto – la potente Ahnenerbe – e Rahn era stato avvicinato nell’ambito di tale progetto in divenire. Gli agenti dell’Ahnenerbe avevano un solo compito: credere nell’impossibile.
Gli agenti dell’Ahnenerbe avevano un solo compito: credere nell’impossibile.
Un compito che, sotto la supervisione di Himmler, li avrebbe portati da un capo all’altro del pianeta alla ricerca di oggetti sacri, resti di civiltà perdute e portali verso altre dimensioni, dagli altipiani del Perù alle terre remote del Tibet, ma con lo scopo di trovare la prova che il popolo germanico era discendente dell’originaria “razza padrona” ariana. Questo compito, che Rahn accettò con piacere, gli diede di contro balzo l’opportunità della vita: continuare a cercare il Sacro Graal. Himmler credeva nelle teorie di Rahn, anche perché era realmente convinto dell’esistenza di reliquie in grado di conferire poteri preternaturali al possessore, magari donandoli al Führer, che pochi anni più tardi, alla ricerca dell’invincibilità, si sarebbe appropriato della Lancia sacra.
Queste ricerche lo spedirono in una pluralità di posti: dai Pirenei all’Islanda, quest’ultima esplorata nell’ambito di una ricerca su Odino e Thor. Tuttavia Rahn non avrebbe mai trovato nessun portale d’accesso al leggendario regno di Agarthi né il Santo Graal, ma avrebbe condensato in un libro (La corte di Lucifero) il tempo trascorso a visitare i meandri del Vecchio Continente per conto di Himmler. Questa è solo una delle tante ricerche effettuate dagli archeologi o esploratori, potremmo elencarle a decine, ma ci sembrava coerente con il personaggio dello stesso Indiana Jones andare a ripercorrere proprio la ricerca del Graal nel periodo descritto nel terzo capitolo dei film di Steven Spielberg. La ricerca di questo oggetto, come con l’Arca dell’Alleanza e con altre reliquie va oltre probabilmente la storia e l’archeologia e citando Marcus Brody, grandissimo amico di Indy:
La ricerca della Coppa del Cristo è la ricerca del divino che è in tutti noi… Ma se vuoi delle prove, Indy, non posso dartele. Alla mia età, si è disposti ad accettare alcune cose per fede.