Nel XIX secolo, i medici usavano il latte per le trasfusioni

Un interessante articolo di IFLScience,  analizza e approfondisce la storia della pratica medica “salvavita”. Le trasfusioni hanno subito un processo di miglioramento prima di essere eseguite come sappiamo e, grazie ai documenti e a varie ricostruzioni storiche, abbiamo anche la testimonianza che il latte fu una delle sostanze utilizzate durante le trasfusioni.

L’oblio delle trasfusioni

Nel 1666, presso la Royal Society di Londra, Richard Lower, medico e chirurgo, trasfuse il sangue tra due cani utilizzando una penna d’oca per collegare l’arteria di uno alla vena giugulare dell’altro. Nel 1667, Jean-Baptiste Denys, un medico francese, eseguì la prima trasfusione, documentata, di sangue da animale a uomo. Il paziente era un adolescente che era stato sottoposto a venti trasfusioni di sangue come trattamento per la febbre. Secondo la medicina ippocratica, la tradizione medica dominante all’epoca, questa era una procedura standard per rimuovere le impurità percepite dal corpo, ma il trattamento aveva lasciato il ragazzo debole. Denys trasfuse, nelle vene del ragazzo, il sangue proveniente dall’arteria carotidea di un agnello. Il ragazzo sopravvisse e le sue condizioni migliorarono, l’agnello no. Le trasfusioni di sangue non erano intese solo come un apporto di globuli rossi e piatrine quando il paziente presentava una forte emorragia, quanto più come una pratica per disintossicarsi, rimuovere le tossine dal corpo e pratica utile persino a cambiare la personalità dei riceventi e rimuovere la follia. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la procedura portava solo alla morte, il che portò all’editto di Châtelet del 1668, che proibì le trasfusioni di sangue e fece cadere la procedura nell’oblio per quasi un secolo e mezzo.

Perché trasfondere il sangue quando si può trasfondere qualcos’altro?

La procedura ebbe un breve revival all’inizio del XIX secolo, quando l’ostetrico James Blundell eseguì una trasfusione con una siringa contenente sangue defibrinato sangue privo di fibrina, proteina chiave per la coagulazione. Sebbene si trattasse di un miglioramento rispetto ai tentativi precedenti, il processo non prese piede perché la prevenzione della coagulazione e la tendenza del paziente a morire lo rendevano una procedura poco attraente. Poi, a metà del XIX secolo, gli scienziati ebbero una nuova idea: perché trasfondere il sangue quando si può trasfondere qualcos’altro? Perché non il latte? Nel 1854, durante un’epidemia di colera a Toronto, in Canada, i dottori James Bovell e Edwin Hodder iniettarono latte negli esseri umani. Si erano ispirati al lavoro di Denys che, oltre a trasferire sangue di agnello ai suoi pazienti, aveva anche iniettato latte in vari animali perchè  riteneva che “le minuscole particelle oleose e grasse presenti nel latte” si sarebbero trasformate in “globuli bianchi del sangue”. Bovell e Hodder ritenevano che il latte aiutasse a rigenerare i globuli bianchi e, sorprendentemente, il primo paziente a cui fu somministrata una trasfusione di latte sopravvisse e migliorò la propria salute (i cinque pazienti successivi purtroppo morirono). Ben presto si pensò che questo trattamento fosse un sostituto sicuro e valido del sangue. Le trasfusioni di latte divennero un metodo di cura molto popolare, soprattutto in Nord America. Tuttavia, molti medici rimasero scettici e l’elevato numero di decessi tra i pazienti sottoposti a questo trattamento portò ben presto a screditarlo completamente. Negli anni Ottanta del XIX secolo, le infusioni di sale avevano sostituito il latte come sostituto del sangue. Poi, all’inizio del secolo, dopo la scoperta dei primi tre gruppi sanguigni umani da parte di Karl Landsteiner, venne stabilito un metodo sicuro ed efficace per le trasfusioni.

 

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