Guardiani della Galassia Volume 3, recensione: il miglior cinecomic da Infinity War

Il 3 maggio sarà il giorno di Guardiani della Galassia Volume 3, annunciato come film conclusivo della trilogia dedicata a Star Lord e ai suoi compagni di viaggio. Nonché la chiusura della collaborazione tra James Gunn e Disney, per aprire un nuovo capitolo di storia, per entrambe le parti coinvolte. Il film contiene al suo interno snodi di trama che eviteremo di evidenziare nel dettaglio, lasciandovi il piacere della scoperta e, in particolar modo, delle reazioni spontanee che questi provocheranno. Da qui in avanti si parte per questo viaggio insieme, che non è una ripartenza del Marvel Cinematic Universe, ma una conferma di uno dei suoi segmenti più forti, capitanati dai Guardiani.

James Gunn punta sul dramma

C’era bisogno di una conclusione che potesse concedere a James Gunn il proverbiale canto del cigno, un commiato con Marvel e Disney che potesse esprimere la sua eredità con un testamento specifico. Niente legittima, niente allusioni o interpretazioni: Gunn sa qual è il suo punto forte, dopo averci raccontato la origin story di Star Lord e le sue fragilità (lo speciale di Natale lo fa bene, il Volume 2 altrettanto si era concentrato su Peter), e punta la propria nave dritta su Rocket. Per gli americani è Bradley Cooper, per noi è Christian Iansante, che in questi anni ci ha fatto innamorare di quella voce graffiata, a dare vita a questo dicotomico procione: da un lato arma da guerra con un arsenale sempre pronto all’uso, dall’altro un animale antropomorfo che dall’uomo ha preso la sensibilità, la senziente capacità di provare sentimenti, di prendersi cura di Groot, di accompagnarlo nella sua rinascita, fino a vedere in Quill non solo un amico, ma un fratello. Guardiani della Galassia Volume 3 è questo: l’esegesi di un manipolo, di un drappello di squinternati che hanno deciso di mascherare le loro malefatte dietro l’egida della giustizia, del ruolo di guardiani. Tutto ciò che gira loro interno è uno scenario che serve come palcoscenico, agghindato con l’obiettivo di farli sfilare in una nuova grande avventura nella galassia. 

Il film di James Gunn rispetta quella commistione che tutti ci aspettavamo fosse confermata dopo i primi due capitoli e lo speciale di Natale, ma spostando la bilancia sul dramma, fedele compagno delle lacrime. Si ride, perché Drax, così come Peter, è una perfetta spalla comica, ma ci si strugge nell’assistere all’origin story di Rocket. Il team tiene comunque salda quell’amalgama che serviva per renderli assetati di divertimento, di gioia nel salvare la galassia, che stavolta è nella sfera privata: è in questa forte chimica che si accusa di più la mestizia del fatto di vederla per l’ultima volta. Gunn però è maestro nel dimostrare come il trucco non sia cosa racconti, ma come lo racconti: la origin story di Rocket da sola potrebbe valere il prezzo del biglietto, se volessimo rendere la visione di un film puro materialismo. La sua genesi, il processo di crescita, le motivazioni che lo hanno portato a essere ciò che è adesso riescono a tessere una ragnatele di emozioni che vi strazierà, vi conturberà al punto da scatenare i vostri bulbi oculari. E non sarà l’unico momento, perché Gunn quel commiato lo brama, lo desidera. Vuole vederci soffrire per la sua partenza.

I nuovi innesti di casa Marvel

In questo potentissimo bailamme Marvel lancia altri due personaggi di spessore dal suo universo editoriale, con il regista che fa da Caronte verso un futuro roseo per Adam Warlock, qui appena accennato nel suo carattere dopo averlo annunciato nel Volume 2. Ci sarebbe tanto da poter dire sulla sua figura, ancora di più sulla sua genesi, ma finisce per essere solo un pretesto per scatenare il turning point narrativo e per calarsi da deus ex machina nel finale: avrebbe meritato più spazio, più spessore, ma non era questa la sua storia, non era questo il suo palcoscenico. Avrà modo e tempo, è probabile, per esprimere al meglio ciò che abbiamo imparato a conoscere nella sua storia editoriale. Di maggior spessore è sicuramente l’Alto Evoluzionario, artefice del male e antagonista sapientemente annunciato del Volume 3: la sua è una interpretazione solenne, psicopatica al punto tale da ritenersi un perfetto sostituto di un dio, capace di assurgere ed ergersi a un Darwin con infiniti poteri, col solo desiderio di raggiungere la perfezione. Invano, perché Gunn ce lo ricorda: non esiste la perfezione.

Attorno a loro una schiera di quasi futili tirapiedi, un po’ approssimativi, un po’ ridondanti, col solo scopo di dare ai Guardiani carne da macello tra una riflessione introspettiva e un’altra. Questo perché c’è ancora tanto da capire di Drax, di Mantis, della stessa Gamora e dei rapporti che intercorrono tra di loro: forse in alcune occasioni sarebbe stato meglio evitare lo spiegone, soprattutto nelle fasi finali, ma concediamo al regista la bontà di voler arrivare al cuore di tutti, nessuno escluso, senza dover, come detto prima, cedere ad allusioni di qualsivoglia tipo. Il cinecomic non va spiegato, va messo già così com’è. Lo stesso Peter ha ancora tanto da rivelare e da sviscerare della sua psicologia e siamo sicuri che ne avrà ancora di cose da dire nel prossimo futuro, separato dal suo regista. Quest’ultimo riesce a danzare benissimo tra le due facce di questo film: il dramma che si consuma nello spazio, la comicità che tiene a galla quei momenti che altrimenti potrebbero essere morti. In questo Volume 3 è un film completo, affrontando gli antipodi dello spettro di emozioni a nostra disposizione. 

Regia da videogioco

La storia in alcuni tratti potrebbe sembrare pretestuosa, qualche incertezza di sceneggiatura è riscontrabile, ma la regia finisce per sovrastare gran parte di questi buchi. Perché Guardiani è un film d’azione, un cinecomic, e non possono mancare i momenti all’impazzata, pronti anche a ricordare parte delle combo già viste nella trasposizione videoludica di due anni fa. Lo slowmo, del quale Gunn fa un uso costante nel film, riesce a essere sempre puntuale nel climax, offre dei frame di puro dettaglio e godimento, esaltati da quelle movenze uniche, da quelle singolarità che ogni personaggio porta con sé. Non potremmo dire lo stesso del world building, nonostante un’ottima ricostruzione della Controterra, ma Gunn si ferma a questo: i luoghi dove l’Alto Evoluzionario costringerà ad andare i nostri non si esaltano per inventiva e si riducono alla solita melma putrida o a condotti spaziali che abbiamo già visto e rivisto.

Poco male, perché, come detto in apertura, si tratta solo di un palcoscenico sul quale far danzare tutti. Il tutto infarcito di colonne sonore figlie degli anni ’80, ’90 e 2000, senza nessuno escluso, per la gioia di chi vuole fare un salto nel passato ed empatizzare ancora di più con Peter Quill. Nulla di nuovo da segnalare, invece, per il doppiaggio in italiano, già di per sé apprezzatissimo nei precedenti Volumi e nello spin-off di Natale: segnaliamo solo Manuel Meli (il doppiatore di Josh Hutcherson) aggiungersi per dare voce ad Adam Warlock, ritagliandosi un buono spazio sempre a cavallo tra comicità tendente al beota ed epicità.

80
Guardiani della Galassia Volume 3
Recensione di Mario Petillo

Guardiani della Galassia Volume 3 è a oggi il miglior cinecomic proposto da Marvel dai tempi di Infinity War. Se quest’ultimo puntava forte sull’azione, culminando in un dramma che ci ha condotto a chiudere la Fase più florida del Cinematic Universe, adesso James Gunn chiude la sua trilogia, spin-off esclusi, puntando di nuovo su quel cavallo di battaglia che ci aveva lasciati col cuore in frantumi nell’osservare Thanos novello Cincinnato dal suo appezzamento di terra. Lo fa con la coscienza certa di averci lasciato un testamento potente, forte, che porta la sua firma e che palesa la sua mano in più di un’occasione. I Guardiani sono roba sua e il modo in cui ha saputo raccontarne la genesi, l’evoluzione e l’intreccio è un enorme pregio. Così come quello di esaltare Kraglin, interpretato da suo fratello Sean, pronto a prendersi la sua fetta di gloria, ad alzare il capo e a guardare il cielo disegnato da James. 

ME GUSTA
  • La origin story di Rocket è un colpo al cuore
  • Dramma e comicità perfettamente bilanciate
  • Un cinecomic che dosa tutte le componenti
FAIL
  • Tolta la Controterra resta poco del world building
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