The Last of Us, l’analisi del quinto episodio della serie Sky

Con il quinto episodio di The Last of Us superiamo la metà della nostra storia, in attesa di quel finale che ci proietterà verso la già annunciata seconda stagione.

Un ritmo cadenzato e pacato ci ha accompagnato in queste prime fasi del racconto, con dei picchi di azione in grado di movimentare tutto ciò che trovavamo dinanzi a noi, con il desiderio di tenere il ritmo sinuoso e attento a punzecchiare lo spettatore nei momenti di maggior calma, che si tratti di un colpo di pistola o di una storia strappalacrime, come accaduto con Bill.

The Last of Us ha vinto contro gli scettici, ha superato le critiche, ha estirpato le spore, ha edulcorato la violenza, ha ridisegnato i tratti di Bill, ha dato a Joel una nuova chance nel suo ruolo di padre, ma non ha saputo battere due avversari: la pandemia e il Super Bowl. Con il quinto episodio anticipato a venerdì sera, arriviamo all’analisi di quest’ultimo poche ore prima della messa in onda del quarto episodio in italiano, ma forti della possibilità di aver fatto decantare ciò che abbiamo potuto vedere e ammirare, e quindi di cui poter ragionare insieme. Perché da quello che è stato un incedere cadenzato, che ci ha permesso di spingerci a fondo nella psicologia dei personaggi, di capire cosa si celasse dietro le difficoltà di Joel e le asperità di Ellie, siamo arrivati all’accelerata che ci ha condotto al doverci difendere. Strenuamente.

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Un nuovo piccolo da proteggere

L’ingresso di personaggi come Henry e Sam ci porta dinanzi a un altro momento molto toccante di The Last of Us, che già nel videogioco ci metteva dinanzi a un alto tasso di empatia. Sam è un sopravvissuto di Hartford, riuscito, insieme al fratello, a nascondersi ed evitare la cattura da chi cercava di approfittare del loro essere soli: cacciatori, per lo più. La loro presenza al fianco di Joel ed Ellie permette di creare un altro momento di grande sentimento e di grande forza empatica, perché spinge tutti ad assistere a degli scatti e cambi radicali tra azione e pathos. Li avevamo lasciati al termine del quarto episodio con Henry pronto a minacciare Joel puntandogli una pistola addosso e adesso li riscopriamo sotto un’altra veste.

La particolarità nonché la differenza che intercorre il videogioco e la serie risiede nel fatto che l’età di Ellie e Sam sia stata cambiata, anche di molto. Nell’opera originale Neil Druckmann aveva fatto in modo che entrambi fossero coetanei, invece adesso il fratello minore di Henry ha sei anni in meno della ragazza. L’escamotage narrativo è da ritrovare nel fatto che adesso Ellie non sarà più la piccola del gruppo, non ha più bisogno di essere trattata come l’ampolla di cristallo da salvaguardare e da tenere sotto osservazione: Sam è più piccolo, più indifeso e per quanto sia cresciuto per le strade per niente amichevoli del mondo al quale si stanno approcciando Joel ed Ellie, più meritevole di attenzione.

Bella Ramsey ha così l’opportunità di riscoprire nuovi aspetti del proprio carattere e noi con lei, andando a trovare delle caratteristiche che le permettono di continuare quella crescita orizzontale che poi andrà a renderla un personaggio totale verso la fine della prima stagione e di ciò che è stato il primo capitolo di The Last of Us. Non c’è l’intenzione di farle fare un rapido scatto da ragazzina a madre protettiva, ma è indubbio che Druckmann, in questo tipo di riscrittura, abbia voluto premere l’acceleratore sulle intenzioni di crescita che appartengono a una ragazza catapultata in una realtà che fino a poche sequenze prima non erano nelle sue corde, soprattutto per l’essere cresciuta in una zona di quarantena, quindi in una bolla.

Due protettori di due mondi diversi

Al di là di quella che è la variazione di età per Sam, ci troviamo dinanzi a un ennesimo lavoro di fino da parte della produzione, che va a inserire anche quello che è il rapporto che intercorre tra Joel e Henry. Entrambi hanno una missione da portare a termine che li chiama a difendere i rispettivi piccoli: se per il texano significa non solo salvaguardare la salute di Ellie, ma anche la sua nuova chance di riabilitarsi nella figura di padre, per Henry tutto è depositato nell’unico desiderio e obiettivo di difendere l’unico membro della famiglia che gli è rimasto, nonché quello a cui è più affezionato. Ci sono dei sensi di responsabilità molto diversi tra i due, che mettono dinanzi agli occhi dello spettatore l’esigenza, reciproca, di ergersi a protettori di qualcosa che potrebbe cambiare due diversi mondi: quello macroscopico per Joel, quello microscopico per Henry.

Senza dimenticare l’azione di cui The Last of Us deve comunque caratterizzarsi, è il quinto episodio quello nel quale arriva forte l’essenza della sparatoria. Il crollo del terreno, l’esplosione e il richiamo di un’orda che al rumore decide di attivarsi e di scattare sull’attenti. In mezzo a questi infetti incontrollati e mossi dall’unico desiderio di continuare a proliferare e far nascere altri loro simili, nemmeno rispondessero all’esigenza di proselitismo, si nota per la prima volta dall’inizio della serie un bloater. Vi sarà forse capitato di leggere che per mettere in piedi l’essere mostruoso e grottesco c’è voluto uno stunt chiamato Adam Basil, alto 2 metri e pronto a indossare un costume di 40 chili. Niente di preparato in CGI, ma di reale. Non c’è più spazio per il silenzio e l’azione pacata, perché adesso è l’azione che esplode e che richiede di essere al centro di tutto.

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Il bloater, l’ennesima dimostrazione di come The Last of Us stia cercando il senso più umano e intimo della vicenda raccontata, fa solo da preambolo a quanto accade nel finale, che ha la grande capacità di lasciarci col fiato sospeso, ma non per l’attesa di ciò che accadrà, quanto per ciò che si palesa dinanzi ai nostri occhi. L’aver seminato il sogno di diventare protettrice e non più solo protetta, per Ellie svanisce e le dona il primo grande fallimento della sua vita nel momento in cui lo spettatore è chiamato a doversi separare da Sam e da Henry. Violenza era nel videogioco, violenza rimane nella serie: niente edulcorazione, niente riduzione a qualcosa di meno empatico. Druckmann li avvicina e poi strappa l’uno all’altra senza alcuna remora, senza alcun timore, ma con l’unico desiderio di mettere KO lo spettatore. In attesa del prossimo vuoto che The Last of Us non potrà colmare, perché più si va avanti più saranno le foglie ad accasciarsi al suolo.

 

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