Avete mai sentito parlare di specie invasive esotiche o autoctone? Forse no, ma secondo gli scienziati, dovremmo iniziare a preoccuparcene. Un nuovo rapporto pubblicato sul Journal of Animal Ecology ha sollevato importanti dubbi sulle attuali misure di protezione basate sull’ eradicazioni di specie esotiche invasive – una delle principali minacce alla biodiversità – che hanno avuto uno straordinario successo in tutto il mondo. Nelle praterie nell’altopiano del Qinghai-Tibetan, si scopre che il tentativo di sradicare alcuni adorabili roditori sta facendo più male che bene all’ecosistema e che è giunto il momento di ripensare l’approccio.
Cosa si intende per specie esotica e specie esotica invasiva?
Per specie esotica si intende una specie portata dall’uomo, in maniera volontaria o accidentale, al di fuori della sua area di origine. Nella definizione classica, data nell’ambito della Convenzione della Biodiversità e ripresa dal Regolamento Eu 1143/14, sono inclusi semi, i propaguli, le uova, ma anche le razze e le varietà delle specie in questione in grado di sopravvivere e riprodursi. Sinonimi del termine esotico sono: alieno, alloctono, introdotto, non-nativo, non-indigeno. Al contrario, una specie presente nella sua area di origine è definita autoctona o nativa o indigena.
Per specie esotica invasiva si intende una specie esotica la cui introduzione e diffusione causa impatti negativi alla biodiversità e ai servizi ecosistemici collegati (cioè i servizi che gli ecosistemi assicurano all’uomo come l’acqua e l’aria pulite, il legname o l’impollinazione). Anche se la definizione di specie esotica invasiva si riferisce solo ai danni ambientali, molte specie invasive causano impatti anche sulla salute umana e sull’economia. Non tutte le specie esotiche sono invasive, cioè dannose, e anzi di norma solo una piccola percentuale delle specie esotiche che arrivano su un dato territorio creano problemi (per esempio delle 12.000 specie esotiche registrate in Europa, il 10-15% è ritenuto invasivo). IAS (Invasive Alien Species) è l’acronimo inglese, molto utilizzato anche in italiano, che le identifica.
Che problemi causano?
Le specie esotiche invasive sono un problema serio per la biodiversità in tutto il mondo. Queste specie, che provengono da altre regioni e si diffondono in nuovi habitat, rappresentano una delle principali cause di perdita di biodiversità, dopo la distruzione degli habitat naturali. Questo fenomeno minaccia la sopravvivenza di molte specie autoctone, portando a conseguenze sociali ed economiche significative. Ad esempio, solo nell’Unione Europea, si stima che le specie esotiche invasive causino danni economici di oltre 12 miliardi di euro all’anno. Possono causare l’estinzione di specie native, alterare la composizione delle comunità biologiche in un’area, distruggere interi habitat o influenzare i processi di erosione del suolo.
Possono anche rappresentare una minaccia per la salute umana e animale, trasmettendo allergie e malattie. Un esempio noto in Italia è quello del punteruolo rosso delle Palme, un insetto proveniente dall’Asia che ha causato la morte di numerose palme in diverse zone costiere italiane. Le specie esotiche invasive hanno anche un impatto negativo sulle attività umane. Possono distruggere raccolti agricoli, danneggiare il bestiame e causare danni alle infrastrutture, come gli argini dei fiumi. Ad esempio, il giacinto d’acqua, una pianta acquatica originaria dell’America meridionale, può diffondersi rapidamente nei corsi d’acqua, rendendoli inagibili per la pesca e il trasporto delle merci.
Negli ultimi decenni, il numero di specie esotiche è aumentato in modo significativo, grazie alla globalizzazione, al commercio internazionale e al turismo. Questo problema non sembra diminuire, e le invasioni biologiche sono in continua crescita. È importante sottolineare che l’introduzione di specie esotiche è sempre il risultato dell’azione umana. Diversi fattori socio-economici, come la densità di popolazione e le reti di trasporto, influenzano il rischio di invasione da parte di specie esotiche. Le principali vie di ingresso delle specie aliene sono i porti e gli aeroporti, dove merci e persone possono accidentalmente o intenzionalmente veicolarle.
Tuttavia, il commercio di piante ornamentali e animali da compagnia, l’introduzione volontaria per scopi di pesca e caccia sportiva e il rilascio da parte dei cittadini svolgono anche un ruolo significativo nella diffusione. È fondamentale adottare misure per prevenire e gestire l’introduzione di specie esotiche invasive, al fine di proteggere l’ambiente, la biodiversità e le attività umane. La consapevolezza del problema e la promozione di pratiche sostenibili sono essenziali per affrontare questa sfida e preservare gli ecosistemi naturali. Tuttavia, alcune strategie di eradicazione non sembrano risolvere il problema, anzi, creano un ulteriore danno alla natura.
La politica di eradicazione in Tibet non è affatto un buon approccio al problema, dicono gli scienziati
Fin dal 2000, le politiche di protezione delle praterie Tibetane hanno incoraggiato l’eradicazione dei piccoli mammiferi, come il pika– l’animale al quale si sono ispirati per Pikachu dei Pokemon- (Lacépède) dell’altopiano (tutte le specie di questo sottogenere sono diffuse nell’emisfero boreale, in particolare in Eurasia (Russia, Cina, Mongolia, Giappone) e Nord America, e lo zokor, roditore asiatico da tana che assomiglia ai topi talpa. Gli Zokor sono originari di gran parte della Cina, del Kazakistan e della Russia siberiana.
Questi pelosi ingegneri dell’ecosistema non fanno parte delle “specie esotiche” o “aliene”, perché sono originarie di queste stesse zone (sono specie autoctone), anche se da tali vengono trattati. La campagna per l’eradicazione definitiva dei pika dell’altopiano e degli zokor, fa parte degli sforzi delle agenzie governative cinesi per proteggere le praterie. La politica fa parte di un’iniziativa nazionale, il progetto Returning Grazing Land to Grassland, e si basa sul presupposto che i roditori causano danni alle praterie consumando il fogliame, entrando così in competizione con il bestiame al pascolo per il cibo e causando l’erosione del suolo.
Gli autori del rapporto “Anchoring grassland sustainability with a nature-based small burrowing mammal control strategy” hanno scoperto che questa politica si basa però su informazioni incomplete e non tiene conto di tutti gli effetti che l’abbattimento di questi roditori può causare. Secondo il professor Johannes Knops dell’Università Xi’an Jiaotong-Liverpool, “uccidere a raffica tutti i piccoli mammiferi non è un buon approccio“.
Invece, gli scienziati propongono di adottare una strategia di controllo basata sulla natura per gestire in modo più sostenibile le praterie. Lo studio ha rivelato che l’utilizzo dei predatori naturali e di altri fattori ecologici per regolare le popolazioni dei mammiferi, potrebbe essere un approccio più efficace e rispettoso dell’ambiente. Questo nuovo metodo ha importanti implicazioni per la gestione degli ecosistemi e la loro biodiversità in tutto il mondo.
Ma perché dovremmo preoccuparci del pika e dello zokor che sono così lontani da noi?
Questi adorabili roditori giocano un ruolo cruciale nella salute degli ecosistemi. Le praterie dell’altopiano del Qinghai-Tibet sono fondamentali per la qualità dell’acqua che scorre nei principali fiumi asiatici, come lo Yangtze e il Giallo. Inoltre, il loro degrado può aumentare il rischio di eventi alluvionali. Il problema principale è che la politica di eradicazione dei roditori si basa sull’idea che essi danneggino le praterie competendo con il bestiame per il cibo e causando l’erosione del suolo. Ma gli scienziati hanno dimostrato che questa visione è troppo semplicistica. “Non tutti gli animali mangiano le stesse piante“, afferma il professor Knops, “quindi dobbiamo considerare l’intera catena alimentare invece di uccidere indiscriminatamente tutti i piccoli mammiferi“.
In effetti, gli autori del rapporto hanno scoperto che questi animali possono effettivamente contribuire a prevenire il degrado delle praterie. Attraverso i loro rifugi, aumentano la diversità delle piante, favoriscono la dispersione dei semi e forniscono rifugi ad altre specie. Inoltre, le loro tane aiutano a ridurre il deflusso delle acque superficiali e l’erosione del suolo. Insomma, sembra che questi roditori facciano un lavoro importante per mantenere l’equilibrio negli ecosistemi, tutto il contrario delle motivazioni per le quali vengono soppressi.
I discutibili metodi di eradicazione
Ma c’è di più. Gli attuali metodi di eradicazione, come l’avvelenamento, possono causare danni collaterali. Ad esempio, le specie bersaglio possono sviluppare resistenza ai veleni e altre specie innocenti possono essere colpite. Inoltre, uccidendo i predatori naturali dei roditori, si crea uno squilibrio nell’ecosistema e si aumentano i conflitti tra uomo e fauna selvatica. Quindi, come risolvere il problema? Gli scienziati suggeriscono di riconsiderare e revocare la politica di eradicazione.
Secondo loro, oltre a dover adottare un approccio di controllo basato sulla natura, bisognerebbe creare spazi per la nidificazione per gli animali più delicati (ad esempio i rapaci) e una gestione più oculata del pascolo del bestiame. Mantenendo una densità stabile e bassa di alcune specie considerate invasive, si possono promuovere pratiche di pascolo sostenibili, preservare la biodiversità e ridurre i conflitti tra uomo e fauna selvatica. Sono necessarie ulteriori ricerche per perfezionare questo approccio, ma i risultati dello studio offrono importanti indicazioni sul ruolo ecologico dei piccoli mammiferi e su come la loro presenza sia fondamentale per la salute dell’ecosistema.
Bisognerebbe studiare bene, caso per caso, prima di considerare un animale invasivo e da eradicare. Quindi, se avrete la fortuna di vedere un pika dell’altopiano o uno zokor, pensate a quanto sono importanti per gli ecosistemi del loro habitat. È fondamentale prestare attenzione ai report dei ricercatori che studiano le specie esotiche invasive. Queste informazioni ci aiutano a comprendere l’importanza di proteggere l’ecosistema e di permettere alle specie autoctone di svolgere il loro ruolo naturale. Quando proteggiamo gli animali e gli habitat naturali, in realtà stiamo proteggendo anche noi stessi.