I prodotti italiani di qualità esistono e The Good Mothers è la dimostrazione vivente. La nuova serie tv firmata Disney+ approda sul catalogo della piattaforma di Topolino il 5 aprile ed è pronta ad emozionare tutti gli spettatori dello streaming. Lo show porta la firma di due registi per cui le presentazioni potrebbero risultare superflue: Julian Jarrold ed Elisa Amoruso. Il primo è il regista di diversi episodi di The Crown, mentre la seconda è colei che si è seduta dietro la macchina da presa del documentario dedicato a Chiara Ferragni. Il cast è totalmente italiano e vanta, tra gli altri, i nomi di Gaia Girace, Valentina Bellè, Barbara Chichiarelli, Francesco Colella, Simona Distefano, Andrea Dodero e Micaela Ramazzotti. The Good Mothers disegna lo spaccato di vita vera di quattro donne che hanno deciso di opporsi all’omertà dell’ndrangheta. Con uno stile che fonde la visione italiana a quella internazionale, The Good Mothers ha vinto il primo “Berlinale Series Award” alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, dove è stata presentata in anteprima mondiale lo scorso 22 febbraio nella sezione “Berlinale Series”.
Grazie a Disney abbiamo avuto l’opportunità di parlare con il cast ed i registi della serie. Ecco le risposte rilasciate in esclusiva per voi dai protagonisti di The Good Mothers.
Il trailer di The Good Mothers
Piccola premessa necessaria per poter comprendere al meglio l’intervista seguente: la serie tv The Good Mothers è tratta da storie vere, si basa su personaggi realmente esistiti le cui vicende sono state in parte riadattate per realizzare la serie tv. Allo stesso tempo lo show Disney ha preso come fonte d’ispirazione, e come primo tassello per la realizzazione dello stesso, il libro omonimo di Alex Perry. Le storie di Concetta, Denise, Lea e Giuseppina sono storie reali ed i fatti narrati sono realmente accaduti. Per qualsiasi informazione vi invito a consultare le notizie rilasciate dalla stampa dell’epoca e vi consiglio di dare un’opportunità al romanzo di Alex Perry.
Ora vi lascio all’intervista.
La prima cosa che ho pensato guardando la vostra serie tv è stata la seguente: è una serie sicuramente italiana, per via del tema principale e del cast coinvolto, ovviamente, ma è anche tanto internazionale. Come siete riusciti a fondere questi due elementi?
Julian Jarrold: “Quando inizialmente ho letto la storia, tramite il libro di Alex Perry e la sceneggiatura di Stephen Butchard, ho subito pensato che fosse una storia straordinaria e potente. Una di quelle storie in grado di spezzarti il cuore. Non ho davvero pensato al fattore della lingua, alla cultura o a qualsiasi altra cosa. Mi ha semplicemente trasportato e coinvolto al suo interno. Penso che questa mia emozione, questo mio sentimento di trasporto, sia dovuta probabilmente al fatto che è una storia universale con protagoniste le donne e il loro dilemma riguardante lo stare con la famiglia (a quelle condizioni, in quella realtà e con quel tipo di vita omertosa) oppure tentare di scappare dalla loro quotidianità criminale. Questo è stato realmente il mio punto di partenza. Una volta compreso tutto ciò, ho iniziato a fare ricerche e sono entrato nel mondo e nel merito dell’ndrangheta, dei boss dell’organizzazione criminale e delle donne di questa storia. Mi sono pian piano ritrovato sempre più affasciato da questa storia ed ho compreso l’autenticità della specifica natura dei luoghi e dall’atmosfera che doveva avere la serie, due componenti davvero molto ma molto importanti. Così, ho trascorso un lungo periodo in Calabria, sono andato nei luoghi in cui la storia che abbiamo raccontato si è davvero svolta. Ho cercato di capire la natura, le origini delle famiglie, le lealtà e la pressione che veniva posta sopra le spalle di queste donne. Una volta terminati questi studi sul luogo ho cercato di comunicare tutto quanto non solo agli italiani ma a tutto il mondo. Onestamente penso che la serie abbia un appeal internazionale e potrebbe affasciare tutte le persone di ogni cultura e nazione.”
Conoscevate già il vero caso giudiziario di Lea Garofalo prima di accettare il ruolo e avevate letto il romanzo di Alex Perry, da cui la serie tv è stata tratta, o vi siete documentati solo successivamente?
Elisa Amoruso: “Io ovviamente conoscevo il caso di Lea Garofalo e Danise Cosco, sua figlia, proprio perché è un caso di cronaca che ha avuto grande risonanza nazionale. Ero sicura che all’estero non avesse avuto tutta questa risonanza. Al tempo stesso non conoscevo le storie di Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce, le ho scoperte leggendo il libro di Alex Perry. Immediatamente ho capito che queste storie andavano raccontate proprio perché se nemmeno io da italiana le conoscevo evidentemente si trattava di un gap da colmare ed era importante che queste donne da invisibili diventassero visibili, anche per dare esempio del coraggio che hanno avuto nel combattere le maglie criminali dell’ndrangheta. Era importante far conoscere alle persone, non solo agli italiani, la volontà di queste donne, volontà che ha poi determinato e segnato le loro esistenze e tutto ciò che hanno fatto. Sicuramente l’approccio è stato in qualche modo reso necessario dalla consapevolezza che queste storie realmente accadute dovessero essere trasportate in tutto il mondo e Disney+ ci ha permesso di farlo. Dal 5 aprile queste storie, le storie di queste donne coraggiose, verranno condivise con tutti i paesi del mondo.”
Francesco Colella: “Le storie delle donne protagoniste di The Good Mothers sono storie che normalmente non vengono raccontate, non accendono un dibattito pubblico; quindi, è un bene che ci sia questa serie e chi si espanda ancora di più la narrazione. Io, personalmente, conoscevo la storia di Lea Garofalo e conoscevo altre storie legate all’ndrangheta. Sono quindi contentissimo di aver contribuito anche con il mio lavoro a questa narrazione, che è una narrazione senza spettacolarizzazione, senza seduzione e con uno sguardo lucido ed attento.”
Andrea Dodero: “Io conoscevo molto poco dell’ndrangheta. Conoscevo poco proprio dell’organizzazione criminale prima di approcciarmi al progetto e di ottenere il ruolo per The Good Mothers. Sapevo che esisteva, ero a conoscenza dell’esistenza di questa organizzazione criminale, ma non sapevo in quali modi l’ndrangheta operava né come si muoveva. Addirittura, non sapevo nemmeno che ne facessero parte dei ragazzini o delle persone comuni. Nel mio immaginario pensavo fossero i grandi boss, i grandi broker della cocaina i cui nomi si sentono al telegiornale. Invece, grazie a The Good Mothers, ho scoperto che esistono questi “omuncoli”, così come li ha definiti Francesco Colella. Loro sono uomini che alla fine vivono di poco, si nutrono di potere e di violenza, dato che in fin dei conti hanno poco e fanno una vita semplice. Lo diceva qualche tempo fa un magistrato che si occupa giornalmente della lotta all’ndrangheta. Proprio questo magistrato sostiene che almeno il 90% di queste persone sono persone che vivono di stenti, abitano in buchi nascosti e dimenticati nel nulla. Conducono questa vita al solo scopo di mantenere il controllo ed il potere. ”
Quale è stato il vostro primo approccio alla serie? Prima di accettare il ruolo conoscevate già il caso? Avete avuto l’opportunità di parlare, di confrontarvi con qualche donna che è stata una testimone di giustizia?
Simona Distefano: “Si, io personalmente mi sono documentata. Ho cercato di raccogliere più informazioni possibili in merito ai fatti di cronaca relativi alla serie tv, tutto questo anche se le nostre storie sono ispirate a fatti reali. Ho visto diversi film sull’argomento come “Anime Nere” e “A Chiara”. Ho parlato con il nostro direct coach che, oltre a darci nozioni sulla lingua, mi ha personalmente raccontato qual è l’atmosfera ed il background della serie. Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con una donna che è stata testimone di giustizia. Ci ha raccontato tutto il suo travagliato percorso: dall’inizio ma non fino alla fine perché, nel momento in cui l’abbiamo incontrata, lei si trovava all’inizio della sua esperienza di collaborazione con la giustizia. Devo confessare che quel momento, quell’opportunità, è stato il momento più importante, più rivelatore per me. In quel momento si è palesato di fronte a me, nel corpo di una persona, il personaggio di Concetta (il personaggio che interpreta Simona).”
Valentina Bellè: “Io non conoscevo la storia di Giuseppina, conoscevo solo quella di Lea Garofalo e del film Lea di Marco Tulio. Perciò per me è stato un grande lavoro di ricerca quello che ha preceduto il mio ingresso nei panni di Giuseppina. Per quanto riguarda il mio personaggio, Giuseppina Pesci, non c’è molto materiale; perciò, mi hanno aiutato tanto le storie di Lea e Concetta Cacciola su cui invece si trova molto più materiale. Naturalmente, per entrare a pieno nel personaggio, mi ha aiutato tanto il lavoro sulla lingua ma anche stare in Calabria, parlare con le persone del posto. Dato che sono loro che abitano i luoghi che hanno ospitato queste storie drammatiche.”
Restando sul tema della lingua, Valentina complimenti per come hai costruito l’accento calabrese perché appare naturale, vero e genuino. Per questo ti chiedo come hai costruito il processo di creazione della lingua per la serie tv?
Valentina Bellè: “Innanzitutto ti ringrazio. Io per sviluppare il tono di voce e l’accento di Giuseppina mi sono legata ad un suono, in realtà ad una parola, che avevo sentito da Concetta Cacciola. Si trattava di una registrazione di Concetta Cacciola, utilizzata poi per il processo, ed è una delle tante registrazioni molto drammatiche che si trovano anche su YouTube. Sono conversazioni tra Concetta e la madre che potete comunemente ascoltare anche a casa vostra. Concetta ha questo suono molto nasale che mi ha aiutato a costruire il mio tono di voce. Mi ha colpito fin da subito. Ho trovato il suono di voce di Concetta come un suono molto forte che mi è piaciuto fin dal primo ascolto. Così mi sono agganciata a questo suono per costruire quello del mio personaggio. Oltre a questo tono di voce mi sono ispirata anche alla voce di Swamy Rotolo, l’attrice protagonista di “A Chiara” di Carpignano. L’attrice è stata gentilissima e si è resa disponibile a darmi ripetizioni serali di calabrese. A tutto ciò si aggiunge il lavoro del nostro coach, Lele Nocera, ed all’influenza che ha avuto su di me chiunque incontrassi per la strada. Proprio le voci delle persone che incontravo erano suoni che mi hanno aiutato tanto ad entrare nel personaggio ed in una storia molto lontana dalla mia.”
Per quanto riguarda Gaia e il tuo personaggio, ti faccio i complimenti per la carriera ricca di successi che stai avendo. In merito al tuo personaggio, confesso che in un primo momento vedendo che la storia d’amore che si stava palesando tra Denise ed il personaggio di Andrea Dodero non avrebbe avuto un finale positivo ci sono rimasta leggermente male, non me lo aspettavo. Tu invece, cosa hai provato quando hai letto la rivelazione nel copione?
Gaia Girace: “Ti confesso che anche io leggendo il copione la prima volta e mettendomi nei panni di una spettatrice, ci sono rimasta male. Poi però leggendolo razionalmente penso che sia giusto che sia andata così, dato che è un ragazzo che ha ingannato Denise. Nonostante provasse del “bene” per lei, dato che è stato l’unico che ha aiutato la polizia nelle indagini, è stato davvero l’unico che ha collaborato nella risoluzione del caso di Lea Garofalo ed ha ammesso di aver contribuito alla risoluzione dello stesso proprio e solo per amore di Denise, è comunque un ragazzo che è stato complice nell’omicidio della madre. Per questo motivo è giusto che lui assieme a tutti i complici siano andati in prigione ed abbiano fatto la fine che hanno fatto, mi sembra il minimo.”
The Good Mothers vi aspetta su Disney+ dal 5 aprile.