Il termine giapponese “tsunami” significa “onde sul porto” e si riferisce a un fenomeno che colpisce le zone costiere, causando inondazioni e gravi danni. Questo evento, conosciuto anche come “maremoto” in italiano, rappresenta una minaccia catastrofica per le comunità costiere. Secondo le Nazioni Unite, durante gli ultimi 100 anni, i 58 tsunami più distruttivi hanno causato la morte di 260.000 persone, il più letale dei quali è stato quello che ha colpito l’Oceano Indiano il 26 dicembre 2004. Queste informazioni sono state riportate in occasione della Giornata Mondiale della Consapevolezza sugli Tsunami, celebrata il 5 novembre. 

L’onda gigante che sconvolge la costa: cos’è lo tsunami?

Anche il Mar Mediterraneo può essere colpito da tsunami, come quello verificatosi il 30 ottobre 2020 a seguito di un terremoto con epicentro nella parte nord di Samos, tra la Grecia e la Turchia, che ha causato danni principalmente nella città di Smirne. Pur non essendo eventi molto comuni, i tsunami nel Mediterraneo non sono meno importanti, anche se nella maggior parte dei casi causano danni relativamente limitati. 

Secondo Alessandra Maramai, primo ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma e tra gli autori del Catalogo degli Tsunami Euro-Mediterranei, uno tsunami è un insieme di onde che si generano a seguito di un movimento improvviso del fondale marino. Questo evento è spesso causato da un terremoto che provoca un’oscillazione del fondo del mare e della colonna d’acqua al di sopra, dando luogo alle onde del maremoto. 

In mare aperto, le onde si propagano rapidamente, ma quando si avvicinano alla costa, la ridotta profondità del fondale le costringe a rallentare, aumentando l’altezza delle onde che possono raggiungere decine di metri rispetto al livello del mare. Secondo la ricercatrice Maramai, gli tsunami possono causare gravi danni poiché il loro movimento non è solo superficiale come le onde del vento. Durante un’onda di maremoto, il mare si ritira inizialmente (cosiddetto “cavo”) ma successivamente arriva la cresta dell’onda, che può essere molto alta e può verificarsi anche 20 minuti dopo. 

La dottoressa Maramai spiega che gli tsunami possono essere causati non solo dai terremoti, ma anche da altri fenomeni come le frane e l’attività vulcanica. In molti casi, i maremoti si generano da terremoti che coinvolgono il fondo del mare. Ciononostante, in alcuni casi, possono essere generati da frane subaeree o sottomarine, che a loro volta possono essere causati da un terremoto sottomarino, anche di piccola magnitudo. In questo caso, il maremoto risulta essere meno energetico e si dissipa più rapidamente, raggiungendo zone di costa più limitate. 

Tra Santorini e la Turchia: i maremoti del Mediterraneo

Fino a poco tempo fa, il Mar Mediterraneo non veniva considerato come un’area a rischio tsunami, tuttavia, la storia di questo mare dimostra che in passato ci sono stati diversi tsunami di varia intensità, non solo causati da attività sismica. Nel 1630 a.C., ad esempio, si è verificato uno tsunami causato dall’esplosione del vulcano Thera, oggi noto come Santorini, il quale provocò danni alle coste di diverse regioni, tra cui Cipro, Creta, Egitto e Siria. 

La dottoressa Maramai ricorda che questo evento fu uno dei più catastrofici della storia recente del Mediterraneo. Nella zona orientale, un altro evento notevole fu il maremoto causato dal terremoto di Creta del 365 d.C., che colpì diverse zone, tra cui le coste greche, Siria, Egitto e in parte la Sicilia, con effetti distruttivi. Attraverso gli studi paleosismologici, che analizzano gli effetti dei terremoti passati sulle rocce e sui sedimenti, è stato possibile stabilire che la magnitudo del terremoto fu di circa 8-8,5 e che le onde dello tsunami raggiunsero un’altezza di circa dieci metri rispetto al livello medio del mare. 

Il Mar Egeo ha un alto tasso di attività sismica dovuto alla sua geologia e pertanto rappresenta una delle aree più esposte al rischio di tsunami nel Mediterraneo. Il maremoto più recente si è verificato in questa zona, legato al terremoto del 30 ottobre 2020. Nonostante il run-up dello tsunami sia stato di soli 1 metro, le inondazioni hanno raggiunto i 200 metri nell’entroterra e i danni sono stati significativi a causa dell’elevata energia delle onde e delle forti velocità delle correnti.

Il rischio maremoti in Italia: Messina 1908 e Stromboli 2002

Anche le coste italiane sono a rischio maremoto, soprattutto dove l’attività sismica è più intensa come in Calabria, Sicilia e Puglia. In Liguria, invece, i canyon profondi presenti nel Mar Ligure rappresentano un potenziale pericolo in caso di terremoto, causando piccoli tsunami che possono danneggiare la costa urbanizzata. Due tra gli eventi più significativi degli ultimi cento anni che hanno colpito il territorio italiano sono il maremoto di Messina del 28 dicembre 1908 e l’evento di Stromboli del 30 dicembre 2002. Il maremoto di Messina è stato causato dal terremoto più forte e distruttivo della storia italiana, con una magnitudo di 7.1 e più di 60.000 morti, che ha colpito le coste della Sicilia orientale e della Calabria. Questo tsunami ha provocato allagamenti e danni a edifici e imbarcazioni, oltre a centinaia di morti. Le onde hanno raggiunto altezze fino a 9,5 metri nella zona di Giardini Naxos (ME) e fino a 13 metri a Pellaro (RC), sulla costa calabra, dove l’amplificazione locale ha reso le onde ancora più alte. 

L’arrivo delle prime onde dello tsunami è avvenuto circa 10-15 minuti dopo la scossa, durante i quali il mare si è ritirato di circa 200 metri. Il secondo evento di rilievo che ha colpito l’Italia, quello di Stromboli, è stato causato indirettamente dall’attività vulcanica. L’eruzione in sé non ha prodotto un maremoto, ma ha causato un accumulo di materiale eruttivo sulla Sciara del Fuoco, il pendio che dal cratere dello Stromboli arriva al mare. 

È stata la caduta di due frane di questo materiale, una subacquea e una sopra il livello del mare, a causare due tsunami distinti, a distanza di circa 7-8 minuti l’uno dall’altro. Nel caso dell’evento di Stromboli, le coste dell’isola sono state le più colpite, in particolare a Piscità, dove l’altezza del run-up è stata di 10,7 metri e a Scari, dove si è verificata l’inondazione più profonda dell’entroterra, pari a 146 metri dalla costa. Tuttavia, gli effetti dell’evento si sono estesi anche ad altre isole Eolie entro 20 minuti dall’inizio dello tsunami, e hanno raggiunto il porto di Milazzo in Sicilia e le coste della Campania. 

Dal monitoraggio all’allerta tsunami

Secondo la dottoressa Maramai, in considerazione della possibilità di eventi tsunami sulle coste italiane, è essenziale monitorare e diffondere eventuali allerte. Lo screening dei maremoti si basa sui dati ottenuti dai controlli dei terremoti, e in modo probabile, si stabilisce se un terremoto specifico potrebbe causare uno tsunami. In altre parole, non è possibile prevedere con certezza se un terremoto causerà uno tsunami, ma sulla base delle sue caratteristiche come la posizione, la magnitudo, la profondità, ecc., è possibile determinare la probabilità che generi un maremoto. 

Il Centro Allerta Tsunami (CAT) si basa sui dati della rete sismica italiana per monitorare la possibilità di maremoti e diffondere eventuali allerte. Il CAT utilizza protocolli internazionali avallati dalla comunità scientifica e invia allerte di tre tipi: 

  • Watch (allerta rossa) per le aree a rischio; 
  • Advisory (allerta arancione) per le coste che possono essere colpite da uno tsunami con effetti lievi;
  • Information (messaggio d’informazione) per le coste a maggiore distanza con minore probabilità di essere raggiunte dallo tsunami. 

 

Il CAT invia l’allerta alla Protezione Civile e agli istituti scientifici preposti al monitoraggio sismico. La dottoressa Maramai afferma che non esiste un sistema di allerta a livello locale e che i tempi per emettere un allarme sono generalmente molto brevi. Nell’esempio dello tsunami del 30 ottobre 2020, l’allerta è stata emessa solo dopo 8 minuti, ma per maremoti molto forti, questo breve periodo di tempo può essere fondamentale per allertare le persone sulla costa. È quindi importante essere in grado di riconoscere i segnali di un possibile tsunami, come il ritiro improvviso del mare, e cercare rifugio in zone più alte. Nonostante gli tsunami siano rari, è fondamentale essere preparati a questi eventi che possono colpire anche le coste del Mediterraneo.