Bayonetta Origins: Cereza and the Lost Demon, recensione dello spin-off di PlatinumGames

Non aspettatevi il classico Bayonetta, perché Bayonetta Origins ha ben altro da offrire e da raccontarvi, con delle tematiche che esulano da ciò che Cereza ci ha mostrato negli ultimi anni insieme a Platinum Games.

Avevamo già avuto modo di dirvi quanto sorprendente, durante il nostro hands-on, fosse Bayonetta Origins. Lo è sia per la sua direzione artistica, molto onirica, da pennellate eteree, ma anche per aver stravolto quella che era la meccanica nota dell’hack’n’slash di PlatinumGames, reduce da un buon successo con il terzo capitolo. Desiderosi, quindi, di proporre qualcosa di nuovo, di lanciarsi in un’avventura che potesse in qualche modo riscrivere la struttura di gameplay che ben conosciamo. Una origin story, affascinante e in grado anche di raccontarci chi era Cereza prima di vestire i panni di mortifera strega sinuosa e letale, calandola in un contesto per niente consueto, anzi in grado di rievocare delle atmosfere a dir poco affascinanti.

Nelle lande dello stregatto

Siamo dinanzi a un prequel a tutti gli effetti, come d’altronde lo stesso titolo del videogioco suggerisce. Cereza è una ragazza timorosa, spaventata da ciò che la aspetta al di là dell’uscio che la condurrà nell’ignoto. Sua madre è stata imprigionata dalle streghe di Umbra e l’unico modo che lei ha per poterla recuperare è diventare una loro simile, contrastandole con la loro stessa magia. Per poterlo fare ha bisogno dell’allenamento e dell’istruzione di Morgana, strega esiliata pronta a insegnare alla sua pupilla le basi della magia e prepararla a quello che sarà il suo futuro, nonostante dinanzi a sé si ritrovi una ragazza molto ingenua, naif, ma destinata a quel viaggio dell’eroina che la trasformerà nella protagonista di Bayonetta.

Bayonetta Origins ha un modo di raccontare la vicenda tutto suo, lontano da quelle che erano le modalità espresse nella saga originale. Questo spin-off, infatti, vuole esaltare una narrazione di fino, accompagnata da un tono molto teatrale, quasi da tragedia ottocentesca, grazie a una voce narrante molto british e che mette l’accento sulla puerilità di Cereza stessa. La scelta di affidarsi a un libro illustrato come filo conduttore della vicenda era risultata già interessante in sede di preview, ma si conferma anche con il gioco completo tra le nostre mani, a testimonianza del fatto che Kamiya ha saputo dirigere qualcosa di atipico e di inaspettato nel modo migliore possibile. Non aspettatevi un intreccio elaborato e una profondità di trama tale da annullare quell’aspetto fiabesco: Bayonetta Origins non ambisce al ricreare una matassa infarcita di elementi che sbocceranno di capitolo in capitolo, ma più semplicemente a qualcosa di ovattato sul quale poggiare i vostri piedi scalzi in serenità.

Due personaggi in cerca di salvezza

Un cambio di direzione dal punto di vista della trama non poteva non essere affiancato anche da quello generato dal gameplay stesso. Bayonetta Origins mantiene la propria natura di action, ma crea una commistione che permette al titolo di abbracciare il platform nonché il controllo di due diversi personaggi. Due levette analogiche, quella di sinistra per Cereza e quella di destra per Cheshire, un gatto che ricorda in tutto – anche nel nome – lo Stregatto di Alice e che prenderà le sembianze di un demone partendo da un peluche che la streghetta tiene tra le sue braccia, avvolgendolo al proprio petto. La presenza di un companion rende le meccaniche molto stratificate, andando a intensificare quell’esperienza platform che sin dalle prime ore si manifesta dinanzi ai nostri occhi creando degli enigmi ambientali che richiederanno non solo tempismo nel combattimento, ma anche logica nelle risoluzioni degli stessi.

Cheshire e Cereza hanno abilità diverse e sia in sede di combattimento che di esplorazione diventeranno utili a seconda delle vostre necessità. Per quanto riguarda il primo caso, Cereza sarà per lo più concentrata sul bloccare gli avversari al suolo, mentre il nostro gatto avrà l’occasione di stenderli con i suoi poderosi colpi demoniaci. Progredendo nell’avventura, poco dopo i primi tre capitoli che fungeranno quasi da tutorial ampliato, inizierete anche a padroneggiare quelle che sono quattro diverse forme elementali, creando anche un sistema che vi permetterà di ottenere dei vantaggi di colore rispetto ad alcuni nemici, inserendo anche delle combinazioni che annullano il caos che potrebbe essere generato da un qualsiasi scontro melee, in favore di qualcosa di più razionale.

Abilità separate, strade diverse

I due protagonisti hanno anche uno skill tree separato, il che vi permetterà di notare sempre di più, progredendo, quanto il lavoro di personalizzazione di Cereza e di Cheshire sia stato fondamentale per creare qualcosa di unico. C’è una buona cura delle meccaniche, nonostante di base il combat system continui a mantenersi saldo a quella formula iniziale che prevede di avere un tank nel vostro demone e in Cereza la strega in grado di bloccare gli avversari. Andrete a impreziosire queste meccaniche con delle finisher, con delle schivate, così da creare delle combo speciali di volta in volta, ma non vi distaccherete troppo dalle idee di base, anche negli scontri con i boss, che per quanto riescano a offrire delle variazioni sul tema molto interessanti dal punto di vista del design non permetteranno di mettere in scena grandi intrecci di gameplay. Questo potrebbe essere il vero fianco scoperto di Bayonetta Origins, che nel suo inseguire con grande forza il desiderio di essere accessibile a tutti frena anche la progressione, concedendo quanto più tempo possibile al giocatore per apprendere in maniera adeguata tutte le meccaniche di gioco, col rischio di rendere il ritmo meno incalzante di quanto si poteva sperare da un action.

A proposito di accessibilità, Bayonetta Origins vi dà l’occasione di scegliere, in grande serenità, in che modo approcciare l’avventura e il combattimento: non siamo dinanzi a una difficoltà adattiva, ma ad alcune opzioni che concedono di lasciare all’IA l’occasione di intervenire al vostro posto in alcuni momenti e colpi. Se non volete impegnarvi nei QTE che richiedono di premere i tasti al momento giusto per ottenere massima efficacia da parte delle mosse di Cereza potrete farlo, così da dovervi solo preoccupare di dover lanciare la vostra magia e nient’altro. Un sistema che vi aiuta a concentrarvi, così, solo sulle complesse mappe, che offrono delle strade che si inerpicano su due piani sì intrecciati ma che viaggiano su due altitudini diverse. Questo per agevolare anche un uso più profondo e intenso delle caratteristiche dell’uno e dell’altro personaggio. Mappa che, in alcuni casi, si è lasciata andare anche a del backtracking per tornare sui propri passi e acquisire oggetti che potremo sbloccare solo quando saremo in possesso di determinate abilità.

Un quadro di vetro

Ad aggiungere longevità ci sono anche i Tir Na Nog, templi che avevamo già citato nella nostra preview e che ci hanno impegnati più sull’aspetto logico che di riflessi, per comprendere al meglio come evadere dalla dimensione alternativa. Se i primi sono obbligatori, procedendo non sarete più costretti a infilarvi in questi dungeon pregni di enigmi, gradevoli dal punto di vista di variazione estetica e anche per come viene proposto il gameplay in sé. C’è da dire che se inizialmente questa meccanica può essere gradevole per spezzare il ritmo, andando avanti nel gioco la bilancia penderà troppo dalla parte dei Tir Na Nog, come se PlatinumGames avesse ben compreso di non avere un buon numero di cartucce dalla parte del combat system e si fosse crogiolata sulla presenza di dungeon aggiuntivi per diluire la durata dell’esperienza. D’altronde, la vostra avventura non andrà oltre le 15 ore, una durata più che onesta per un titolo del genere, che non punta a donarvi la rigiocabilità tipica dei Bayonetta.

Chiudiamo la nostra analisi parlando dell’aspetto tecnico e della direzione artistica, davvero il fiore all’occhiello dello spin-off. Bayonetta Origins ha una pennellata che richiama quegli ambienti onirici già citati di Alice nel Paese delle Meraviglie. Lo stile è stilizzato, tende al cartoonesco, non insegue nessun tipo di fotorealismo, né riproduce elementi architettonici che potrete andare a riscontrare nella nostra quotidianità. Si tratta dell’aspetto sicuramente più originale di tutta la produzione, figlia di una scelta ben ponderata e che trasmette quei toni molto più scanzonati della saga principale, in grado di esaltarsi con tutta la gamma di colori proposti. I giochi di luce, gli effetti visivi si esaltano ancora di più grazie a un effetto quasi da vetrata sulla quale rifrangere i fasci luminosi. Una scelta davvero indovinata per calare Cereza in questa avventura in grado di lasciarle un ricordo tale da spingerla a diventare una delle streghe più letali di sempre.

80
Bayonetta Origins: Cereza and the Lost Demon
Recensione di Mario Petillo

Bayonetta Origins è un videogioco che lascia intendere quanto PlatinumGames desiderasse misurarsi con qualcosa di diverso da un hack'n'slash e proporci un'esperienza più votata all'arte e a delle tematiche più introspettive. Artisticamente siamo dinanzi a un'operazione davvero affascinante, che pecca un po' sull'aspetto più ludico, soprattutto nel momento in cui, dopo dieci ore di gioco, non avrete nuove meccaniche da sperimentare. La breve durata, in ogni caso, salva la struttura da un loop che ne avrebbe troppo spezzato il ritmo.

ME GUSTA
  • Artisticamente molto ispirato
  • Level design che funziona
  • Personalizzazione molto profonda dei due stili
FAIL
  • Troppo gap nelle abilità tra Cereza e Cheshire
  • Gameplay a lungo andare troppo ripetitivo
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