Con l’uscita al cinema di Guardiani della Galassia vol.3 si conclude la trilogia del Marvel Cinematic Universe ideata da James Gunn. Il contributo di Star Lord e dei suoi compagni di viaggio all’universo della Casa delle Idee è stato molto importante in questi anni, e, a mio parere ha reso i Guardiani della Galassia la saga Marvel perfetta. Il motivo lo proverò a spiegare qui di seguito.

 

Gli anni Ottanta omaggiati e riadattati

Il citazionismo ha fatto parte di quasi tutto il Novecento, grazie all’avvento del postmodernismo, e di quel modo di narrare che ha unito universi narrativi provenienti da varie sfere creative. Il fatto che il Novecento sia stato anche il secolo in cui la cultura è stata alla portata di tutti, al punto tale da guadagnarsi una sfera apposita (stiamo parlando della cultura popolare), ha aumentato a dismisura la quantità di contaminazioni dell’immaginazione capaci di plasmare una vera e propria realtà alternativa. Gli anni Ottanta sono il decennio del Novecento che James Gunn ha individuato come il suo preferito da citare e sfruttare a livello creativo. Si tratta di un’epoca che negli ultimi dieci anni  è stata ampiamente raccontata e citata, ma il modo in cui il regista James Gunn è riuscito a renderla così determinante e presente nei Guardiani della Galassia merita di essere approfondito. In questo caso non stiamo parlando solo di citazioni e di brani musicali da colonna sonora inseriti in maniera sparsa all’interno de film, ma lo stesso impatto visivo e narrativo dei Guardiani della Galassia è debitore degli anni Ottanta. L’idea di assemblare un gruppo di underdogs, rendendoli dei vincenti è uno dei leitmotiv dei film anni Ottanta e della cultura sociale ed economica di questo decennio. Partire da svantaggiati non è un problema se si hanno le qualità e la propensione giusta. E di certo Rocket Raccoon, Drax e Groot sono l’emblema degli underdogs capaci di farcela.

Ma gli anni Ottanta sono stati anche un’epoca machista, ipertrofica, capace di sovrabbondare. E sotto un certo punto di vista anche I Guardiani della Galassia abbondano. I colori dei film della saga sono vivacissimi, l’atmosfera da Space opera strizza tutti e due gli occhi alla prima trilogia di Star Wars, e proprio la saga di George Lucas sembra vivere molto più attraverso il super gruppo guidato da Star Lord, che nella nuova trilogia che ha introdotto il personaggio di Rey. L’aspetto che ha voluto marcare James Gunn, differenziandolo dagli ipertrofici e machisti anni Ottanta (che mettevano al centro figure come Rambo e Cobra), è il fatto che personaggi “grandi e grossi” vengano ridicolizzati, e resi delle macchiette. E proprio questa carica umoristica, ad un certo punto, diventa la forza degli stessi character. Prendiamo in esempio Drax, ed il fatto che a interpretarlo ci sia un ex wrestler come Dave Bautista. L’essere buffo, ed il fatto che a volte Drax si renda ridicolo diventa una forza narrativa del personaggio. James Gunn è stato attento nel prendere solo ciò che d’intrigante gli anni Ottanta potevano dare ai Guardiani della Galassia, contemporaneizzandosi in altri aspetti. Ed uno tra gli elementi di aggiornamento è stato anche il ruolo dato ai personaggi femminili.

Tutti possiamo essere famiglia, o come direbbe uno dei personaggi preferiti del gruppo “Noi siamo Groot”.

Gamora e Nebula rappresentano delle figure forti e profonde. Le due sorelle sono i veri personaggi duri e puri della saga, a volte anche troppo. Si tratta di due character che si dovranno confrontare con la difficile origine che le accomuna, aspetto che le ha portate a dover fare i conti con una vita difficile, che spesso non ha lasciato spazio ai sentimenti. Ma, sotto questo punto di vista, gli altri Guardiani della Galassia aiuteranno a completare la sfera emotiva di Nebula e Gamora, rendendole capaci di amare sé stesse e gli altri. Ed è in questa maniera che, alla fine, si è plasmato un super gruppo capace di rappresentare praticamente ogni tipo di personaggio eroico possibile. E, proprio a riguardo, meritano una menzione speciale Rocket Raccoon e Groot, due tra i più anticonvenzionali eroi mai visti in un universo cinematografico supereroistico. Rocket deve convivere con l’essere regolarmente ridicolizzato ed etichettato come un semplice procione, mentre Groot ha un unica ed ormai iconica frase per poter definire sé stesso e comunicare. L’idea di riuscire a far convivere dei temi da cinecomic classico con aspetti originali e fuori dal comune per un blockbuster poteva essere un qualcosa capace di venire in mente solo ad un regista proveniente da un ambiente ultra indipendente come James Gunn.

Tra originalità e sentimento

Ricordiamo che il regista dei Guardiani della Galassia ha inizialmente lavorato con la Troma di  Lloyd Kaufman, una casa di produzione indipendente che proponeva negli anni Ottanta e Novanta produzioni di genere a basso costo. Il lavoro fatto dalla Troma su personaggi come Il Vendicatore Tossico ha permesso a James Gunn di mantenere una mente molto aperta sulle possibilità creative delle storie di genere. Perché adattarsi a realizzare una storia di supereroi classica, quando si potrebbero proporre come tali delle figure completamente anticonvenzionali? Del resto si tratta dello stesso ragionamento fatto da Stan Lee all’epoca della nascita di Spider-Man. Non è detto che esistano solo supereroi senza macchie e senza paura, ci sono anche figure con super problemi, e, a questo punto, anche procioni capaci di salvare la galassia, affiancati da piante umanoidi in grado di esprimersi con una sola frase comprensibile.

James Gunn è stato un regista capace di lavorare con una gamma di colori ben più ampia rispetto a quelli generalmente utilizzati nei film sui supereroi.

Fantasia allo stato puro, personaggi caratteristici, situazioni inverosimili rese credibili dal modo di essere e di muoversi sulla scena da parte degli stessi protagonisti, tanta nostalgia di un’epoca che non c’è più, musica di effetto, un impatto visivo vivace a livello di colori sullo schermo.

E, non ultimo, tra gli elementi che rendono I Guardiani della Galassia la saga Marvel perfetta c’è il sentimento: il legame con le figure genitoriali o di famiglia è un elemento centrale nella trilogia di James Gunn. A pensarci bene non esiste in Star Trek un soggetto simile capace di tenere uniti i membri dell’equipaggio dell’Enterprise. Ed anche in Star Wars i legami di famiglia fanno parte di un qualcosa di più grande, che rende la battaglia dei protagonisti un elemento da predestinati che devono andare incontro ad un destino più grande. Mentre nei Guardiani della Galassia i protagonisti si ritrovano ad essere dei reietti abbandonati, che, per un motivo o per un altro, hanno nelle loro storie di vita un qualcosa di accomunabile, e che li fa ritrovare in una nuova famiglia. Le figure genitoriali diventano centrali, non solo per Star Lord, ma anche per Nebula e Gamora. E pure Drax ha vissuto una tragica storia di perdita degli affetti più cari. Il sentimento è puro e vivo nella trilogia dei Guardiani della Galassia, con la storia del primo film che inizia con il piccolo Peter Quill che abbandona la Terra, mentre nell’ultimo film la famiglia dei Guardiani è più che consolidata, e deve cercare di salvare Rocket Raccoon. Il secondo film, che mette la tematica paterna al centro, e che si conclude con il brano musicale Father and Son di Cat Steven, è forse l’emblema di ciò che James Gunn ha voluto comunicare con I Guardiani della Galassia: i sentimenti e le storie di vita che ci accomunano ci rendono fratelli e sorelle a prescindere. Tutti possiamo essere famiglia, o come direbbe uno dei personaggi preferiti del gruppo “Noi siamo Groot”.

   I Guardiani della Galassia vol. 3 è disponibile dal 3 maggio nelle sale cinematografiche.