Il caso Andrea Di Stefano è uno di quelli da studiare. Semisconosciuto al pubblico generalista, eppure un professionista a tutto tondo e dalla storia piuttosto singolare. Nato a Roma, ma trasferitosi presto a New York (intorno ai 20 anni probabilmente), dove debutta nel mondo dello spettacolo, come attore, tra cinema e teatro, per poi tornare in Italia a lavorare con firme incredibili come quelle di Dario Argento e Marco Bellocchio. Il suo debutto alla regia, dopo diversi lavori anche in televisione, avviene nel 2014, quando dirige Benicio Del Toro in Escobar, per poi bissare 5 anni dopo con The Informer – Tre secondi per sopravvivere. Suo primo reale approccio al poliziesco e al noir, molto interessante tra l’altro, che gli ha evidentemente valso il coinvolgimento nella serie Bang Bang Baby, come scrittore. Una creatura che tanto ha a che fare con il bellissimo film di cui stiamo per parlare.

Arriviamo quindi alla recensione de L’ultima notte di Amore, presentato alla Berlinale 2023 sezione Special Gala e disponibile nelle sale dal 9 marzo 2023 con Vision Distribution, un noir poliziesco incredibile, di cui il cinema italiano aveva (scusate la frase banalissima) bisogno e che segna una nuova asticella con la quale ci si dovrà necessariamente confrontare da qui in avanti.

La conferma della bontà della recente tendenza che ha visto il nostro sistema spingere sul cinema di genere, una decisione che, nonostante il ritorno nelle sale sia comunque sempre problematico, ha dato modo ai nostri nomi di esaltare le proprie caratteristiche professionali e le proprie conoscenze del mezzo cinematografico. Certo, qui siamo ad un apice.

Suo primo reale approccio al poliziesco e al noir, molto interessante tra l’altro, che gli ha evidentemente valso il coinvolgimento nella serie Bang Bang Baby, come scrittore. Una creatura che tanto ha a che fare con il bellissimo film di cui stiamo per parlare.

Soprattutto perché spesso (e anche la serie sopracitata rientra in questo aspetto), abbiamo prodotto, lavorato, pensato, guardando al di fuori di noi, sognando un altro tipo di audiovisivo con un’altra storia, con altri riferimenti e spesso non siamo riusciti a farlo nostro, finendo con creare delle piccole copie carta carbone (quando andava discretamente bene).

L’ultima notte di Amore è invece un nostro prodotto, non solo nei nomi, ma nei riferimenti, nel linguaggio, nelle intenzioni, nella messa in scena, nei personaggi. Ci sono delle citazioni ai maestri del genere, come può essere Michael Mann, soprattutto nell’idea della rappresentazione del personaggio città (luogo di solitudine e di non curanza) o al cinema nordeuropeo per l’uso dei colori e del sonoro o per i tempi dell’esplosione della violenza.

Ecco, i tempi. I tempi sono la chiave del noir, lo sa bene Di Stefano, che sulla gestione dei tempi fonda tutto il suo film (lo ha anche scritto), affidando invece la parte della questione morale ad un enorme Pierfrancesco Favino (diretto anche benissimo), che si ritrova ad avere come spalla una Linda Caridi alla prova della carriera e a un sempre funzionale Antonio Gerardi (anche lui proveniente da Bang Bang Baby, facendo tra l’altro un po’ il verso al personaggio che interpretava). Oltre loro da segnalare anche la prova di Francesco Di Leva, un altro attore che continua a cambiare volto in continuazione.

L’ultima notte di Amore è invece un nostro prodotto, non solo nei nomi, ma nei riferimenti, nel linguaggio, nelle intenzioni, nella messa in scena, nei personaggi.

Se vi interessa approfondire pure la serie (co)firmata da Di Stefano vi rimandiamo qua:

 

Franco Amore è un uomo tutto d’un pezzo

Franco Amore (Favino) è un uomo tutto d’un pezzo.

Un tenente di polizia con 35 anni di onorata carriera alle spalle. Vicino ai suoi colleghi, soprattutto al suo migliore amico nonché partner di vecchia data, Dino (Di Leva). Non solo, è anche padre affettuoso di una figlia che aiuta per vivere all’estero e realizzare i suoi sogni e anche un compagno fedele e innamorato. La sua (nuova) lei è Viviana (Caridi), ragazza amorevole, intelligente, gentile e premurosa, traferitasi a Milano dalla Calabria su invito dei suoi due cugini, Cosimo (Gerardi) e Tito (Carlo Gallo).

Tramite loro Franco è solito arrotondare il suo misero stipendio da servitore dello stato, facendo da guidatore e addetto alla security del primo dei due sopracitati, il quale si occupa di pietre preziose e gioielleria varia a livelli talmente alti da intrattenere rapporti con calciatori e anche con organizzazioni operanti sul confine della legalità. Più che altro i cinesi, per quanto riguarda il capoluogo lombardo.

Un tenente di polizia con 35 anni di onorata carriera alle spalle.

L'ultima notte di Amore

Franco Amore sta per andare in pensione, una pensione meritata, alla quale è arrivato senza mai esplodere un colpo, anzi, distinguendosi per essere una persona corretta e leale, anche a costo della sua stessa carriera, anche a costo di salvare la vita a chi proprio non lo merita.

Una carpa gialla, un pesce portafortuna che è solito nuotare controcorrente, anche quando non gli conviene, anche quando è inutile. Talmente prezioso che magari potrebbe fare comodo persino ai cinesi per le loro attività, al confine della legalità.

Nessuno si merita la pensione più di lui, il meritato riposo. Certa gente però non pare essere proprio fatta per riposarsi, forse troppo rara perché il mondo permetta loro di ritirarsi (e qui siamo smielati, ma meglio dell’ansiogeno messaggio che andare in missione è un’utopia, no? Abbiate pazienza). Tant’è che l’ultima notte prima di appendere il distintivo al chiodo sarà la più lunga della sua vita.

Nessuno si merita la pensione più di lui, il meritato riposo.

Un orologio svizzero

Ogni genere cinematografico ha le sue regole, la chiave sta nel rispettarle piegandole a proprio vantaggio e non subirle, sentirsi imprigionato a causa loro, ma anzi farne la propria forza, la modalità per esaltare la storia e le modalità del raccontare. Il genere cinematografico non deve essere scambiato per una gabbia o una comfort zone, ma per un dizionario con il quale formare al meglio il proprio racconto.

In soldoni è questo quello che fa Andrea Di Stefano con L’ultima notte di Amore: un noir praticamente perfetto, senza una virgola fuori posto. L’eccezionalità non sta nel suo riuscire ad imbastire una pellicola riproducendo ottimamente un meccanismo classico, ma di riproporlo in modo personale e anche rielaborando gli archetipi tradizionali del genere.

Questo avviene soprattutto quando si parla della questione morale, del conflitto etico alla base del protagonista e di ciò che muove le sue azioni nel corso della storia. Un margine di manovra che l’autore sfrutta avvalendosi dell’ottimo Favino, ma anche della preziosa sponda della Caridi, che da una credibilità enorme ad un personaggio tutt’altro che semplice da gestire e dosare, in una sola parola: interpretare.

L’eccezionalità (per quanto sia un’eccezionalità senza dubbio) non sta nel suo riuscire ad imbastire una pellicola riproducendo ottimamente un meccanismo classico, ma di riproporlo in modo personale e anche rielaborando gli archetipi tradizionali del genere.

L'ultima notte di Amore

Il resto sta nel ritmo del racconto della storia, il cui unico difetto (se di difetto si può parlare) è quello di rinunciare alla one night story, decidendo di dedicarsi ad un intro piuttosto lungo che ha il doppio scopo di cambiare la percezione del personaggio e di preparare al meglio lo spettatore (preparare nel senso di caricarlo a livello tensivo) per uno scioglimento che improvvisamente si allunga al punto da rallentare ogni tipo di soluzione.

Una scelta azzardata, che paga nel momento in cui firma la pellicola, la griffa, la rende riconoscibile. Ne accorcia il fiato notevolmente e all’improvviso per macchiare quasi un’esperienza cinematografica che altrimenti rimarrebbe intonsa talmente il film è perfetto (in senso proprio etimologico) nella fruizione.

Una scelta azzardata, che paga nel momento in cui firma la pellicola, la griffa, la rende riconoscibile.

L’ultima notte di Amore è da manuale del cinema noir e poliziesco, dall’uso della macchina, del traffico, del cibo. L’impostazione scenografica, la fotografia, il sonoro, il significato di uno sguardo, i primi piani, le lingue differenti, i campi e i controcampi che giocano costantemente con lo spazio dove si svolge l’azione vera e propria. Ogni personaggio è messo al posto giusto ogni frase è studiata al millimetro. Un esempio di cinema di genere veramente alto, che ci sveglia da un torpore in cui ogni tanto cadiamo. Siam fatti così.

L’ultima notte di Amore è disponibile nelle sale dal 9 marzo 2023 con Vision Distribution.

80
L'ultima notte di Amore
Recensione di Jacopo Fioretti

L'ultima notte di amore è la terza pellicola scritta e diretta da Andrea Di Stefano, presentata alla Berlinale 2023 nella sezione Special Gala. Si tratta di un noir praticamente perfetto, macchiato da delle scelte precise sull'impostazione dei tempi del racconto, che si avvale di interpretazione maiuscole, in primis quelle di Pierfrancesco Favino e Linda Caridi. Uno straordinario esempio di cinema di genere, italiano, ma internazionale. Un nuova asticella, con la quale, da cui in poi, tutti i nostri autori dovranno confrontarsi. Viva i film così.

ME GUSTA
  • Le prove attoriali.
  • Il rispetto delle regole del noir, anche quando piegato per "griffare" la pellicola.
  • La chirurgica gestione dei tempi del racconto.
  • L'uso della macchina, degli sguardi, dei primi piani e del personaggio - città.
  • L'approccio con la tensione e la gestione in tutta la seconda parte della pellicola.
  • Regia, fotografia e sonoro, sempre funzionali e coordinati.
FAIL
  • Il rischio sta nella sua idea di spezzare il racconto da one night only.
  • La vicenda rimane classica, quindi leggibile ai più esperti e "scafati".