Nel 2018 Phil Lord e Rodney Rothman riuscirono a creare un’avventura inaspettata, inattesa, che ci ha colpiti con dei modi e con dei tempi che non eravamo sicuri di poter digerire. Lo hanno fatto perché dopo aver visto Spider-Man ingabbiato nel Marvel Cinematic Universe pensavamo che non avrebbe mai ritrovato quel suo stile unico, indeclinabile in un contesto serioso: avevamo bisogno del nostro amico di quartiere, del nostro eroe giovanile, spensierato, con la parlantina scattante e sempre pronto a schernire gli avversari. Tronfi di quell’esperienza, a distanza di 5 anni possiamo tornare a parlare di quello Spider-Man, eliso da quel fan-service vacuo e privo di mordente offertoci in a No Way Home, per calarci in Across the Spider-Verse, alla scoperta di quel concetto del quale sappiamo troppo poco.

Il coming-of-age di Miles e Gwen

Miles Morales è il nostro Spider-Man di riferimento: la sua vita è suddivisa dalla necessità di indossare una maschera e salvare l’intera città fino all’avere due genitori che, come la natura vuole, sono esasperanti e apprensivi nei confronti di un figlio sempre assente. Accanto a lui c’è Gwen Stacy, che pur essendo impegnata in un’altra dimensione dello Spider-Verse lotta con le medesime problematiche, come si richiede a un deuteragonista: un padre che la bracca, che la insegue, che anela l’arresto di quello che è l’alter ego della figlia, rea di un omicidio mai compiuto. Se, però, da un lato Miles decide di restare e affrontare quella che è la sua realtà, nonostante il suo essere rimasto solo, Gwen non è disposta a cedere: l’arrivo di una chiamata, che la condurrà a ricoprire un ruolo molto più di spessore all’interno dello Spider-Verse, di controllo e di supervisione della continuità temporale, le permetterà di evadere dalla sua realtà, verso qualcosa di più grande. Nel frattempo, però, Miles dovrà vedersela con un pericolo che ci darà l’occasione di andare a scavare ancora di più nella sua backstory, andando a sviscerare elementi della nascita di Spider-Man che ci erano stati nascosti fino a questo momento.

Intorno ai due personaggi fulcro della vicenda, il film ha la grande capacità di centellinare altri comprimari: non c’è l’interesse ad andare a rimpinguare un cast che già nel primo film ci aveva permesso di fare la conoscenza con alcuni Spider-Man molto pittoreschi. C’è, piuttosto, la voglia di concentrarci su alcuni caratteri ben definiti e delineati, andando a puntare su di loro in maniera inequivocabile: c’è il ritorno di Peter Parker, così come l’aggiunta di Miguel O’Hara, uno Spider-Man designato a mantenere l’ordine nel multiverso, al quale si affiancano due nuovi personaggi dall’altissimo tasso di umorismo e action, a loro volta fondamentali per lo sviluppo non solo del personaggio di Miles Morales, ma anche di tutto ciò che riguarda l’evoluzione del contatto con lo Spider-Verse.

Non abbiamo sempre bisogno di storie

Ancora una volta tutto gira intorno alle storie, là dove nell’evoluzione del medium narrativo abbiamo imparato che non servono più le morali in ciò che ci viene raccontato, bensì degli elementi che ci permettano di capire verso che direzione incanalare la nostra attenzione. Di “storia” si parla per l’intero film, come se fossimo attori di un copione che è già stato prestabilito: succede quando Miles viene descritto dall’insegnante addetta all’orientamento scolastico, succede quando Miguel ammonisce il ragazzo spiegandogli il funzionamento del multiverso, arrivando a scatenare una reazione nel volto di Morales che sa tanto di rifiuto, da parte di questa pellicola, verso il moderno: “Avere una storia suona ridicolo”. Perché un conto è “avere una storia”, un altro è “vivere la propria vita”: se volessimo trovare una morale, quindi, questo vuole dirci Spider-Verse, di vivere ciò che abbiamo e di non preoccuparsi di ciò che dovremmo avere o che avremmo dovuto avere, al di là dei copioni scritti, al di là di una linea temporale che qualcun altro ha deciso di dover controllare.

In questo costrutto, tornando a concentrarci sui personaggi costruiti, è indubbio che mentre tutti gli Spider-Man del Spider-Verse hanno condiviso degli eventi cardine, canonici della loro vita (lo zio Ben, il Capitano della polizia padre della ragazza amata) tali da permetterci anche un po’ di fan-service nel mostrarci scene dei film con protagonista Andrew Garfield, Miles e Gwen condividono di più. Oltre all’essere sfuggiti agli eventi canonici, i due hanno un rapporto che li lega in maniera più profonda, non solo perché sono gli unici due Spider-Man giovani, ma anche perché il loro rapporto è la quintessenza dell’arco narrativo che ci racconta il raggiungimento della maggiore età, evadendo dall’adolescenza. C’è un tale intreccio di tematiche, di storyline, di idee che Spider-Verse finisce per essere un multiverso di contenuti, che a lungo andare sembra quasi perdersene per strada alcuni. A salvarlo, nel finale, è solo la certezza di un cliffangher che ci conduce diritti a un terzo capitolo, così da placare i bollenti spiriti: c’è tanto di seminato, ma verrà raccolto tutto tra qualche anno.

Un’esplosione di contenuti visivi

Arriviamo alla questione principale, però, perché Across Spider-Verse non è solo contenuto scritto, narrato, ma anche una ripetuta cinquina di schiaffi assestati sul nostro volto dal punto di vista visivo. Nel 2018 Into The Spider-Verse andò a segnare un benchmark per quella che era la produzione animata al cinema, grazie a un’anima unica, in grado di sprigionare personalità da ogni scena e inquadratura. Il suo sequel fa altrettanto, forse anche di più, perché c’è una direzione artistica e visuale da far impazzire chiunque. Si parte da quelle che sono le più banali espressioni della cifra stilistica attraverso la diffusione dei colori pastello, pronti a deflagrare in un abbraccio, come un rilascio di endorfine che corroborano la stanza, fino a un cambio costante di tonalità a ogni campo e controcampo, così da far sì che l’elaborazione scenica possa seguire un’onda creata dai sentimenti dei protagonisti chiamati in causa.

C’è un multiverso di stili, di approcci visivi, proprio in linea con quella che è l’intenzione del film stesso: ci sono diversi mondi da prendere in considerazione, con diverse animazioni, passando dagli attori in carne ed ossa fino al mondo LEGO, arrivando al noir e passando verso dei poster del grunge rock, fino all’astrazione e passando anche a quella che è l’eredità di Moebius. Troverete qualsiasi cosa in questo sequel di Spider-Man, senza che possiate riuscire a notare tutti i dettagli a schermo, perché anche nel seguire l’animazione finirete per lasciarvi colpire da quel flow inarrestabile. Lo schermo viene aggredito con la velocità degli Spider-Man, con le loro unicità anche in fatto di combattimento, tutti con capacità e volontà diversificate da quelle che sono le loro skill. C’è una tale attenzione all’alternanza degli stili che sembrerà di essere calati in un roster di un picchiaduro dove ogni lottatore ha le sue peculiarità, mentre combattono tra di loro un medesimo nemico.

Se volessimo trovare un aspetto poco entusiasmante nella complessità dell’opera potremmo andare a bussare alla porta della colonna sonora. Se il precedente film era stato in grado di affidare a Daniel Pemberton una serie di tracce originali, qui siamo dinanzi a poche innovazioni e proposte affascinanti, con l’intera storia che finisce per essere accompagnata da un tappeto musicale quasi mai evocativo. L’aspetto visuale gioca un ruolo fondamentale in quella che è una costruzione unica dell’intero film, lasciando che il sonoro finisca in secondo piano. Anche nei pezzi più orchestrali manca quella spinta emotiva che aveva caratterizzato il primo film e che resta quasi del tutto inarrivata, forse anche vittima del fatto che l’evoluzione di Miles da ragazzino a supereroe è oramai compiuta e un pezzo come What’s Up Danger dei Blackway & Black Caviar non avrebbe più trovato spazio, nonostante il suo beat e il suo ritmo incalzante avrebbero fatto bene anche a questa narrazione.

85
Spider-Man: Across the Spider-Verse
Recensione di Mario Petillo

Spider-Man: Across the Spider-Verse è un sequel perfetto, che aumenta il tasso di inventiva visiva e continua a proporre una grande vivacità espressiva, tanto nella trama raccontata quanto nel modo in cui decide di declinare la propria direzione creativa. Miles e Gwen sono due ottimi protagonisti di una vicenda a misura di adolescente, fulcro di una serie di storyline che finiscono per intrecciarsi nelle loro necessità e nel loro dramma coming-of-age. Siamo dinanzi a un ottimo sequel, che soffre nell'infilare nel calderone tantissimi elementi, più di quanti potrebbe gestirne, e costringe l'intera narrazione a essere spezzata in funzione di un terzo capitolo. Che poi sappiamo benissimo quali siano le necessità, non solo creative ma anche di marketing. E allora ben venga questo terzo film.

ME GUSTA
  • Visivamente è un altro benchmark per il futuro
  • Citazioni, riferimenti, intrecci, contenuti pop: c'è tutto
  • Miles e Gwen sono due protagonisti perfetti
FAIL
  • La colonna sonora è meno ispirata del primo film