In base a quanto riporta l’Ansa, secondo un nuovo studio condotto dall’Università della California a Davis, la produzione di carne coltivata potrebbe avere un impatto ambientale significativo, da 4 a 25 volte superiore rispetto alla produzione media di carne bovina nel breve termine, se verranno utilizzati mezzi di crescita altamente raffinati. Tuttavia, gli autori della ricerca sottolineano che la valutazione dell’impatto ambientale delle tecnologie emergenti, come la carne coltivata, è ancora un campo di indagine recente e richiederà ulteriori studi.

Nello studio, i ricercatori sono stati analizzati parametri quali i costi energetici associati a ogni fase della produzione di carne coltivata, concentrandosi sulle sostanze nutrienti utilizzate per far crescere le cellule staminali impiegate nel processo. Si è scoperto che queste sostanze nutrienti hanno un impatto significativo sull’ambiente, specialmente a causa dei processi di trattamento necessari per prevenire la formazione di tossine o batteri. Carlo Alberto Redi presidente del Comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi, sentito dall’agenzia di stampa italiana, ha sottolineato l’importanza di valutare l’impatto ambientale della carne coltivata come parte della valutazione di questa tecnologia emergente.

Secondo Redi, la produzione di alternative alla carne bovina è necessaria a causa del contributo elevato delle emissioni di gas serra causate dall’allevamento del bestiame. Dal 1961 al 2020, la produzione globale di carne è aumentata da 70,57 milioni di tonnellate a 337,18 milioni di tonnellate, causando un aumento corrispondente delle emissioni di gas serra derivanti dagli allevamenti.

La carne coltivata è come le auto elettriche 20 anni fa

Redi però ha anche sottolineato che gli attuali sistemi di produzione di carne coltivata, se portati a una scala di produzione significativa per sostituire una percentuale considerevole della produzione mondiale di carne, potrebbero risultare più inquinanti dell’allevamento di bestiame. Tuttavia, l’analisi dettagliata condotta dagli studiosi si basa su diverse assunzioni di variabili, come la quantità, la qualità, il costo e i metodi di produzione dei reagenti e delle fonti di energia utilizzati.

Michele Morgante, genetista dell’Università di Udine e membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei, ha commentato lo studio, affermando che l’analisi dell’impatto ambientale della carne coltivata non esclude la possibilità di utilizzare questa nuova tecnologia, ma evidenzia la necessità di ulteriori ricerche prima di avviare una produzione su larga scala. Ha paragonato la situazione attuale a quella delle auto elettriche 20 anni fa, sottolineando che il sistema per la produzione su larga scala della carne coltivata non è ancora pronto e richiede ulteriori sforzi di ricerca. Un punto cruciale emerso dalla ricerca riguarda il processo di purificazione delle endotossine, necessario per prevenire la contaminazione batterica e garantire una produzione ottimale di cellule staminali.

Morgante ha osservato che altri ricercatori potrebbero considerare questo fattore meno rilevante. Inoltre, senza i passaggi di purificazione, l’impatto ambientale potrebbe essere ridotto secondo l’analisi appena pubblicata. Pertanto, alla luce di questi risultati, lo studio californiano non esclude l’utilizzo della carne coltivata, ma indica la necessità di apportare modifiche al processo produttivo al fine di evitare la complessità del sistema di purificazione. Possibili soluzioni potrebbero includere l’utilizzo di cellule staminali che non siano inibite dalle endotossine o la ricerca di nuovi mezzi di coltura per le cellule staminali.