Peter Pan & Wendy: quanto si differenzia dall’opera di Barrie?

In concomitanza del nuovo adattamento televisivo, dal 26 aprile su Disney+, è doveroso evidenziare gli analogismi o le differenze tra l’opera originale di James Barrie e l’ultima trasposizione a cura di David Lowery.

Tutti i bambini crescono, tranne uno.

Forse si tratta de l’incipit più famoso della letteratura per ragazzi e non solo, anche grazie alla prima trasposizione a cura di Walt Disney. La favola di Peter Pan, e del suo autore, è una storia straordinaria che continua a far sognare milioni di bambini e soprattutto a donare fondi all’ospedale pediatrico di Londra. Ma forse non tutti sanno che dietro alla storia del bambino che non vuole crescere, c’è un’opera molto più profonda di quello che si possa pensare e in concomitanza del nuovo adattamento televisivo a cura della Disney è doveroso evidenziare gli analogismi o le differenze tra l’opera originale e l’ultima trasposizione. Iniziamo con il papà di Pan, quel James Barrie che non è sicuramente famoso quanto l’opera a cui ha dato vita. Nel 1904 usciva un pezzo teatrale chiamato Peter Pan o il ragazzo che non voleva crescere e pochi anni dopo arrivò il romanzo corrispondente Peter Pan & Wendy. Nel film “Neverland” ci sono tutte le fasi che hanno portato Barrie a inventare il fantastico mondo di Peter, da Uncino all’Isola che Non c’è, evidenziando il motivo che ha indotto James a creare lo stesso Peter. La nascita di Pan è in un momento ben delineato dell’infanzia dello scrittore.

A sei anni il fratello maggiore David muore per un incidente di pattinaggio sul ghiaccio, il giorno prima del suo quattordicesimo anno. La tragedia lascia sua madre devastata e Barrie cerca di risollevarla in ogni modo, arrivando a indossare perfino i vestiti di David e fischiettando nel modo in cui lo faceva lui. L’incontro casuale con i cinque figli dei coniugi Sylvia e Arthur Davies, unito al ricordo mai svanito della perdita del fratello, fanno nascere l’idea di un bambino che non vuole crescere e che vive in un’Isola dove è impossibile morire. Proprio da questo gioco, tra risa e spensieratezza, nacque l’idea di Peter Pan, ma l’illuminazione e la nascita del personaggio avviene in un modo un po’ frammentato. I primi accenni al ragazzo che non voleva crescere risalgono al 1902 in L’Uccellino Bianco, dove Peter era un neonato di sette giorni, poi, nel 1904, nasce l’opera teatrale Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere, dove Peter è un adolescente. Da queste due opere successivamente prende vita il romanzo Peter Pan nei Giardini di Kensington e il successo che ebbe questo giovane personaggio portò il suo autore a scrivere l’opera Peter Pan e Wendy nel 1911.

Proprio da questo gioco, tra risa e spensieratezza, nacque l’idea di Peter Pan, ma l’illuminazione e la nascita del personaggio avviene in un modo un po’ frammentato.

Nel 1929 James Barrie compì un’azione di straordinario altruismo (ancora valida): donò tutti i diritti della propria opera al Great Ormond Street, il principale ospedale pediatrico di Londra. I bambini, soprattutto gli orfani, erano il più grande cruccio di Barrie, il volerli aiutare in qualsiasi modo era la priorità per lo scrittore. La stessa statua di Peter Pan, installata nel 1912 nei giardini di Kensington, doveva rappresentare per i bambini, che la osservavano, il vero Peter. Eretta in segreto durante la notte per la mattina del primo maggio, la storia raccontata da Barrie era semplice, ma d’impatto: l’unico modo per Peter di rimanere a Londra, senza crescere, era quello di farsi tramutare in statua. I bambini che dal giorno alla notte videro la statua, unita alla storia raccontata dallo stesso Barrie, ovviamente non facevano altro che alimentare il grande sogno dello scrittore: credere che quella statua di bronzo fosse realmente Peter Pan.

Peter Pan & Wendy: giusto riproporlo?

Assolutamente sì, in quanto si tratta di una delle fiabe più eclettiche dal punto di vista del simbolismo e del significato, si potrà e soprattutto si dovrà raccontarla di continuo, in quanto le sfaccettature dei personaggi ne permettono questa possibilità. Tuttavia è giusto ribadire che la Disney nel 1953 ha probabilmente fissato nell’immaginario collettivo il film più importante che è stato realizzato su questa tematica. Un film così iconico, e anche ben rappresentato, dal quale i registi e sceneggiatori, che si approcciano all’Isola che Non C’è, devono in qualche modo averci a che fare. L’ultimo live-action, disponibile su Disney+ dal 26 aprile, decide per la primissima volta di utilizzare il primo titolo originale dell’opera dando finalmente lo stesso spazio e la stessa importanza sia a Wendy che a Peter Pan. Walt Disney negli anni trenta rimase molto colpito dall’opera teatrale Peter Pan, ne vestì anche i panni durante una recita scolastica e proprio per questo motivo decise di creare il lungometraggio animato dopo il successo di Biancaneve e i Sette Nani. Il problema però furono i diritti dell’opera, che lo scrittore, aveva donato all’ospedale Great Ormond Street Hospital di Londra, quindi ci fu un contratto più lungo del solito. L’accordo con l’istituzione sanitaria avvenne dopo molto tempo e la seconda guerra mondiale e altri problemi tecnici e politici, ritardarono ancora di più i tempi di realizzazione del lungometraggio che avvenne solo nel 1953, dopo Pinocchio, Bambi e Cenerentola. Ma gli anni duemila sono gli anni dei live-action e dopo diverse riproposizioni anche la Disney doveva riprendere il mano l’Isola che Non C’è.

Walt Disney negli anni trenta rimase molto colpito dall’opera teatrale Peter Pan, ne vestì anche i panni durante una recita scolastica e proprio per questo motivo decise di creare il lungometraggio animato

Peter Pan & Wendy: i punti a favore

Come abbiamo già ricordato la scelta del titolo è veramente azzeccata. Finalmente la storia si riappropria dell’originalità dello script teatrale inserendo la co-protagonista dell’intera vicenda all’interno del titolo. Wendy non è solo la spalla di Peter Pan, ma è letteralmente la protagonista della vita dello stesso Pan, la stessa decide di seguire il fanciullo per darle un po’ d’amore, anche se a mo’ di balia. Da adulta diventerà madre e insegnerà alle sue figlie a fare da madri a Peter Pan, offrendo generazioni di nipoti e pro-nipoti che seguiranno Pan nelle sua avventure, ecco perché il ruolo di Wendy non è secondario, ma primario come lo stesso Peter. La caratterizzazione data da Ever Anderson è molto fresca e decisa e si avvicina moltissimo a quella descritta dallo stesso Barrie. Il timore di una bambina che sta entrando nell’età più difficile, quella della crescita, è ben rappresentata dall’attrice figlia di Milla Jovovich, anche se qua viene raffigurata dall’entrata in collegio e non dalla classica uscita dalla cameretta dei fratelli.

Oltre a Wendy c’è un’altra protagonista che è perfettamente messa in scena: l’Isola che Non C’è. L’Isola, da sempre disegnata come un paradiso tropicale, qua sviluppa più un paesaggio britannico che hawaiano (probabilmente molto più vicino all’idea di Barrie) con una lotta cromatica di tonalità fredde e calde che fanno da sfondo ad un mondo quasi desaturato dai colori vivi della Neverland del 1953. La grande differenza con il film d’animazione, che ha in qualche modo indirizzato l’immaginario collettivo da più di cinquant’anni, è sotto gli occhi di tutti fin dal trailer, tuttavia le mani di Lowery e del direttore della fotografia Bojan Bazelli, riescono a donare allo spettatore la Neverland più vicina all’immaginario di Barrie che si potesse chiedere. Scogliere a picco, verdi prati tipici delle coste inglesi, un sottobosco selvaggio e cupo rendono l’Isola che Non C’è finalmente quel luogo magico e misterioso che l’autore inglese scrisse agli inizi del novecento. In questa Isola che Non C’è corrono altri protagonisti scritti in modo magistrale: i Bimbi Sperduti rappresentati in tutti i modi possibili e immaginabili, dei “bimbi speciali” caduti dalle carrozzine che non vengono reclamati per una settimana e che giungono a Neverland salvati dallo stesso Pan (ottimo l’inserimento di un bambino con una sindrome di Down a voler abbracciare ogni categoria).

E infine c’è l’antitesi del bene, quel Giacomo “Hook” Uncino interpretato da un magistrale Jude Law. Sì è proprio il capitano dei pirati oscuro tanto nel carattere quanto nell’aspetto che lo scrittore inglese scrisse nel suo manoscritto. Il pirata è molto violento e non si fa scrupoli a uccidere perfino i suoi marinai se lo infastidiscono: il suo carattere di ferro lo abbandona solo quando sente il ticchettio dell’orologio che annuncia il coccodrillo che lo insegue e nel caso del nuovo film quando sente il nome dello stesso Peter Pan. Il senso di solitudine del pirata è evidente, si isola dalla ciurma perché troppo diverso da loro e li tiene lontani trattandoli come semplici “schiavi”. E’ quasi sempre incattivito nei loro confronti, come negli scritti dello stesso Barrie, perché vorrebbe far parte di un gruppo. Tuttavia insieme a loro condivide le scorrerie tipiche dei pirati, che gli servono per distrarsi dalla sua noiosa vita e nei suoi ultimi anni di vita Hook rimpiange addirittura di non aver avuto figli (negli scritti di Barrie) anche se nel caso della pellicola di Lowery il suo rimpianto è il passato da “amico” dello stesso Pan.

Peter Pan & Wendy: i punti a sfavore

Iniziamo direttamente dall’ultima riflessione su Giacomo Uncino. Hook è una persona colta, e tiene molto alle buone maniere, il suo abbigliamento proprio per questo si differenzia così tanto dal resto della ciurma, ed è uno dei motivi dell’astio con Peter; da una parte la sua signorilità si contrappone agli scherni di Pan. Ovviamente il capitano è l’acerrimo nemico di Peter, lo odia per la sua impertinenza e vuole vendicare, tra le tante cose, la sua mano destra che il bambino gettò al coccodrillo. Inoltre Uncino ha un problema con il suo essere bambino, è per questo che cerca di rimettere in riga il suo nemico e Pan di contrappasso ha un problema con la crescita. Tutte queste sfaccettature sono state affrontate nella nuova pellicola Peter Pan & Wendy? Purtroppo no…anzi la nuova frontiera del “reinterpretare” ci ha donato un Uncino straordinario dal punto di vista dell’interpretazione, ma con una assurda storyline e background: essere amico di Peter per poi essere cacciato dalla banda dei Bimbi Sperduti è quanto di più azzardato ci si potesse aspettare nella riscrittura di questo temibile pirata. E Peter Pan? Anche sul protagonista della pellicola le cose non sono andate bene. Ricordiamo che Peter è un nichilista, è l’emblema di un’infanzia perduta, è la reazione che sembra indifferente, ma che cela un dolore lacerante: è un bambino a cui è stato negato il futuro poiché è morto prima ancora di diventare del tutto reale. Questo punto focale dell’animo di Peter Pan purtroppo viene totalmente ribaltato, in questa pellicola lo vediamo anche insicuro in alcuni frangenti (una situazione utopistica per Barrie) fino alla perdita del volo, altro elemento fondante sul personaggio di Peter: lui non ha nemmeno più bisogno della polvere di fata in quanto vivendo nell’Isola che non c’è il suo pensiero felice è costante, cosa che qua decade miseramente.

Ricordiamo che Peter è un nichilista, è l’emblema di un’infanzia perduta

Peter Pan è un bambino senza età, un’entità intrappolata nelle drammatiche conseguenze delle sue stesse decisioni, che reagisce con la passività aggressiva che lo trasforma per sempre nell’archetipo dell’infantilismo e dell’irresponsabilità. Più volte all’interno del testo dimenticherà con noncuranza il nome dei suoi amici e sarà presente nel corso delle avventure più per un torna conto personale che per un reale interesse. Peter difatti vive immerso in una realtà dionisiaca che appartiene solo a lui e che contempla solo ed unicamente i suoi interessi. Nella pellicola di Lowery ci viene presentato e abbozzato un personaggio che sì ama giocare, ma non nel modo che viene descritto da Barrie, è un personaggio in balia delle situazioni che si fa sopraffare da quello che gli accade intorno e che addirittura prende in considerazione il fatto di rimanere con Wendy a Londra, una volta ricordato che la sua infanzia l’aveva passata all’interno della casa dei Darling: purtroppo è un grande no la reinterpretazione di questo personaggio. Il cruccio è forse la mancanza di coraggio (da moltissimi autori) nel mostrare al pubblico il “vero” Peter Pan, un eroe cangiante, ai limiti della psicosi, in quanto all’inizio lo seguiresti in ogni battaglia per poi renderti conto che sei soltanto una pedina del suo gioco, con pochissima importanza.

E la fidata Trilli, amica di mille avventure? Anche qua ci troviamo di fronte ad un’interpretazione che da un lato è interessante, la coalizione con Wendy, ma che di base fa decadere le idee dello stesso Barrie nei confronti di Campanellino. Non si sfugge (e non si deve omettere) dal sentimento di possesso che la fata ha per il suo Peter. Lei è gelosa di Wendy, e alla prima occasione prova anche a farla eliminare, tuttavia la sua devozione per Peter è così alta che decide di sacrificare la sua vita per lui. Questo è un sentimento forte anzi potentissimo, infatti solo dopo aver compreso che Wendy non potrà essere un pericolo la fata decide di diventarci amica. Aver ribaltato totalmente questa situazione è stato un altro punto a sfavore per la pellicola. Giglio Tigrato e la sua tribù di Pellerossa (sì utilizziamo i termini scritti da Barrie) praticamente non pervenuti, come le sirene, e relegati a delle comparse senza particolari caratterizzazioni; una Giglio Tigrato praticamente trasformata in un cavaliere errante che trasporta persone da un punto A ad un punto B. E infine, non per ultimo d’importanza, il tema principale del gioco è fin troppo sostituito dal tema dell’avventura. All’interno di Neverland tutti gli abitanti creano un vortice circolare e continuo, proprio a voler significare che i giochi sull’isola sono di durata infinita, ci si deve divertire sempre, e ci si può fermare solo in mancanza di Peter. Questo tema si accenna su alcuni dialoghi, su alcuni sguardi, ma forse si è voluto fin troppo esplorare l’avventura dimenticando appunto il gioco: il vero cuore pulsante dell’Isola che non c’è e di tutta l’opera. Tuttavia nonostante questi punti a sfavore, ogni qualvolta si riprende il tema di Peter Pan si deve essere felici (sì proprio la parola che ama Barrie) perché in primis si continua l’opera di sensibilizzazione per un ospedale pediatrico, e in secondo luogo si esplora uno dei classici della letteratura, inoltre la pellicola di David Lowery, pur distaccandosi in diverse parti è riuscito comunque a mantener uno dei focus principali:

L’importanza del conservare una piccola parte infantile di sé, seppur nell’ineluttabilità della crescita

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