Secondo un nuovo studio condotto dagli scienziati dell’ Environmental Working Group (U.S.A), il consumo di una sola porzione di pesce d’acqua dolce all’anno potrebbe equivalere a un mese di acqua potabile contenente la “sostanze chimica per sempre”, sostanze per- e perfluorootaansolfonato (PFOS) a livelli, elevati e potenzialmente dannosi (mangiare un solo pesce equivale a acqua con PFOS a 48 parti per trilione.) Lo studio rafforza gli appelli da tempo lanciati dall’EWG per una regolamentazione rigorosa dei PFOS e delle altre “sostanze chimiche per sempre” tossiche note come PFAS, oltre che per un maggior numero di test su alimenti come il pesce, dal momento che la dieta è ritenuta una delle principali fonti di esposizione ai PFAS.
I risultati sono un problema particolare per le comunità con problemi di tutela ambientale, la cui sopravvivenza spesso dipende dal consumo di pesce d’acqua dolce pescato. L’EWG ha scoperto che le quantità medie di PFAS nei pesci d’acqua dolce erano ben 280 volte superiori alle sostanze chimiche rilevate in alcuni pesci pescati e venduti in commercio. I dati dei test, provenienti dall’Environmental Protection Agency e dalla Food and Drug Administration, hanno mostrato che il consumo di un singolo pasto di pesce d’acqua dolce potrebbe portare a un’esposizione ai PFAS simile a quella che si avrebbe ingerendo pesce acquistato in negozio ogni giorno per un anno.
“I risultati di questi test lasciano senza fiato”, ha dichiarato Scott Faber, vicepresidente senior dell’EWG per gli affari governativi. “Mangiare una spigola equivale a bere acqua contaminata da PFOS per un mese.
Cosa sono nello specifico i PFAS
PFAS è l’acronimo di “sostanze perfluoroalchiliche“. Si tratta di composti chimici appartenenti alla categoria dei tensioattivi e utilizzati fin dal 1950 in un’ampia gamma di applicazioni industriali e non solo. Gli PFAS sono ad esempio necessari per:
- Prodotti per la cura del corpo
- Schiume antincendio
- Impermeabilizzare, rendere meno sensibili all’unto e all’incrostazione vari oggetti come:
- Contenitori e imballaggi alimentari;
- pentole, ad esempio i tegami antiaderenti;
- Rivestimenti di oggetti, ad esempio sedili, divani;
- Capi d’abbigliamento, ad esempio pelli, Gore-Tex®
Classificate come inquinanti ambientali ubiquitari, le sostanze perfluoroalchiliche sono presenti (anche solo in piccole quantità) nel terreno, nell’acqua e negli alimenti (vegetali e animali) di tutto il pianeta. La loro concentrazione aumenta molto nelle zone civilizzate e in maniera esponenziale vicino ai luoghi in cui vengono prodotti/lavorati. Dagli scarichi degli stabilimenti in questione, le sostanze perfluoroalchiliche sono infatti capaci di contaminare le falde acquifere utilizzate per l’acqua potabile, per irrigare i campi e per abbeverare gli animali negli allevamenti. A causa della massiccia produzione industriale (contaminazione degli scarichi), implicazioni di tipo agricolo (utilizzo di fanghi per la concimazione), incidenti nei trasporti (riversamento nelle acque portuali), diffusione atmosferica (sempre industriale) e smaltimento dei rifiuti che li contengono, in passato è avvenuto un aumento della concentrazione ambientale di sostanze perfluoroalchiliche. Come molti altri inquinanti, anche gli PFAS si depositano dall’atmosfera al terreno, penetrano nel sottosuolo e, attraverso le falde sotterranee, giungono ai corsi d’acqua. Dai fiumi si ricava, mediante potabilizzazione, l’acqua che esce dai nostri rubinetti.
Quali danni arreca mangiare pesce così tanto contaminato?
L’organismo umano non è in grado di metabolizzare ed eliminare efficacemente gli PFAS; al contrario, come dimostra la situazione attuale, tende invece ad accumularli. Il consumo di pesce d’acqua dolce contaminato da PFOS può provocare un aumento significativo dei livelli sierici nel sangue della sostanza chimica, creando potenziali rischi per la salute. Anche un consumo poco frequente di pesce d’acqua dolce può aumentare i livelli di PFOS nell’organismo. Il bioaccumulo è dovuto al fatto che le sostanze perfluoroalchiliche si legano alle proteine del sangue e, con esse, vengono recuperate durante la filtrazione renale. In molti stanno ipotizzando che l’eccesso di sostanze perfluoroalchiliche favorisca l’ipercolesterolemia, problemi alla tiroide, al fegato, ai reni, il tumore dei testicoli, della mammella.
I dati dello studio dell’ Environmental Working Group
I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 500 campioni di filetti di pesce raccolti negli Stati Uniti dal 2013 al 2015 nell’ambito dei programmi di monitoraggio dell’EPA, il National Rivers and Streams Assessment e il Great Lakes Human Health Fish Fillet Tissue Study. Il livello mediano di PFAS totali nei filetti di pesce era di 9.500 nanogrammi per chilogrammo, con un livello medio di 11.800 nanogrammi per chilogrammo nei pesci dei Grandi Laghi.
“I PFAS contaminano i pesci in tutti gli Stati Uniti, con livelli più elevati nei Grandi Laghi e nei pesci pescati nelle aree urbane”, ha dichiarato Tasha Stoiber, scienziata senior. “I PFAS non scompaiono quando i prodotti vengono gettati o buttati via. La nostra ricerca mostra che i metodi di smaltimento più comuni possono portare a un ulteriore inquinamento ambientale”. “Identificare le fonti di esposizione ai PFAS è una priorità urgente per la salute pubblica”, ha dichiarato Stoiber.