Un nuovo studio controverso, della Vanderbilt University, Nashville, in Tennessee, suggerisce che i cervelli di alcuni dinosauri (non tutte le specie) erano densi di neuroni, esattamente come quelli dei primati moderni. Questo significherebbe che erano molto intelligenti, talmente tanto da essere in grado di usare di strumenti.
I risultati, riportati nel Journal of Comparative Neurology, stanno facendo scalpore tra i paleontologi poiché alcuni definiscono questo studio come “controverso”. Il motivo? Se alcuni applaudono il documento come un buon primo passo verso una migliore comprensione dell’intelligenza dei dinosauri, altri sostengono che le stime dei neuroni sono errate e che ciò compromette le conclusioni.
Per portare a casa un compito molto difficile come quello della misurazione dell’intelligenza dei dinosauri, i ricercatori utilizzano da sempre il cosiddetto quoziente di encefalizzazione (EQ), che misura le dimensioni relative del cervello di un animale rispetto alle sue dimensioni corporee. Un T. rex, ad esempio, aveva un QE di circa 2,4, rispetto al 3,1 di un cane pastore tedesco e al 7,8 di un essere umano. Ed è anche per colpa di questi numeri se nessuno considera credibile la storia dei dinosauri quali animali intelligenti. Fatto sta che l’EQ non è ritenuto dalla comunità scientifica uno strumento affidabile al 100% perché le dimensioni del corpo si evolvono indipendentemente dalle dimensioni del cervello in molti animali, e come afferma su Science Ashley Morhardt, paleoneurologa della Washington University School of Medicine di St. Louis che non ha partecipato allo studio. “L’equalizzazione è una metrica difficile, soprattutto quando si studiano specie estinte”. Quindi, per ovviare a questa lacuna, alla ricerca di un’alternativa più affidabile, Suzana Herculano-Houzel, neuroanatomista della Vanderbilt University, si è rivolta a una misura diversa: la densità numerica dei neuroni nella corteccia, area cerebrale fondamentale per la maggior parte dei compiti legati all’intelligenza.
Lo studio
La scienziata, usando l’anatomia comparativa, ha sfruttato la discendenza degli uccelli con i dinosauri per fare il conteggio di neuroni con la corteccia, visto che con i dinosauri non è più possibile farlo direttamente (per ovvi motivi) e che da un importante studio, del 2022, è emerso che rispetto ai rettili, gli uccelli hanno densità di neuroni molto più elevate nelle loro cortecce. In particolare, gli uccelli moderni sono imparentati con i teropodi estinti – un gruppo di dinosauri carnivori che comprendeva il T. rex.
Come riportato su Science, la ricercatrice ha sviluppato un’equazione che mette in relazione la massa cerebrale di un animale con il numero approssimativo di neuroni nel cerebro, corteccia compresa. Ha scoperto che il cervello dei teropodi segue più o meno le stesse regole degli uccelli moderni a sangue caldo, come gli struzzi, mentre il cervello dei dinosauri sauropodi, come il Brachiosaurus, è più simile a quello dei rettili moderni a sangue freddo. Gli ornitischi, un altro gruppo di dinosauri che comprende il Triceratopo, e alcuni pterosauri hanno seguito l’una o l’altra equazione cerebrale, a seconda della specie. Poi ha fatto i conti e ha ottenuto una serie di densità neuronali stimate per diverse specie di dinosauri.
Ad esempio, l’Alioramus, un teropode lungo 6 metri vissuto circa 70 milioni di anni fa nell’attuale Mongolia, aveva poco più di 1 miliardo di neuroni nella corteccia, simile alle scimmie cappuccine. E il T. rex, con il suo cervello che pesava un terzo di un chilogrammo, aveva una densità corticale stimata in 3,3 miliardi di neuroni, superiore a quella dei babbuini, riferisce Herculano-Houzel. “Ho un rispetto tutto nuovo per il T. rex”, dice. “Qualcosa di così grande, con quei denti, che aveva la capacità cognitiva, in termini di numeri, di un babbuino… è davvero spaventoso”.
Supposizioni interessanti, alcune inverosimili
Gli esperti affermano che il documento presenta una premessa convincente. “Fino ad ora non avevamo alcuna idea del possibile numero di neuroni che i dinosauri potevano avere”, afferma Fabien Knoll, paleontologo della Fondazione Aragonese per la Ricerca e lo Sviluppo presso Dinópolis, un museo paleontologico di Teruel, in Spagna. “È davvero una novità avere un neurologo che esamina i dati paleontologici”, aggiunge Stig Walsh, curatore senior di paleobiologia dei vertebrati presso il National Museums Scotland, anch’egli non coinvolto nel lavoro. Tuttavia, afferma, si tratta di “un’enorme quantità di conclusioni o suggerimenti basati su quella che è essenzialmente una singola estrapolazione“.
Combinando le ricerche precedenti con le nuove stime sulla densità dei neuroni, Herculano-Houzel ha anche previsto che il T. rex avrebbe impiegato 4-5 anni per raggiungere la maturità sessuale e avrebbe potuto vivere al massimo 49 anni, similmente ai babbuini. Se così fosse, ciò potrebbe significare che alcuni dinosauri potrebbero aver usato degli strumenti – simili forse ai corvi che usano i bastoni per pescare gli insetti – e trasmesso le conoscenze di generazione in generazione, proprio come alcuni primati moderni.
Tuttavia, Morhardt afferma che dichiarazioni così straordinarie richiedono molte più prove per essere sostenute. “Avremmo bisogno di più dati provenienti dalla documentazione fossile”. L’uso di utensili, in particolare, “è inverosimile“, concorda Knoll. Tuttavia, anche se le stime sulla densità neuronale dovessero essere chiarite, Morhardt afferma che esse non racconteranno l’intera storia dell’intelligenza dei dinosauri. Ci sono altri aspetti della fisiologia cerebrale, come il modo in cui i neuroni si connettono, che giocano un ruolo. Ma è entusiasta che questo studio possa aprire la porta a una migliore comprensione dell’acutezza mentale dei dinosauri. “Studi come questo”, afferma la ricercatrice, “non faranno altro che continuare ad affinare la nostra comprensione di ciò che era o non era possibile per creature straordinarie come il T. rex”.