Crosta dei Campi Flegrei: l’indebolimento fa ipotizzare un’eruzione nel futuro

Un nuovo studio condotto da UCL e INGV rivela che la crosta della caldera dei Campi Flegrei risulta indebolita, suggerendo la necessità di prestare maggiore attenzione alla valutazione della reale pericolosità della situazione. I ricercatori hanno individuato movimenti di fluidi a circa 3 chilometri di profondità, che potrebbero consistere sia in gas vulcanici che in magma. Tuttavia, al momento non ci sono prove di un’imminente eruzione.

Secondo lo studio, i continui episodi di sollevamento avvenuti negli ultimi decenni hanno causato un progressivo indebolimento della crosta dei Campi Flegrei. Si è evidenziato che la crosta sta passando da una fase “elastica” a una “inelastica”. Il vulcano, che ha eruttato per l’ultima volta nel 1538, è stato in uno stato di agitazione da oltre 70 anni, con picchi di attività negli anni ’50, ’70 e ’80, seguiti da una fase più lenta negli ultimi dieci anni. Durante questi periodi si sono verificati decine di migliaia di piccoli terremoti e la città costiera di Pozzuoli è stata sollevata di quasi 4 metri, corrispondenti all’altezza di un autobus a due piani.

Il professor Christopher Kilburn, autore principale dello studio, afferma che i Campi Flegrei si stanno avvicinando al punto di rottura, ma ciò non significa che un’eruzione sia inevitabile. La rottura potrebbe creare una crepa nella crosta, ma è necessario che il magma si spinga verso l’alto nella giusta direzione affinché si verifichi un’eruzione. Questo studio è la prima volta che un modello basato sulla fisica della rottura delle rocce viene applicato in tempo reale a un vulcano. Finora, i Campi Flegrei hanno risposto secondo le previsioni, con un aumento del numero di piccoli terremoti che indicano una pressione ascendente.

L’attività della caldera dei Campi Flegrei è causata dai movimenti dei fluidi situati a circa 3 chilometri di profondità, che potrebbero contenere sia magma che gas vulcanici. Secondo gli autori dello studio, l’attuale sollevamento potrebbe essere di origine idrotermale, ma non si può escludere un possibile contributo magmatico. È stato osservato che gli effetti accumulativi degli episodi di sollevamento nel corso degli anni potrebbero manifestarsi attraverso segnali relativamente deboli, come un minor tasso di sollevamento del suolo e meno terremoti, prima di un’eventuale eruzione.

Gli autori sottolineano l’importanza di un’analisi quantitativa dei segnali di superficie registrati dalle reti di monitoraggio e dei processi che li determinano, al fine di valutare in modo più accurato la pericolosità vulcanica. Esistono diversi scenari possibili che potrebbero portare a esiti diversi. Sebbene non si possa escludere un’eruzione, i risultati dello studio indicano anche la possibilità di una lenta subsidenza causata dalla riattivazione progressiva e diffusa di fratture, che potrebbe determinare la depressurizzazione del sistema idrotermale.

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