Siamo arrivati al terzo episodio di The Last of Us, in onda su Sky e in streaming su NOW in lingua originale, mentre la prossima settimana arriverà doppiato in italiano.
Ci apprestiamo ad assistere a quella che è la miglior riscrittura proposta per un segmento narrativo di The Last of Us che Naughty Dog aveva infarcito di spigoli e di crudeltà, di testate date con insistenza alla vita e di altrettanti pugni incassati dalla condizione della vita umana. Druckmann cambia tutto, rivede il materiale originale e ci propone una nuova versione dei fatti, pronta ad avvilupparci in un vortice empatico molto più funzionale alla linea narrativa della serie di HBO, che nel frattempo è stata rinnovata per una seconda stagione.
Dall’azione alla riflessione
Giungiamo al momento della fuga da Boston, evento che ha portato Joel ed Ellie ad allontanarsi non solo fisicamente da ciò che rimane alle loro spalle, ma anche emotivamente con gli eventi che hanno appena vissuto. Il loro rapporto inizia a seminare qui e lì qualcosa destinato a germogliare, come sanno tutti i videogiocatori che approcciano la serie con la conoscenza derivata dall’esperienza controller alla mano, ma intanto The Last of Us ci spinge verso una digressione narrativa che – vi assicuriamo – sarà un unicum dell’intera storia, con l’intenzione di andare a riscrivere la storia di un intero personaggio.
Stiamo parlando di Bill, interpretato da Nick Offerman, che ha deciso di scendere a patti con Neil Druckmann e accettare di rivedere la propria consistenza narrativa. Più spessore, sì, ma anche meno angoli, tutti pronti per essere smussati e per prendersi il posto di protagonista di questo terzo episodio di The Last of Us. Siamo dinanzi alla più grande opera di riscrittura fatta tra le nove puntate della serie HBO, proprio a testimonianza di quanto Druckmann abbia voluto lavorare su alcuni aspetti che dieci anni erano stati proposti diversamente.
Bill tra videogioco e serie
Bill appariva in The Last of Us nel momento in cui Joel aveva bisogno di lui: ci veniva presentato come un sopravvissuto che ha deciso di isolarsi dal resto del mondo per mantenere la sua abitazione in condizione di atollo salvifico. Nel videogioco di Naughty Dog l’uomo riesce a mantenere una sorta di rapporto, molto flebile, con Joel al quale sembra debba un favore: rinchiuso nella propria tana a Lincoln, tra inferriate e codici da superare, Bill ha a disposizione auto, armi, strutture ridisegnate a suo piacimento per poterlo aiutare nel difendersi con regolarità da ciò che arriva dall’esterno. È scontroso, burbero, a tratti fastidioso ed è anche destinato a una rivelazione sul proprio passato che lo lascerà poco contento: una lettera da parte di Frank che gli fa sapere quanto fosse odioso e quanto abbia odiato trascorrere accanto a lui gli ultimi anni di vita.
Un esito spiacevole per un personaggio caratterizzato come vero orso uscito dal letargo dal proprio antro della montagna. Nella terza puntata della serie, invece, Bill è tutt’altro. Preserva il proprio nascondiglio a Lincoln, nella sua abitazione, ma si lascia attirare, più per curiosità inizialmente, dall’uomo che si presenta nei pressi della sua abitazione e che risponde al nome di Frank. È lì che capiamo le intenzioni di Druckmann: vuole raccontarci l’origin story della coppia e vuole, per la prima volta, darci la possibilità di comprendere chi fosse l’uomo che ha trascorso la sua vita accanto a Bill. C’è una prospettiva diversa del dramma, con l’intenzione di raccontare l’amore tra due persone che, trovatesi sole, hanno saputo spezzare la monotonia dell’abbandono.
Il dramma cambia volto
Dopo aver vissuto il dolore e la strazio del secondo episodio, The Last of Us si prende un momento di respiro, ci concede un momento di respiro per mostrarci come fosse la vita senza la pandemia, senza esseri umani mutati. Bill e Frank costruiscono il proprio angolo di paradiso seguendo quelle che erano le procedure che il primo aveva deciso di adottare, mettendo a nudo tutte le loro problematiche, le loro difficoltà ed esaltando una serie di emozioni che finiscono per farci vedere Bill sotto un altro punto di vista, non più quello che ci aveva lasciato l’esperienza videoludica. Allo stesso modo il legale con Frank si va a intensificare, mentre l’enorme flashback ci permette anche di entrare in contatto con quelli che erano i rapporti tra Bill e Joel nel passato, compresa la stessa Tess, alla quale viene data una nuova chance di minutaggio dinanzi alla camera.
The Last of Us, in questo scorcio della durata di un’ora, ci mostra quanto l’umanità possa ancora essere protagonista in un mondo che ha deciso di arrendersi, suo malgrado, a una pandemia che ha costretto l’ordine a essere sovvertito. Non c’è più la regolarità e l’umanità alla quale si sperava di potersi appendere prima che scoppiasse questo putiferio; ora c’è solo da mantenersi ben saldi alle ultime cose rimaste. È così che fanno Bill e Frank, che conducono mano per mano lo spettatore in un momento che sembra essere avulso dal contesto, al di fuori da tutto ciò che sta accadendo all’esterno, nell’altro mondo. Alla coppia non interessa e costruisce il proprio amore e la propria vita separati da quelle inferriate che rappresentano il punto di rottura con la civiltà esterna.
Druckmann ha ancora materiale originale
Lo abbiamo già accennato: siamo dinanzi a del materiale completamente originale, oltre che pronto a cambiare le carte in tavola. L’esito di Bill, e di conseguenza anche quello di Frank, muta per rimanere fedeli alla narrazione della serie, non a quella del videogioco: il medium si piega alle esigenze che Druckmann ha adesso, com’è giusto che sia, lasciandoci tra le mani un finale analogo, ma costruito in maniera più drammatica, meno spigolosa, più ragionata. C’è tanto da scoprire, c’è tanto da ridefinire: la morte di Frank, non più drastica e tragica come nel videogioco, il rapporto che ha avuto con Bill, non più distruttivo e intriso di odio, la loro gestione dei rapporti con l’esterno, a partire dal perché avesse quel tipo di legame con Joel.
Cambiamenti che deflagrano, ovviamente, anche su quella che sarà poi la reazione dei due protagonisti, con Ellie che scoprirà di Bill soltanto a posteriori, visitando un’abitazione che le sembra quasi impossibile per i tempi che stanno vivendo; Joel, di rimando, ha una nuova occasione per sottolineare quanto stia rifuggendo, in quella che è una sua nuova veste narrativa, la violenza in favore di un’azione più ragionata, più moderata. Quell’armeria che gli si spalanca dinanzi agli occhi è, infatti, meno attrattiva di quanto sarebbe potuto esserlo in un videogioco che richiede di coprirsi, sparare, infilarsi dietro un’altra copertura e così via.
Ciò che ci resta del terzo episodio di The Last of Us, al di là di un lavoro puntuale e coerente nonostante la riscrittura del materiale pre-esistente e della tematica narrativa proposta in origine, è un lavoro di tensione, di analisi della fragilità e di riflessione a livello microscopico sulle perdite e sulla fine della vita; il tutto declinabile in maniera macroscopica sull’epoca che stanno vivendo i protagonisti di The Last of Us nel 2023, che si rapporta al dramma vissuto all’interno di Lincoln. Non c’è bisogno di zombie o simili per tornare a ragionare, in una sfera molto più intima e privata, quanto sia fragile l’essere umano e quanto, pandemia o meno, gli si ripresenti costantemente dinanzi agli occhi il dramma della caducità non solo delle cose, ma anche della vita stessa. Soprattutto della vita stessa.