La Corte Suprema ha ribadito ancora una volta che i social non rispondono dei post pubblicati dagli utenti

In due casi distinti, la Corte Suprema americana ha ribadito per l’ennesima volta che i social network non sono responsabili legalmente per i contenuti pubblicati dai loro utenti. Anche quando quest’ultimi postano propaganda terroristica. Il diritto europeo segue principi molto simili.

La Corte Suprema ha emesso due sentenze a favore delle aziende tecnologiche che continueranno a proteggerle da responsabilità per ciò che gli utenti pubblicano sulle loro piattaforme. Nel primo caso, i giudici sono concordi nel ritenere che Twitter non dovrà rispondere dell’accusa di aver aiutato e istigato il terrorismo — sulla base di alcuni tweet pubblicati dall’ISIS e rimasti a lungo sulla piattaforma.

La SCOTUS ha annullato una decisione di un tribunale inferiore che aveva consentito il proseguimento di una causa legale contro Twitter dopo che inizialmente un altro giudice l’aveva respinta. La causa era stata intentata dai parenti statunitensi di Nawras Alassaf, un uomo ucciso in un attacco a Istanbul nel 2017 rivendicato dall’ISIS. I giudici hanno stabilito che ospitare discorsi terroristici generali non crea una responsabilità legale indiretta per attacchi terroristici specifici, come riporta CNN. Ciò renderà probabilmente più difficile per le vittime degli attacchi terroristici o per i loro parenti intentare cause simili contro le piattaforme online in futuro.

“Certamente, potrebbe accadere che attori malintenzionati come l’ISIS riescano a utilizzare piattaforme come quelle dei convenuti per scopi illegali – e talvolta terribili. Ma lo stesso si potrebbe dire dei telefoni cellulari, delle e-mail o di Internet in generale”

“Certamente, potrebbe accadere che attori malintenzionati come l’ISIS riescano a utilizzare piattaforme come quelle dei convenuti per scopi illegali – e talvolta terribili. Ma lo stesso si potrebbe dire dei telefoni cellulari, delle e-mail o di Internet in generale”, ha scritto il giudice Clarence Thomas nella sentenza della Corte. “Concludiamo che le affermazioni dei querelanti non sono sufficienti per dimostrare che questi convenuti abbiano aiutato e istigato l’ISIS nell’attuazione dell’attacco in questione”.

I giudici hanno inoltre respinto il caso di Gonzalez v. Google, che accusava l’azienda di violare le leggi antiterrorismo degli Stati Uniti. Pertanto, hanno confermato la decisione di un tribunale inferiore di respingere una causa intentata contro YouTube dai familiari di una vittima dell’attacco terroristico del 2015 a Parigi. Essi sostenevano che le protezioni della Sezione 230 non dovrebbero applicarsi a Google e a YouTube in questo caso, poiché gli algoritmi di quest’ultimo non si limitavano a permettere la presenza di alcuni video dell’ISIS, ma li promuovevano proattivamente, favorendone la diffusione.

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