È risaputo che la produzione di alimenti come la carne di manzo può avere un’impronta eccessiva in termini di emissioni di carbonio. Ma un nuovo studio dimostra che alcuni di questi stessi prodotti possono avere un effetto altrettanto enorme quando si tratta di perdite di biodiversità. Uno dei problemi principali, secondo la ricerca, si verifica quando la produzione alimentare si sovrappone ad aree che sono state identificate come a più elevata importanza per la conservazione. La ricerca si basa su un’ampia raccolta di dati provenienti da 200 Paesi e analizza 50 prodotti agricoli, utilizzando un database sulle catene di approvvigionamento globali e modelli ecologici che considerano la conservazione di oltre 7000 specie. Attraverso l’utilizzo di Google Earth Engine, una piattaforma di cloud computing per le analisi ambientali, i risultati sono stati resi accessibili al pubblico tramite una mappa interattiva consultabile da tutti.
La produzione alimentare rimane la causa principale della perdita di biodiversità
“La produzione alimentare rimane la causa principale della perdita di biodiversità“, ha dichiarato Keiichiro Kanemoto, professore presso l’Istituto di Ricerca per l’Umanità e la Natura (RIHN) di Kyoto, in Giappone, e uno degli autori del lavoro. “Tuttavia, c’è una dolorosa mancanza di dati sistematici su quali prodotti e quali Paesi contribuiscono maggiormente a questa perdita. La nostra ricerca combina le informazioni sull’uso dei terreni agricoli con gli habitat delle specie per identificare quali colture causano la maggiore pressione sulla biodiversità“. Lo studio, pubblicato nei Proceedings of the National Academies of Science, classifica quali prodotti di consumo di base provengono da regioni ad alto valore conservativo. Mentre studi precedenti hanno quantificato le impronte di carbonio, terra e acqua dell’industria agricola, le minacce alla biodiversità e agli ecosistemi derivanti dall’agricoltura sono poco conosciute e quindi spesso omesse. I nuovi risultati dovrebbero contribuire alla formazione di politiche che proteggano la biodiversità preservando la sicurezza alimentare globale.
Manzo, riso e soia: l’impronta più grande
Il team di ricerca internazionale, composto da membri provenienti da Norvegia, Paesi Bassi e Giappone, ha suddiviso le aree agricole in quattro fasce, in base alla loro priorità di conservazione, dalla più bassa alla più alta. Hanno poi determinato quali singoli prodotti agricoli sono stati prodotti in questi diversi livelli di priorità. I ricercatori hanno scoperto che circa un terzo di tutta l’agricoltura si svolge in aree considerate ad alto valore in termini di conservazione della biodiversità. È emerso che alcuni prodotti per il sostentamento di base, come la carne bovina, il riso e la soia, tendono a essere prodotti in queste aree. Allo stesso tempo, altri prodotti sostitutivi, come orzo e grano, provenivano prevalentemente da aree a basso rischio. “Un dato sorprendente è stato quanto l’impatto di una stessa coltura possa variare in base alla sua provenienza“, ha dichiarato Daniel Moran, scienziato presso l’Istituto per il clima e l’ambiente NILU e professore di ricerca presso il Programma di ecologia industriale dell’Università norvegese di scienza e tecnologia (NTNU), coautore dello studio. La carne bovina e la soia, ad esempio, sono coltivate in aree ad alta priorità di conservazione in Brasile, ma non in Nord America. Allo stesso modo, il grano è coltivato in aree a minore priorità di conservazione nell’Europa orientale rispetto all’Europa occidentale.
Il commercio internazionale ha il suo enorme peso specifico
Il caffè e il cacao sono coltivati principalmente in aree ad alta priorità di conservazione nei Paesi equatoriali, ma queste colture da reddito sono ampiamente consumate in Paesi più ricchi come gli Stati Uniti e i membri dell’Unione Europea, secondo il modello dei ricercatori. A livello globale, la Cina, con la sua elevata domanda di diverse materie prime, ha la maggiore influenza sulla produzione alimentare nelle aree elevata importanza per la conservazione. Lo studio ha anche evidenziato come nazioni diverse possano avere impronte alimentari di biodiversità nettamente differenti. Gli Stati Uniti, l’Unione europea, la Cina e il Giappone dipendono in larga misura dalle importazioni per soddisfare la loro domanda di carne e latticini. In Giappone, più di un quarto della carne bovina e dei latticini consumati proviene da aree ad alta priorità. “Questo suggerisce che ci sono opportunità di cambiare l’impronta della biodiversità del consumo di cibo semplicemente cambiando il nostro approvvigionamento di prodotti alimentari“, ha detto Kanemoto. Se è noto che il bestiame, la soia e l’olio di palma sono coltivati in aree che necessitano un elevata priorità in termini di tutela della conservazione della biodiversità, lo studio ha considerato anche altre coltivazioni, come il mais, la canna da zucchero e la gomma che sono cruciali anche nelle strategie geopolitiche
Effetti del cambiamento climatico
Si prevede che i cambiamenti climatici alterino sia i modelli di coltivazione agricola sia gli habitat disponibili. Il team di ricerca ha utilizzato il proprio modello per esaminare diversi scenari e vedere come cambierebbe l’interazione tra biodiversità selvatica e agricoltura in base alle temperature previste per il 2070. È probabile che le specie colonizzino nuovi territori in un pianeta che sarà decisamente più caldo, il che potrebbe portare alla nascita di nuove aree a rischio in termini di conservazione e tutela del territorio. Sebbene i ricercatori non abbiano prodotto una mappa dettagliata che preveda i futuri conflitti tra agricoltura e conservazione, le informazioni di supporto del documento offrono alcune stime della futura competizione in base a una serie di scenari. “La nostra mappa è un valido metodo complementare ad altre tecniche standard per valutare l’impatto dell’agricoltura sulla biodiversità. Le conoscenze acquisite dal nostro studio dovrebbero aiutare a ridurre il trade-off che molte nazioni associano alla produzione agricola e alla protezione dell’ambiente”, ha dichiarato Kanemoto. Il termine “trade-off” si riferisce a una situazione in cui si deve fare una scelta tra due o più opzioni che comportano vantaggi e svantaggi contrapposti. In altre parole, è la situazione in cui si ottiene qualcosa a discapito di qualcos’altro. Nel contesto studiato dai ricercatori che hanno lavorato alla mappa, è un riferimento al fatto che esiste una sfida o un compromesso tra la produzione agricola (per soddisfare la domanda alimentare globale) e la conservazione della biodiversità. In questo caso, l’agricoltura potrebbe comportare benefici per la sicurezza alimentare, ma potrebbe anche causare danni alla biodiversità. Quindi, il trade-off si riferisce alla necessità di bilanciare questi due obiettivi contrastanti. Infatti, il lavoro di questi ricercatori, riempie un grande tassello mancante nel mosaico della pressione che l’uomo provoca all’ambiente tra emissioni di carbonio, deforestazione e innalzamento delle acque, ovvero l’impronta della produzione delle materie prime per il cibo (quindi l’agricoltura). Gli agricoltori e i governi di (quasi) tutto il mondo sono alla ricerca di politiche che sostengano la prosperità riducendo al minimo i danni irreversibili all’ambiente. Politiche di sviluppo sostenibile sono sempre più necessarie per l’agricoltura. In questo contesto, il calcolo di impronte dettagliate per gli alimenti e altri prodotti agricoli è fondamentale per sostenere queste politiche. La mappa interattiva può essere consultata su agriculture.spatialfootprint.com