In un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Nature, Ecology & Evolution, il ricercatore Sam Wilson della Simon Fraser University (SFU) ha guidato un gruppo di collaboratori provenienti da tutto il Nord America per compilare il più grande set di dati al mondo sui tempi di migrazione dei giovani salmoni. Il set di dati comprende 66 popolazioni dall’Oregon al B.C. all’Alaska. Ogni serie di dati ha una durata di almeno 20 anni risalendo fino al 1951. Sono stati inclusi solo i salmoni selvatici e non quelli provenienti da allevamenti. Molte specie di salmone hanno tempi di migrazione che sono cambiati sostanzialmente negli ultimi 20 o più anni. I salmoni rosa e chum hanno registrato i tassi di cambiamento più rapidi (migrando sette giorni prima per decennio), mentre i tempi di migrazione delle altre specie non sono cambiati. Tuttavia, un’analisi più approfondita dei dati ha mostrato una maggiore variazione tra le popolazioni all’interno delle specie piuttosto che tra le diverse specie di salmone. In risposta allo stesso livello di riscaldamento, lo studio ha dimostrato che alcune popolazioni hanno anticipato i tempi di migrazione, mentre altre non hanno subito cambiamenti o addirittura hanno migrato più tardi nel corso dell’anno. Questi cambiamenti specifici per le popolazioni erano imprevedibili con i dati climatici e geografici attualmente disponibili. “Siamo rimasti davvero sorpresi. Sì, c’erano segnali molto forti di cambiamento climatico, dato che molti salmoni tendevano a migrare prima, ma i risultati si sono dimostrati incredibilmente variabili e imprevedibili”, afferma il dott. Wilson ricercatore presso il Salmon Watersheds Lab della SFU e autore principale della revisione. Quando i tempi di migrazione dei giovani salmoni e la disponibilità di cibo coincidono, si creano le condizioni ideali per sopravvivere ai primi mesi nell’oceano e si può influenzare direttamente il numero di adulti che ritornano. I ricercatori sono preoccupati per il fatto che i salmoni non sembrano rispondere ai cambiamenti dell’oceano costiero, il che potrebbe rendere più comuni gli squilibri in caso di futuri cambiamenti climatici.

L’importanza dei dati a lungo termine

Il dottor Matthew Sloat, coautore della revisione e direttore scientifico del Wild Salmon Centre, osserva che un importante risultato dello studio è stato quello di riunire scienziati e set di dati. Poiché i cambiamenti climatici continuano ad alterare gli ecosistemi, essere in grado di prevedere quali specie o popolazioni potrebbero essere più vulnerabili può aiutare a stabilire le priorità di conservazione. Jonathan Moore, coautore dello studio, osserva che quando questi cambiamenti sono difficili da prevedere, un approccio di gestione precauzionale è importante per la conservazione a lungo termine di specie importanti dal punto di vista ecologico, culturale ed economico, come il salmone del Pacifico. “Il cambiamento climatico è arrivato e sta cambiando i salmoni e i loro ecosistemi”, afferma Moore, professore del Salmon Watersheds Lab presso la Facoltà di Scienze della SFU. “Molti di questi cambiamenti saranno imprevedibili, il che richiede la protezione della biodiversità dei salmoni e dei loro habitat”.