Quante volte è stato detto “Ridateci la Gioconda” rivolto ai cugini francesi. Nei primi anni dieci del 1900 ci fu un evento che sconvolse la Francia e il Museo del Louvre: il furto del quadro più famoso di Leonardo Da Vinci.

Il pittore Louis Béroud conosce bene il Louvre. Si reca spesso al museo parigino dilettandosi nell’eseguire copie. Quel giorno raggiunge il Salon Carré con l’intenzione di fare uno schizzo della Monna Lisa di Leonardo. Lì incontra l’incisore Frédéric Laguillermie, anch’egli venuto a copiare il famoso dipinto italiano. Quando giungono nell’area dove è esposta l’opera si trovano di fronte a un muro.

Davanti a loro un grande pannello vuoto con quattro ganci: la Gioconda è scomparsa!

Il furto del secolo è stato definito, sono stati scritti articoli di ogni tipo, raccontato storie e anche declinate canzoni sulla storia di Vincenzo Peruggia e della sua folle idea di rubare la Gioconda per restituirla all’Italia. Ma prima di arrivare alla cronaca di questo furto chiariamo le vicissitudini di questo dipinto, come è arrivato a Parigi e per quale motivo. Tra il 1502 e il 1503, Leonardo si trovava a Firenze e accettò l’offerta del mercante Francesco del Giocondo che gli commissionò il ritratto della moglie, Lisa Gherardini. Il mercante, però, non aveva fatto bene i conti con la mania di perfezione del grande maestro che lavorò al dipinto per ben quattro anni. Nel 1507 lo portò con sé a Milano, per terminarlo continuando a ritoccarlo ancora fino al 1513.

Morale della storia: il ritratto non fu mai consegnato ai due coniugi del Giocondo, prendendo la via della Francia nel 1517.

Leonardo infatti lo portò con sé ad Amboise quando fu chiamato a lavorare come pittore di corte presso il re Francesco I e dopo la sua morte la Gioconda entrò a far parte delle collezioni reali francesi, per poi essere trasferita nelle varie residenze dei sovrani succedutisi, fino ad approdare nel museo simbolo della rivoluzione, il Louvre, senza destare chissà quale attenzione. Napoleone la spostò nuovamente per ornare la camera da letto di Joséphine alle Tuileries, ma tornò poco dopo al Louvre dove artisti e scrittori iniziarono a guardare “La Monna Lisa” con occhi ben diversi dai proprio predecessori. Nell’immaginario collettivo infatti la donna dal sorriso sardonico divenne l’emblema della sensualità femminile, una femme fatale, avvolta da un alone di mistero come del resto è successo per lo stesso Leonardo Da Vinci, artista, scienziato, genio, alchimista e quasi mago. Ma dopo aver chiarito le vicissitudini che ha portato il quadro in quel di Parigi (non fu mai sottratto all’Italia) torniamo alla storia del furto del Peruggia.

Dopo che fu accertato che il dipinto non si trovava più nel proprio luogo natio sono iniziate immediatamente le indagini. Primo indiziato il fotografo ufficiale del Louvre e proprietario di un laboratorio e di una sala vendite all’interno dell’edificio. Si credeva che la tela di Leonardo si trovasse proprio in quel laboratorio, ma purtroppo non fu così. Nel primo pomeriggio del 22 agosto il capo della polizia parigina, il signor Hamard, con una sessantina di ispettori, è sulla scena del furto per cercare di carpire qualche piccolo dettaglio o indizio.

Nella piccola scala che conduce alla Corte Visconti, trovano la magnifica cornice rinascimentale italiana del dipinto. Il criminologo Alphonse Bertillon individua un’impronta digitale sul vetro che la proteggeva, la confronta con quelle dei 257 dipendenti del Louvre prese poco prima. Purtroppo non vi fu trovata nessuna corrispondenza, il ladro non venne identificato e il direttore del Louvre, Théophile Homolle, fu costretto a dimettersi. Nelle indagini successive alcuni sospetti caddero su un gruppo di operai che il giorno precedente, il lunedì (già allora giorno di chiusura al pubblico), era stato visto davanti al dipinto, ma risultò che erano puliti.

Furono poi sospettati Apollinaire e Picasso (il primo fu arrestato) per aver sempre palesato la voglia di svuotare i musei e di riempirli con le loro opere.

Le autorità francesi, più passavano i giorni e più pensavano addirittura ad un colpo di Stato dei tedeschi, che non solo stavano tentando di rubargli le colonie in Africa, ma tentavano anche di depredarli dei loro capolavori. Insomma, le pagine dei giornali parlarono a lungo della vicenda e il Louvre rimase per ben due anni sconvolto e senza la sua Monna Lisa, fino al 1913, quando il quadro ricomparve a Firenze e qui la storia diventa ancora più singolare. Sì perché a raccontarne le circostanze fu, la rivista La Cronaca delle Belle Arti. Il 24 novembre, un antiquario fiorentino, Alfredo Geri, ricevette una lettera, firmata “Leonardo V.”, in cui gli veniva proposto di acquistare proprio la Gioconda.

Ne saremo molto grati se per opera vostra o di qualche vostro collega, questo tesoro d’arte ritornasse in patria e specialmente a Firenze dove Monna Lisa ebbe i suoi natali, e che saressimo in ispecial modo lieti se un giorno futuro e forse non lontano fosse esposta alla Galleria degli Uffizi al posto d’onore e per sempre. Sarebbe una bella rivincita al primo impero francese, che, scalando in Italia, fece man bassa su una grande quantità di opere d’arte per crearsi al Louvre un grande museo”

Questo era quanto il fantomatico “Leonardo V.” scriveva a Geri nella lettera. L’antiquario la segnalò al direttore degli Uffizi, Giovanni Poggi (Firenze, 1880 – 1961) e insieme si accordarono per incontrarsi con “Leonardo V.”. L’incontro fu fissato per l’11 dicembre presso il negozio di Geri per poi sportarsi all’hotel dove lo strano personaggio alloggiava e dove aveva nascosto il quadro. Al loro cospetto si presentò dunque l’impavido Diabolik, che altri non era che un imbianchino italiano chiamato Vincenzo Peruggia.

Il nostro conterraneo, ignaro della vicenda collezionistica dell’opera, aveva avuto la nobile, ma assurda idea, di restituire all’Italia il dipinto di Leonardo, convinto che ci fosse stato rubato da Napoleone.

Il direttore degli Uffizi, accertatosi del fatto che quella era la vera Gioconda, diede comunicazione alle autorità, e il prefetto fece arrestare il ladro. Nell’interrogatorio uscì fuori tutta la storia. Il furto avvenne verso le sette del mattino di lunedì 21 agosto nel 1911 giorno di chiusura del Louvre, dopo aver passato l’intera notte chiuso in uno sgabuzzino. Vincenzo Peruggia entrò quindi nel museo, attraversò la porta Jean Goujon usata di frequente dagli operai e si diresse al Salon Carré senza che alcuna persona si accorgesse della sua presenza. Dopo aver staccato il quadro dalla parete, considerando che era stato lui stesso a montare la teca che custodiva il dipinto, si diresse verso la scaletta della sala dei Sept Mètres liberandosi della cornice e del vetro.

Giunto in un cortile interno poco frequentato si servì della giacca che indossava per avvolgere il quadro. Uscito dal museo indisturbato con la Monna Lisa dentro il cappotto, salì sul primo autobus, ma si accorse di aver sbagliato direzione e così scese e si fece riportare a casa da un taxi, precisamente in rue de l’Hopital Saint-Louis dove nascose la Gioconda.

La Gioconda a Firenze dopo il ritrovamento

Dovendo tornare al lavoro per giustificare il ritardo disse di essersi ubriacato il giorno precedente e di soffrirne ancora le conseguenze. Poiché la stanza nella quale viveva era molto umida, temendo che l’opera potesse danneggiarsi, Peruggia la affidò al compatriota Vincenzo Lancellotti, che abitava nello stesso stabile. Trascorso un mese, dopo aver realizzato una cassa in legno nella quale custodire il dipinto, lo riprese e lo tenne con sé. Come il Peruggia fu scoperto è stato già scritto, chiaramente ci fu un processo che svolse nel giugno del 1914 a Firenze (nel frattempo, la Gioconda era già tornata al Louvre). Peruggia, al quale fu peraltro riconosciuta l’attenuante dell’infermità mentale e di conseguenza la sua mancanza di pericolosità per la società, fu condannato ad un anno e mezzo di prigione, ma la sua ingenuità destò simpatia nel pubblico che avrebbe voluto per lui una pena più indulgente.

Il 29 luglio la pena fu ridotta a sette mesi e otto giorni, ma appena fu emessa la sentenza Peruggia fu scarcerato.

Quando uscì di prigione trovò un gruppo di studenti toscani che gli offrirono il risultato di una colletta a nome di tutti gli italiani: 4.500 lire. Dopo una trionfale tournée in Italia, la Gioconda sarebbe stata restituita al Louvre il 4 gennaio 1914, dove fu posta sotto più stretta sorveglianza fino ad oggi praticamente blindata in un’unica grande teca nella quale anche solo avvicinarsi diventa un’impresa. Proprio l’atteggiamento delle autorità italiane venne apprezzato in Francia, situazione che riuscì ad evitare che Parigi chiedesse una pena esemplare e concordando un lungo periodo di esposizione del dipinto in Italia (prima agli Uffizi a Firenze, poi all’ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese in occasione del Natale), prima del suo definitivo rientro nel gennaio del 1914.

Questa storia ha ispirato moltissimi racconti, romanzi e anche serie televisive, ma forse la più straordinaria riproposizione è la canzone interpretata da Ivan Graziani Monna Lisa.

Fonti