Non vedeva l’ora Damien Chazelle, che da 15 anni (dice) aveva in testa di fare un film così, se non proprio questo film. Un film, che, ovviamente, ha rischiato più volte di non poter girare. Un film che ha dovuto cambiare protagonista femminile (era prevista la presenza di Emma Stone inizialmente), che ha visto le sue riprese subire il ritardo causato dalla pandemia, che è costato quasi 80 milioni di dollari. Un film ambizioso oltre ogni limite, arrogante, spregiudicato e della durata di oltre 180 minuti. Un film che potrebbe avere un impatto tale da cambiare la carriera del giovane cineasta, specialmente perché rappresenta la controparte del suo più grande successo e arriva dopo la sua pellicola più equilibrata, contenuta e quasi, oseremo dire, aziendalista. Non vedeva l’ora e ce ne accorgiamo dopo neanche 10 minuti.
Un’introduzione d’obbligo per la recensione di Babylon, uno dei titoli più attesi di inizio 2023, in sala dal 19 gennaio, già andato a premi con la vittoria ai Golden Globe per la colonna sonora a Justin Hurwitz, il pluripremiato collaboratore del regista di Providence, presente anche in questa ultima fatica insieme all’altra storica sodale Mandy Moore, coreografa.
Non a caso, in questo film c’è tutta quanta la sapienza cinematografica, la poetica, l’amore e le ossessioni di Chazelle, nel bene e nel male.
Un enorme e colorato ritratto corale che, come già fatto, serve per raccontare un passaggio fondamentale per l’industria dello spettacolo, in questo caso dal cinema muto ai prime talkie del cinema sonoro, attraverso le vicende umane che lo hanno attraversato. Le vicende umane di un ensemble di personaggi, l’avrete capito, esagerato, interpretati da Brad Pitt, Margot Robbie, Diego Calva, Li Jun Li, Jean Smart, Jovan Adepo, Tobey Maguire, Eric Roberts, Samara Weaving, Katherine Waterston, Max Minghella e chi più ne ha più ne metta.
Una marea di pagine di sceneggiatura, intrise da una enciclopedica conoscenza della storia del cinema, qui destrutturata e ricostruita in una chiave moderna nel linguaggio audiovisivo e negli argomenti e per di più rifocalizzato intorno all’importanza della sala, che è l’unico luogo (si, lo sappiamo, si dice sempre, ma è così sul serio) dove poter godere di Babylon.
Polarizzante, barocco, volgare, anche un po’ goffo, anarchico, spesso infantilmente autoriferito, ma sempre ambizioso e quindi sudatissimo, come tutte le cose che valgono secondo il regista.
Insomma, un sacco de aggettivi. Ma c’è veramente tutto Chazelle qua dentro.
Mattone su mattone
Cos’è la Babylon del titolo lo spiega il regista nella prima scena, parlando all’evidentemente impreparato spettatore nei panni di uno dei protagonisti, il messicano Manny (Calva): “vi aspettate di incontrare un cavallo, magari anche il grande che abbiate mai visto? E invece vi aspetta un elefante.”
Elefante non è solo una rozza metafora (la prima delle tante) di cosa è il film e di cosa è la macchina dei sogni nella quale sorge la kinescopica Torre di Babele, ma è anche la perfetta apertura di una pellicola che fa del citazionismo una delle sue armi di seduzione principali.
Infatti, anche se il party a cui il pachiderma è invitato non è quello hollywoodiano di Edwards e Sellers, ma quello di una pre-Hollywood degli anni ’20, l’età del jazz (guarda un po’), c’è comunque un outsider straniero, citato sopra, pronto a ritagliarsi il suo spazio in questa terra delirante e una ragazza di origini francesi (più o meno) con la quale incrocerà il suo destino.
Magari non sarà un’attrice già in carriera, ma il talento non le manca, così come il cognome giusto: “LaRoy”, Nellie LaRoy (Robbie). Chi è già invece un attore consumato è Jack Conrad (Pitt), all’apice della sua carriera e quindi già in parabola discendente, ma per la notte del party ancora il re del mondo. Il resto della galleria dei personaggi è composta dal trombettista Sidney Palmer (Adepo), dalla giornalista Elinor St. John (Smart) e dalla performer Fay Zhu (Jun Li).
Riti orgiastici, cocaina, vomito, feci, alcol e etere. Una sorta di baccanale sacrilego. Essenza del decadimento scoppiettante e senza freni che è carburante carnale e spirituale del cinema, nelle feste notturne e poi sui set la mattina dopo. Ring più che teatri, dove l’amore spropositato di Chazelle per la Settima Arte si manifesta attraverso personaggi che si devastano da soli e a vicenda salvo poi piangere come dei bambini per non poter chiudere una scena con la luce del tramonto.
Egli mette in scena una violenza comprensibile, umana e auspicabile perché necessaria per la sublimazione, l’immortalità, la pace improvvisa e perfetta, che è quando la camera si accende e tutto diventa altro, divino, etereo, ma anche, purtroppo, persecutorio.
Una macchina, una Torre, che ti permette di arrivare a sfidare Dio, fino a toccarlo, ma che poi ti distruggerà, ti dimenticherà, ti espellerà, anche se tornando a guardarne le mura potrai sempre vederti quando eri riuscito ad arrivare quasi in cima.
Tutto Chazelle minuto per minuto
Nonostante il ritmo sincopato, anche piuttosto sfilacciato a tratti, Babylon ha una struttura perfettamente inquadrabile, giocata sul sonoro, che è dove Chazelle si sente più sicuro.
L’inizio è caotico, in modo anche forzato. Ci ritroviamo ad avere a che fare con un montaggio estremamente serrato, che si blocca per poi ripartire all’improvviso, regolatore di una messa in scena improntata quasi tutta su piani sequenze, camera e mano e continui close up. Musica, colori, battute, autocitazioni e riferimenti esterni nascosti in bella vista, tutto fuori scala.
Perché se è vero che sono intelligenti i rimandi a Intolerance o al già citato film del ’68, se è vero che la LaRoy potrebbe essere benissimo Clara Blow e che la regista che la scopre potrebbe essere Dorothy Arzner e se è vero che tutto quello che c’è non è messo a caso ed è interessante, è altresì vero che tutto viene depotenziato da un accumulo feroce che diventa fagocitante e, quindi, abbastanza fine a se stesso.
Il film cambia nel momento in cui Al Johnson compare sul grande schermo. Il caos si ferma, quel mondo pazzo tramonta per far posto ad uno ancora più violento, quello del rigore, del silenzio, della macchina, che Chazelle soffre tantissimo.
Si perde lui, si perdono i suoi personaggi, che scompaiono, salvo uno, utile a tenere unito il filo tra le due epoche (come da tradizione), ma incapace di portare lo spettatore con lui.
Il terzo atto è l’emblema dei limiti del cineasta di Providence, la cui presa di posizione politica diventa incredibilmente infantile e piuttosto ricattatoria, con l’aggravante di fare risaltare i difetti di un primo atto che quando richiamato a chiudere il cerchio non risponde più, preda di una didascalia pestata da un maltrattamento narrativo convulsivo e una scrittura dei personaggi problematica per le dimensioni del compito a cui il film ambisce.
Babylon è il tentativo di Chazelle di arrivare a toccare Dio, consapevole delle critiche (che gli muoveremo noi, maledetti teorici, e probabilmente anche una parte di pubblico) e che usciranno fuori tutti i suoi limiti, ma l’amore per il cinema (anche per il suo evidentemente) è così palpabile che, una volta di fronte ad esso, ci costringe a schierarci. Questo è sempre un merito.
Babylon è al cinema dal 19 gennaio 2023 con Eagle Pictures.
Babylon è il nuovo mastodontico film di Damien Chazelle, nonché uno dei titoli più attesi dell'inizio 2023. Un pellicola sfrenata, violenta, rozza, squilibrata ed estrema. Fuori scala sotto tutti i punti di vista, dalla messa in scena alla scrittura, passando per il cast. Troviamo infatti un ensemble d'eccezione composto da Brad Pitt, Margot Robbie, Diego Calva, Li Jun Li, Jean Smart, Jovan Adepo, Tobey Maguire, Eric Roberts, Samara Weaving, Katherine Waterston e Max Minghella. Un film in cui c'è tutto Chazelle, difetti e pregi, tra i quali il maggiore è il suo smisurato amore per il cinema, la cui manifestazione non può non costringere lo spettatore a schierarsi. E questo è sempre un merito.
- La messa in scena di alcune sequenze è curata al millimetro.
- Ci sono due o tre momenti molto alti della poetica di Chazelle.
- La ricostruzione in chiave moderna di un passato remoto è molto intelligente.
- Un film rispettoso degli amanti della storia del cinema.
- Ha un cuore tangibile, sia in quanto nucleo narrativo coerente sia in quanto motore dell'ambizione ultima del film.
- Polarizzante.
- Il modo di mettere in scena l'enorme quantità di materiale rischia a volte divenire accumulazione patologica.
- La pellicola è a tratti molto sfilacciata e i personaggi si perdono a lungo andare.
- La durata e le tematiche potrebbero stancare.
- La sua bulimia generale rischia di stomacare e rimanere fine a se stessa.
- Ha dei tratti faciloni e un po' ricattatori, tipici di Chazelle.