Quando si parla di energia pulita, ambiente, sostenibilità, transizione ecologica, alternative “green”, ecco che viene tirata in ballo l’elettrificazione. L’elettrificazione sembra essere nuova panacea politica, scientifica ed ecologica. Effettivamente, offre numerosi vantaggi, facilmente compresi e apprezzati. Immaginiamo di essere in una città in cui la maggior parte dei veicoli utilizza ancora carburanti fossili, come benzina o diesel. L’aria respirata è pesante e inquinata, con un odore sgradevole. Ora, immaginiamo invece di vivere in una città in cui la maggior parte dei veicoli è elettrica. L’aria è pulita e fresca, senza odori, e il rumore del traffico è notevolmente ridotto.

Questi sono alcuni dei vantaggi dell’elettrificazione nel campo dei trasporti. Ma l’elettrificazione non riguarda solo i veicoli. Significa anche utilizzare energia elettrica pulita al posto dei combustibili fossili per alimentare le nostre case, le aziende e le industrie. Immaginiamo di vivere in un edificio in cui tutto, dagli elettrodomestici all’impianto di riscaldamento, funziona grazie all’elettricità proveniente da fonti rinnovabili, come l’energia solare o eolica. Purtroppo, ci sono dei “però“. L’elettrificazione per affrontare il cambiamento climatico è un obiettivo importante, ma dobbiamo considerare alcuni punti. La transizione verso un’economia basata sull’energia elettrica richiede investimenti nella produzione di energia da fonti rinnovabili, nella costruzione di infrastrutture elettriche e nella ricerca e sviluppo di tecnologie più efficienti ed ecologiche.

A livello teorico è tutto molto avvincente ed incoraggiante, ma bisogna considerare che esistono delle sfide reali che non possono essere ignorate. Rewiring Australia, come la sua controparte statunitense Rewiring America, è un’organizzazione no-profit, indipendente e apartitica, che descrive la sua attività come quella di rappresentazione delle persone, delle famiglie e le comunità nel sistema energetico. Questa attività viene portata avanti dimostrando e comunicando empiricamente i risparmi sui costi, le riduzioni delle emissioni e i benefici dell’elettrificazione per il sistema energetico. Secondo una parte di esperti nel settore energetico, i nobilissimi progetti Rewiring si concentrano su una visione ottimistica, ma saltano le sfide reali e le implicazioni geostrategiche che comporta.

L’elettricità è “alla base di tutto” e una visione troppo ottimistica non porterà da nessuna parte

Come ci ricordano scrittori quali Vaclav Smil, ambientalista ceco naturalizzato canadese, docente emerito presso la Facoltà di Scienze ambientali dell’Università di Manitoba a Winnipeg, e Robert Bryce, i cui articoli sull’energia, la politica e altri argomenti sono apparsi in numerose pubblicazioni (tra cui New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, Forbes, Real Clear Energy, Counterpunch e National Review), l’elettricità è alla base di tutto nella società moderna: sicurezza, abitazione, salute, comunicazione, istruzione e trasporti. Secondo questi esperti dovremmo fermarci a riflettere su come lelettricità abbia trasformato le nostre vite meno di cento anni fa.

Era un bene prezioso che migliorava il tenore di vita e la salute, elementi fondamentali per una comunità prospera. Oggi, l’accesso a un’energia elettrica affidabile, sicura e conveniente è ancora più decisivo. Il progetto Rewiring, ad esempio, non affronta adeguatamente la domanda energetica al di fuori delle abitazioni. Si concentra principalmente sull’energia rinnovabile senza fornire una soluzione completa. Ma ignorare le sfide reali ci fa perdere una lezione fondamentale della storia: il modo in cui l’energia viene fornita e chi la controlla ha causato la maggior parte dei conflitti degli ultimi 80 anni. L’attuale crisi in Ucraina è solo l’ultimo esempio di come l’energia sia stata strumentalizzata a fini geopolitici.

Il problema del rame

È risaputo che la principale sfida nella transizione energetica è la crescente carenza di rame, che è essenziale per la produzione di energia. Grazie alla sua elevata conducibilità elettrica, supporta tutta l’elettronica che utilizziamo, dagli smartphone alle apparecchiature mediche. Non esistono validi sostituti economici del rame: l’argento è troppo costoso e l’alluminio ha una conducibilità elettrica significativamente inferiore. Senza ricerca e investimenti, l’offerta non riuscirà a tenere il passo della domanda. Ma trovare e mettere in produzione una miniera di rame non è un’operazione così semplice.

Le turbine eoliche richiedono il doppio del rame dei generatori tradizionali, mentre i veicoli elettrici ne richiedono da quattro a sei volte di più rispetto ai veicoli a combustione interna. Attualmente, la produzione globale di rame non sarà sufficiente per soddisfare la domanda futura. L’attuale produzione globale di rame è, infatti, circa 24 milioni di tonnellate, di cui 20 milioni provengono dall’estrazione mineraria e il resto dal riciclaggio. Le previsioni indicano una carenza di oltre 5 milioni di tonnellate entro il 2030 che salirà a oltre 7 milioni di tonnellate nel 2035. Questo non è un problema temporaneo che il mercato può risolvere rapidamente. Come fanno notare gli esperti di materie prime S&P Global, lo sviluppo di nuove miniere richiede in media 16 anni, e gli esperti prevedono anche un aumento dei prezzi del metallo.

La totale transizione energetica richiede delle risorse di cui non disponiamo

Allo stesso tempo, le stesse problematiche si applicano anche ad altre materie prime essenziali per la transizione energetica: alluminio, nichel e, in misura minore, gli elementi delle terre rare. Questa carenza di risorse crea una sfida geostrategica significativa. Paesi come la Cina, la Russia, l’Arabia Saudita e l’Iran giocheranno un ruolo sempre più importante nel controllo delle riserve di rame. La dipendenza dalla Cina per la produzione di pannelli solari solleva preoccupazioni sulla sicurezza e la sovranità energetica di molti paesi. La Cina detiene una posizione dominante nella catena di approvvigionamento del rame e delle terre rare (produce già il 50% del rame raffinato a livello mondiale).

D’altro canto, la Russia, l’Arabia, Iran, Afghanistan e la Repubblica Democratica del Congo non staranno lì a guardare, ma saranno pronte a competere. I Paesi africani con ricche risorse minerarie (Zambia, la Tanzania e la Namibia) sono da tempo nel mirino delle società minerarie, ma lo sviluppo delle loro risorse comporta delle sfide.  Andiamo con un esempio che viene riportato dalla rivista Energia, trimestrale scientifico-divulgativo pubblicato su iniziativa di ACI-Automobile Club Italia: Molte analisi prevedono che entro il 2040 circa il 30% delle autovetture del mondo sarà elettrico: una stima prudente e ragionevole, che numericamente si traduce in 500 milioni di veicoli elettrici su un parco veicoli totale di 1,6 miliardi.

Se ogni veicolo elettrico contiene mediamente circa 85 kg di rame, significa che serviranno 42,5 milioni di tonnellate di rame: oltre il doppio dell’attuale produzione annua. Secondo BloombergNEF, entro il 2040 saranno necessari 12 milioni di punti di ricarica domestici oltre a quelli a ricarica rapida. I primi, cosiddetti “di livello 2” richiedono oltre 7 kg di rame ciascuno, mentre i secondi (DC Fast Charge, caricatore veloce a corrente continua, DCFC) ne utilizzano 25.

Mancanza di qualità, quantità e impatto ambientale

Inoltre, non tutti i Paesi che dispongono di grandi quantità di rame, hanno rame della stessa qualità: l’Australia è al secondo posto per le riserve di rame, ma la qualità non è pari a quella dell’America Latina e dell’Africa. I principali produttori mondiali – Cile e Perù – hanno una qualità di minerale in calo. Per non parlare della questione idrica: è da considerare che un progressivo calo del tenore dei giacimenti comporta un maggior consumo di acqua ed energia per mantenere i livelli produttivi. Ma la scarsità d’acqua, fondamentale per la raffinazione, sta a sua volta costringendo i principali produttori a ridurre la produzione.

La siccità è in aumento nelle maggiori aree di produzione: nel 2019, le precipitazioni australiane sono state del 40% inferiori alla media, mentre il Cile ha sofferto la peggiore siccità degli ultimi 60 anni. Sempre per quanto riguarda la questione ambientale, il consorzio cinese Tongguan sta riuscendo a far partire la produzione della gigantesca miniera di rame El Mirador, che raderà al suolo oltre 10.000 ettari di foresta tropicale).

Il rischio geostrategico di puntare solo sul fotovoltaico: la Cina ne ha il monopolio completo

Una seconda sfida geostrategica è la minaccia rappresentata dal puntare esclusivamente sulle energie rinnovabili, in particolare sul solare fotovoltaico, come mezzo per decarbonizzare le forniture energetiche. Secondo i calcoli di Eurostat, nel 2020 l’Ue ha importato circa otto miliardi di euro di pannelli solari, ma il 75% sono fabbricati in Cina. Tra i primi dieci produttori di pannelli solari al mondo, sette sono cinesi. In Europa e in Italia siamo destinati a passare da una dipendenza a un’altra. Il Paese ha continuato a primeggiare anche nel 2021. Le esportazioni di pannelli solari e prodotti affini costruiti in Cina siano cresciute del 60% rispetto all’anno precedente.

La Cina oggi ha un ruolo quasi monopolistico nella produzione di componenti a livello globale. Riesce a coprire da sola con la sua produzione il 41% della quota di mercato. L’Australia, ad esempio, importa più del 90% dei suoi pannelli solari fotovoltaici dalla Cina, che controlla anche le catene di fornitura globali di batterie. Questo è uno dei motivi per cui gli Stati Uniti hanno intrapreso la strada delle sovvenzioni con l’Inflation Reduction Act, una legge federale degli Stati Uniti che mira a contenere l’inflazione riducendo il deficit, abbassando i prezzi dei farmaci da prescrizione e investendo nella produzione di energia nazionale e promuovendo l’energia pulita, che l’Europa sta cercando di emulare. La legge mira a catalizzare gli investimenti nella capacità produttiva nazionale, incoraggiare l’approvvigionamento di forniture all’interno del Paese. Ci sono anche importanti questioni legate ai diritti umani. Alcuni produttori cinesi di impianti fotovoltaici sono stati sanzionati dall’amministrazione Biden per aver utilizzato il lavoro forzato degli Uiguri (etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina). Un recente reportage dell’emittente australiana ABC ha evidenziato il “ventre oscuro” della produzione cinese di pannelli solari.

Il ritorno all’energia nucleare


A livello globale, tuttavia, si assiste a un ritorno all’energia nucleare, con molti Paesi che nell’ultimo anno hanno annunciato piani per la costruzione di nuove centrali nucleari. L’energia nucleare può giocare un ruolo importante nella transizione energetica. È una fonte di energia a basse emissioni di carbonio e può fornire una grande quantità di elettricità in modo continuo. Tuttavia, è importante affrontare le questioni di sicurezza e gestione dei rifiuti nucleari in modo responsabile. È una tecnologia in cui i fornitori nordamericani, europei, giapponesi e sudcoreani sono leader mondiali. Sebbene la Russia sia fortemente coinvolta nella catena di approvvigionamento nucleare, le democrazie occidentali hanno la capacità di ottenerne il controllo.

Ed è anche per questo che gli esperti criticano Rewiring. Quando si parla di nucleare, Rewiring ha poco o nulla da dire. Allo stesso modo, non affronta le sfide del mondo reale legate ai vincoli delle risorse di base. Finché non farà entrambe le cose, il suo tentativo di affrontare il cambiamento climatico non avrà successo. Inoltre, il nucleare rimane l’unica tecnologia in grado di fornire su scala industriale elettricità a emissioni zero 24 ore su 24, 7 giorni su 7, ed è capace di alimentare la parte non residenziale della domanda australiana e statunitense ed Europea.

Ambiente e geopolitica vanno di pari passo

La transizione verso un sistema energetico sostenibile richiederà una combinazione di fonti energetiche, comprese le energie rinnovabili come solare ed eolica, l’energia nucleare, la gestione efficiente dell’energia e l’adozione di tecnologie innovative. Per fare questo in modo armonioso però è essenziale e fondamentale considerare sia gli aspetti ambientali che quelli geopolitici, soprattutto sul lungo termine. L’elettrificazione per affrontare il cambiamento climatico è un obiettivo cruciale, ma dobbiamo essere consapevoli delle sfide reali che comporta. La carenza di risorse essenziali come il rame e il controllo geopolitico su tali risorse sollevano preoccupazioni sulla sostenibilità e la sicurezza della transizione energetica.

La diversificazione delle fonti energetiche, inclusa l’energia nucleare, può essere una parte importante della soluzione, ma è necessario affrontare le questioni di sicurezza e gestione dei rifiuti in modo responsabile. È giusto sottolineare che esistono sforzi, soprattutto da una buona parte della comunità scientifica, per cercare alternative al rame o ridurne l’utilizzo, ad esempio attraverso la ricerca di nuovi materiali conduttori o migliorando l’efficienza dei dispositivi che lo utilizzano. È molto, molto, importante considerare tutti questi aspetti e lavorare su soluzioni sostenibili che affrontino le sfide associate alla transizione verso un sistema energetico basato sull’elettricità. Ciò richiede investimenti nella produzione di energia da fonti rinnovabili, nella ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e nell’adozione di politiche energetiche lungimiranti. Inoltre, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico e la collaborazione internazionale possono contribuire a mitigare le implicazioni geostrategiche legate alla transizione energetica.