Quando pensiamo ai virus, la prima cosa che ci viene in mente sono le malattie e le pandemie. Ma sapevate che senza i virus non saremmo qui? In questo articolo scopriremo come i virus hanno svolto un ruolo cruciale nell’evoluzione umana e nello sviluppo di organi fondamentali come, ad esempio, l’organo che per antonomasia rappresenta la “culla della vita”, la placenta
Noi, le lucertole Mabuya, la placenta e i virus
La placenta è un organo che associamo solitamente ai mammiferi come topi ed esseri umani. L’importanza a livello tassonomico, evolutivo e, quindi, funzionale di questo importante organo, attraverso il quale avvengono gli scambi tra il corpo materno e l’embrione, è fondamentale. Data l’elevata biodiversità dei mammiferi, con tempi e modi di gestazione anche molto variabili, le placente hanno subìto processi evolutivi di specializzazione che ne hanno originato diverse tipologie, ad esempio i Metaplacentati (i marsupiali, con la loro tasca addominale, il marsupio appunto, dove i cuccioli, che nascono immaturi a causa della scarsa funzionalità della placenta, vengono allattati) e gli Eutheria (dotati di placenta più efficiente rispetto ai Metatheria, vengono allattati e protetti fino al termine dello sviluppo, raggruppano la maggioranza dei mammiferi viventi, tra cui l’uomo).
Le lucertole con la placenta. Com’è possibile? Grazie a un’infezione virale
Ma anche altri animali, oltre i mammiferi, hanno sviluppato un prototipo di placenta. Nel 2001, le zoologhe Martha Patricia Ramírez-Pinilla e Adriana Jerez dell’Università Industriale di Santander a Bucaramanga, in Colombia, hanno scoperto che le lucertole Mabuya hanno una placenta estremamente avanzata, simile alla nostra. Le lucertole Mabuya vivono sulle montagne andine della Colombia non sono come gli altri rettili. Mentre la maggior parte dei rettili depone uova con guscio duro, alcune specie di Mabuya danno alla luce piccoli vivi. Le madri sono dotate di placenta, un organo specializzato che nutre i piccoli in via di sviluppo all’interno del loro corpo.
Se questo era abbastanza sorprendente per un rettile che di solito depone uova coriacee, la vera rivelazione è arrivata 16 anni dopo, quando Ramírez-Pinilla ha collaborato con il genetista Thierry Heidmann del Gustave Roussy di Parigi e i suoi colleghi. Hanno scoperto che le lucertole possiedono un gene essenziale per la formazione della placenta e che tale gene proviene da un virus. Secondo gi studi approfonditi che sono seguiti a questa ricostruzione, negli ultimi 25 milioni di anni, gli antenati delle lucertole sono stati infettati da un virus che ha incorporato parte del proprio DNA nel loro genoma. Ma invece di subire danni, le lucertole hanno in qualche modo “incorporato” il DNA virale e lo hanno usato per sviluppare la loro prima placenta. In altre parole, grazie al virus, le lucertole hanno sviluppato un nuovo organo.
L’aspetto straordinario di questa storia è che, in realtà, non è affatto straordinaria. Circa un decimo del nostro genoma umano proviene dai virus e il DNA virale ha svolto un ruolo cruciale nella nostra evoluzione. Uno di questi virus è il gene per la sincitina, una proteina che 50 milioni di anni fa ha reso possibile lo sviluppo della nostra placenta. Mentre altre parti sono coinvolte nella nostra risposta immunitaria alle malattie e nella formazione di nuovi geni. Nel nostro corpo vivono stabilmente migliaia di miliardi di virus, senza causarci danno. Senza i virus, l’uomo non sarebbe stato in grado di evolversi.
Ma un retrovirus cos’è?
I virus sono la forma biologica più abbondante sulla Terra: in una goccia d’acqua di mare, ad esempio, se ne trovano oltre un milione. Si stima che oggi siano noti lo 0.1% dei virus esistenti. L’origine dei virus è antichissima: sono probabilmente comparsi come parassiti delle prime cellule batteriche, oltre 3 miliardi e mezzo di anni fa. Ogni virus è essenzialmente un minuscolo pacchetto di materiale genetico e può riprodursi solo infettando le cellule vive, manipolando i meccanismi cellulari per creare copie di sé stesso e spesso causando malattie ai loro ospiti. I virus che inseriscono il loro materiale genetico nel genoma dell’ospite sono chiamati retrovirus. La comprensione della loro natura è iniziata negli anni ’60 e ’70, anche se alcuni retrovirus erano stati isolati già decenni prima. Dopo aver ipotizzato nel 1964 che alcuni virus potessero copiare il loro materiale genetico nel DNA dei loro ospiti, i ricercatori hanno identificato il DNA virale nel genoma del pollo. Nonostante l’ampia diversità di virus appartenenti a questo gruppo, al momento sono noti solo quattro retrovirus che infettano gli esseri umani. Tutti sono stati scoperti negli anni ’80:
- il virus T-linfotropico umano 1 (HTLV-1), che causa una forma di cancro, il più frequente e famoso. È il primo virus oncogeno umano ad essere scoperto. È in grado di provocare la Leucemia/Linfoma a cellule T dell’adulto (ATLL) e la Paraparesi Spastica Tropicale (HAM/TSP)
- i virus HTLV-2, che possiede un’omologia genetica di circa il 60% con HTLV-1 e sono stati isolati da forme atipiche di Leucemia a Cellule Capellute (Tricoleucemia), anche se ad oggi questa correlazione è messa in dubbio; sembra essere correlato anch’esso alla Paraparesi Spastica Tropicale, alla Micosi Fungoide e ad altre patologie infiammatorie.
- Virus dell’immunodeficienza umana (HIV) di tipo 1 e 2, responsabili dell’AIDS.
Si pensa che gli HTLV originino da una trasmissione interspecie degli STLV, ovvero i Simian T-cell Leukemia Virus che infettano scimmie appartenenti alla famiglia delle Cercopithecidae. In particolare, la leucemia (ATLL), che è forse la malattia più temibile causata da questi virus, si sviluppa in circa 1 persona ogni 20 infetti ed ha una sopravvivenza mediana di circa 8-10 mesi, nonostante le terapie. Se un retrovirus infetta una cellula nei polmoni o nella pelle di una persona, può essere dannoso, ma ha effetti limitati sull’evoluzione della nostra specie in quanto il DNA virale non viene trasmesso alla generazione successiva. Tuttavia, a volte un retrovirus può infiltrarsi nella linea germinale, ovvero le cellule che danno origine agli ovuli e agli spermatozoi, dove il DNA virale può essere trasmesso alla nostra progenie. Questi frammenti di DNA virale ereditabili sono chiamati retrovirus endogeni o ERV. Sono proprio questi pezzi di DNA virale che possono influenzare il corso dell’evoluzione.
ERV ovunque
L’enorme presenza di elementi virali endogeni (ERV) nell’uomo fu rivelata quando nel 2001 venne pubblicata la prima bozza del genoma umano. La scoperta svelò la sorprendente quantità di sequenze virali presenti, costituendo circa l’8% dell’intero genoma umano. Secondo Heidmann, uno degli studiosi coinvolti nella ricerca, “si scoprì che una vasta quantità di sequenze virali era integrata nel genoma umano”. Alcuni di questi elementi virali endogeni sono a dir poco antichi. Uno studio condotto nel 2013 ha identificato un ERV situato sul cromosoma umano 17 che risale a almeno 104 milioni di anni fa, se non addirittura più indietro nel tempo. Questo implica che si tratta del risultato di un virus che ha infettato un mammifero durante un’era in cui i dinosauri dominavano la Terra. Da notare che questo ERV si trova esclusivamente nei mammiferi dotati di placenta, suggerendo che si sia integrato poco dopo la separazione dei mammiferi placentari dai loro cugini marsupiali. Inoltre, i retrovirus non sono limitati solo ai mammiferi e ai rettili. Come sottolinea Nicole Grandi, una virologa molecolare presso l’Università di Cagliari, “tutti i vertebrati ospitano retrovirus endogeni“. In altre parole, la maggior parte degli ERV umani non è esclusiva della nostra specie, ma si trova anche in almeno altri primati, come gli scimpanzé. Ciò significa che sono entrati nei genomi dei primati milioni di anni fa, molto prima che la nostra specie si evolvesse, e che li abbiamo ereditati dai nostri antenati scimmie.
Retrovirus: atro che DNA spazzatura
Curiosamente, non ci sono prove dell’ingresso di nuovi ERV nel genoma umano negli ultimi mille anni. Gli unici retrovirus con cui la nostra specie ha attualmente a che fare sono l’HTLV e l’HIV, dice Grandi. Questo è in netto contrasto con altre specie. I koala sono attualmente invasi dal koala retrovirus (KoRV), il cui DNA si trova in alcune popolazioni di koala ma non in altre. I genetisti dei koala sono quindi in grado di osservare “un’invasione del genoma in tempo reale”.Origine della placenta. Per questo, per anni, si pensava che gli ERV umani fossero “sequenze fossili” inattive o parte del “DNA spazzatura” del genoma. Tuttavia, come per molti altri presunti DNA spazzatura, si è scoperto che molti ERV umani sono attivi.
Il legame segreto tra i virus e la placenta: la storia del genoma retrovirale umano
Gli ERV più studiati nel genoma umano sono chiamati HERV-W (Human Endogenous Retrovirus-W), descritti per la prima volta nel 1999. Gli HERV-W fungono da “codice” codificante la proteina che normalmente fa parte dell’involucro di una famiglia di retrovirus endogeni umani. Le sequenze codificanti HERV-W costituiscono circa l’1% del genoma umano. Le proteine che codificano sono le sincitine, che si trovano nella placenta. Proprio come nelle lucertole Mabuya, questi geni virali sono essenziali per la formazione della placenta dell’uomo. Questo legame tra i virus e la placenta ha senso se si considera l’effettiva funzione delle sincitine. Queste proteine hanno la capacità di fondere due o più cellule in una sola. Quando erano proteine virali, venivano utilizzate dal virus per fondersi con la membrana esterna di una cellula e quindi infettarla. Questa capacità di fusione è stata aggregata anche dalla placenta. Fondendo le cellule della madre e quelle dell’embrione, la placenta può trasferire i nutrienti all’embrione ed estrarre i rifiuti. E non si tratta solo di esseri umani. Proteine simili alla sincitina si trovano in altre scimmie, come i gorilla. Studi più recenti hanno dimostrato che i retrovirus hanno infettato i mammiferi ripetutamente nel corso della loro storia evolutiva; quindi, gruppi diversi di mammiferi hanno spesso diverse sincitine derivate da retrovirus diversi. D’altra parte, gli ospiti possono anche mantenere il DNA virale nel loro genoma, che può persistere se vantaggioso o non deleterio. Nel caso degli ERV, il DNA virale si è integrato nel genoma della linea germinale di un antenato umano. Pertanto, tutti i discendenti dell’antenato umano infettato avevano questo genoma virale integrato in ogni cellula del loro corpo. Questo nuovo DNA retrovirale può ora essere trasmesso verticalmente dai genitori ai figli. Inoltre, il genoma virale integrato presenta caratteristiche di elemento trasponibile, il che significa che può replicarsi e/o saltare nel genoma dell’antenato umano. L’esame dei genomi di molte specie affini all’uomo ha permesso di determinare quanto tempo fa questo genoma retrovirale è stato integrato nell’antenato umano.
Il contributo dato alle altre cellule per la salute
La storia delle sincitine e della placenta è un affascinante esempio dell’influenza del DNA virale sull’evoluzione umana. Ciò che la rende ancora più straordinaria è che un gene virale completo è sopravvissuto nel nostro genoma e codifica una proteina funzionale. Tuttavia, non sono solo le sincitine a essere coinvolte. Molti altri ERV, sebbene non codifichino proteine, svolgono importanti funzioni nel nostro organismo.
Contribuire alla pluripotenza delle cellule staminali
Ad esempio, alcuni di essi hanno un ruolo cruciale nelle cellule staminali, le quali vengono dette “pluripotenti” perché sono dotate di una straordinaria versatilità e possono differenziarsi in vari tipi di cellule, che vanno dai neuroni alle fibre muscolari. Una famiglia di retrovirus chiamata HERV-H è essenziale per la pluripotenza anche se queste non codificano per le proteine. Le sequenze HERV-H vengono invece copiate su molecole chiamate RNA, che mantengono la pluripotenza della cellula. “Se gli HERV-H vengono soppressi, la morfologia della cellula cambia e perde la capacità di mantenere il suo stato indifferenziato“, spiega la virologa Christine Kozak del National Institute of Allergy and Infectious Diseases di Bethesda, nel Maryland.
I retrovirus e la scomposizione dei carboidrati
Altri ERV regolano l’attività dei geni e quindi controllano i processi corporei. Per esempio, il nostro corpo utilizza un enzima chiamato amilasi per scomporre i carboidrati come l’amido nei nostri alimenti. “Abbiamo l’amilasi nel pancreas e l’amilasi nella bocca, nella saliva”, spiega Grandi. Il gene dell’amilasi viene attivato nella ghiandola salivare da una sequenza di DNA chiamata promotore (promotore è una regione di DNA costituita da specifiche sequenze dette consenso, alla quale si lega la RNA polimerasi per iniziare la trascrizione di un gene, o di più geni (operone)), che proviene da un retrovirus.
I virus che ci mantengono in salute
Non sorprende che molti scienziati siano interessati al ruolo degli ERV nella salute e nelle malattie, considerando che provengono dai virus. Un esempio interessante è stato descritto nel 2022 da un team di ricercatori guidati da Cédric Feschotte, biologo molecolare e genetista presso la Cornell University di Ithaca, New York. Il loro obiettivo era individuare un caso nell’uomo di un fenomeno precedentemente osservato in altri animali: i geni ERV possono codificare per proteine che il sistema immunitario può utilizzare per combattere altri virus, che possono essere strettamente correlati o solo lontanamente imparentati con il virus originale degli ERV. Sebbene le proteine antivirali degli ERV siano state studiate in topi, polli e gatti, Feschotte sottolinea che non ci sono ancora esempi noti di questo tipo nel genoma umano. Il team ha analizzato gli ERV conosciuti nel genoma umano e ha identificato centinaia di sequenze che potrebbero potenzialmente codificare proteine antivirali. Poi hanno individuato un gene chiamato Suppressyn, che codifica una proteina simile a quelle che compongono l’involucro esterno dei virus. La proteina Suppressyn impedisce ai retrovirus di entrare nelle cellule, perché si lega ai recettori sulla membrana esterna della cellula che i virus stessi utilizzerebbero per entrare nella cellula. Feschotte la paragona all’inserimento di una chiave rotta in una serratura, che impedisce a chiunque di aprire la porta.
In natura nulla è a caso, bisogna solo capire l’ordine
Siccome in natura nulla è a caso, il Suppressyn si trova soprattutto nella placenta e nell’embrione in via di sviluppo. Ciò suggerisce che il suo uso originario era quello di impedire ai retrovirus di infettare gli embrioni, che hanno un sistema immunitario molto debole. Ma lo scienziato ritiene che gli ERV facciano probabilmente molto di più nel nostro sistema immunitario. Molti genetisti pensano ancora che gli ERV siano inerti o difettosi, ma questo è fuorviante. “Stanno decadendo, ma producono ancora RNA e molte proteine”, dice. “Dobbiamo analizzare bene questo aspetto”. E il quadro sta ancora emergendo: uno studio pubblicato nell’aprile 2023 ha scoperto che alcuni ERV aiutano il sistema immunitario a colpire le cellule cancerose. Per Feschotte, è fondamentale capire cosa fanno esattamente gli ERV, e non sempre ci siamo riusciti. “Da quando sono stati scoperti i retrovirus endogeni, si è cercato di collegarli al cancro”, spiega Feschotte. Questo perché i primi scoperti negli animali provocavano il cancro. I finanziatori hanno “versato tonnellate di denaro” per la ricerca sui retrovirus endogeni, nella speranza di scoprire i meccanismi del cancro e quindi i potenziali trattamenti. “Molti sono tornati a mani vuote“. Il punto chiave è che gli ERV umani non sono in grado di creare virus, che potrebbero poi infettare altre cellule. “Nel topo ce ne sono molti e nel pollo ce ne sono molti e causano ogni tipo di malattia”, dice Feschotte. Ma gli ERV umani sono stati messi sotto controllo dal resto del genoma e non causano infezioni virali.
Un ingranaggio del motore dell’evoluzione
Il ruolo degli ERV nelle malattie è per ora oscuro. Ma ciò che è chiaro è che sono un motore dell’evoluzione. Inserendo nuovi frammenti di DNA nel nostro genoma, i virus hanno stimolato cambiamenti massicci nel nostro patrimonio genetico. Una volta inseriti, gli ERV possono innescare la duplicazione o la cancellazione di ampie porzioni di DNA e, se i cambiamenti sono positivi, si diffondono. Nessun animale, compreso l’uomo, esisterebbe nella sua forma attuale senza di essi. La lezione finale è che gli esseri umani sono davvero una specie a mosaico. Molti di noi hanno un po’ di DNA, circa il 2% del nostro genoma, proveniente dall’uomo di Neanderthal. Alcune popolazioni hanno anche del DNA di un altro gruppo di ominini estinti, i Denisovani. E tutti noi riceviamo circa l’8% del nostro genoma dai virus.