La nostra natura è cercare di evitare la sofferenza e trovare piacere e sicurezza in noi stessi. Spesso, però, per evitare situazioni scomode, otteniamo soltanto di cristallizzare il disagio. Ecco che entra in scena la teoria dell’evitamento cognitivo. Ciò dimostra come certe risoluzioni mentali rafforzino la percezione della paura. L’evitamento fornisce un sollievo temporaneo, può consentirci di affrontare ciò che ci spaventa per diminuire l’ansia. 

Il meccanismo però per sfuggire a ciò che non ci piace non fa altro che aumentare quote di preoccupazione. La mente evitante alla fine rafforza la sofferenza psicologica. La teoria dell’evitamento cognitivo spiega come funziona tale meccanismo e come possiamo disattivarlo. Le persone si sforzano di trovare una soluzione mentale a un problema. In pratica, le aree della nostra vita che non possiamo controllare generano ansia. Per placarla scegliamo di evitare quello che dovremmo affrontare. È la base del disturbo d’ansia. Al cervello piace avere tutto sotto controllo e avere la sicurezza, ma la vita è incerta.  

Un altro aspetto dell’evitamento cognitivo ci mostra come da una parte ci siano la paura, la vergogna, l’ansia. Dall’altra idee catastrofiche che intensificano tali stati emotivi. La preoccupazione favorisce anche la comparsa di disturbi somatici rafforzando il comportamento di evitamento. In sintesi, ciò che accettiamo ci trasforma e ciò che neghiamo ci sottomette. Cosa fare di fronte a questo scenario psicologico? Dobbiamo affrontare le nostre paure e preoccupazioni, scappare non serve a nulla. Allargare l’abisso della sofferenza rappresenta l’origine della maggior parte dei nostri problemi mentali.