Era il 2008 quando Dead Space, l’indimenticabile titolo cult di Visceral Games, approdò sugli scaffali, ampliando gli standard del genere horror grazie alla sua perfetta combinazione di azione, adrenalina e atmosfere da brivido. 

Claustrofobico ed inquietante, Dead Space ebbe l’ambizione di riportare su console non solo il culto del terrore, ma di proporre anche un’ambientazione Sci-Fi decisamente atipica e poco sfruttata nei prodotti appartenenti al genere. Il risultato fu un’avventura orrorifica che riuscì a farsi apprezzare non tanto per la formula ludica – che non apportava alcuna rivoluzione al genere degli sparatutto – quanto piuttosto per l’ottima atmosfera e l’uso sapiente degli espedienti scenografici, in grado di trasmettere al giocatore un costante senso di sgomento e di tensione palpabile. 

Una magia orrorifica che, dopo un sequel altalenante e un terzo capitolo al di sotto delle aspettative, non ha mai fatto fatto ritorno, o perlomeno non concretamente. Dopo l’uscita di The Callisto Protocol ed in vista dell’arrivo del remake del primo Dead Space, cerchiamo di capire come l’eredità della saga di Isaac Clarke è stata accolta e rielaborata nel tempo e se davvero è possibile riportare in vita il capolavoro di EA, cercando di ricreare esattamente quell’orrore viscerale che lo rende ancora oggi un titolo davvero indimenticabile. 

Il flop di The Callisto Protocol: tra mancanze e ispirazioni

Concepito come quello che sarebbe dovuto essere l’erede spirituale di Dead Space, The Callisto Protocol è approdato lo scorso 2 dicembre su PC e console con l’ambizione di recuperare tutto il carattere e le atmosfere da horror sci-fi dell’opera di EA per dare vita ad un’esperienza molto più solida e strutturata rispetto a quella proposta dal viaggio di Isaac Clarke. Con Glen Schofield, il papà di Dead Space, al timone del progetto, The Callisto Protocol è dunque apparso sin da subito agli occhi dei fan della saga come quel titolo capace di riportare in luce tutte le qualità dell’epopea orrorifica del 2008, seppur con le dovute divergenze. 

Chi ha da sempre visto in The Callisto Protocol un emulo di Dead Space, però, ha ragione solo in parte perché, se è pur vero che da un lato l’avventura horror di Striking Distance Studios riprende molte delle caratteristiche iconiche dell’opera di EA, dall’altro si discosta fortemente dalla dimensione claustrofobica e ansiogena del titolo di riferimento. Mi spiego meglio: nonostante l’opera di Glen Schofield presenti tutta una serie di similitudini con Dead Space, a partire da alcuni elementi di design fino ad arrivare alle meccaniche di gameplay, il gioco in realtà finisce per fallire lì proprio dove Dead Space, invece, eccelleva, ossia nel ricreare quell’orrore viscerale che ha reso l’epopea di Isaac davvero indimenticabile.

Il titolo del 2008, se ricordate, infatti tendeva a costruire la tensione attraverso alcuni espedienti scenografici e sonori che contribuivano a dare forma ad un’immaginario dai tratti estetici e sensoriali fortemente disturbanti, capace di incutere tensione e sgomento anche solo sul piano puramente visivo.

In The Callisto Protocol, invece, manca tutta quella cura e quell’attenzione nel caratterizzare le atmosfere e nel generare quella tensione palpabile in grado di trasmettere al giocatore un constante senso di terrore ed inquietudine.

Se, ad esempio, in Dead Space, gli effetti sonori avevano il compito di ingannare il giocatore sulla posizione della fonte di rumori raggelanti e in generale ponendo grande enfasi sui momenti che precedevano l’apparizione delle sue orride creature, in The Callisto Protocol, la componente orrorifica è più una mera cornice estetica che un vettore di paura, un orpello di un impianto ludico che vira più verso l’azione nuda e cruda che sulla dimensione puramente horror. Un aspetto che pesa enormemente sul bilancio dell’esperienza, se consideriamo che stiamo pur sempre parlando di un survival horror che di un prodotto come Dead Space finisce per riproporre, purtroppo, solo la confezione. 

L’impressione che si ha giunti al termine dell’avventura è che The Callisto Protocol finisca con il crollare sotto il peso, imponente e oppressivo, delle sue stesse ambizioni. Capiamoci: il fatto che il gioco condivida lo stesso DNA ludico di Dead Space non è di certo un male. Il problema sorge nel momento in cui si sceglie di non introdurre alcuna novità di peso o variazioni interessanti all’interno di una formula ludica appartenente ad titolo di 13 anni fa e che di fatto avrebbe meritato un maggiore svecchiamento.

Prendiamo il potere del guanto gravitazionale. In Dead Space, la stasi poteva essere usata per rallentare i nemici, strappare loro gli arti, però poteva anche essere usata per risolvere alcuni enigmi ambientali. In The Callisto Protocol tutto questo non c’è, anzi: da questo punto di vista assistiamo anche ad un evidente un passo indietro. Il guanto GRP di Jacob è utile solo in combattimento per attirare i nemici e scagliarli contro una delle tante lame e trappole sparse per gli scenari. Inoltre, anche l’idea di lasciare il volto del protagonista scoperto, a differenza di quanto avviene in Dead Space, avrebbe potuto fornire al team ampio margine per quanto riguarda la caratterizzazione del personaggio che, invece, resta di fatto poco delineata. 

Probabilmente la scelta di Glen Schofield di rimanere così tanto ancorato alla sua creatura è ciò che rende ad oggi The Callisto Protocol un prodotto a metà, l’immagine perfetta di un Dead Space castrato nelle intenzioni, spinto da tanti buoni propositi ma privo di quel carisma e di quella sostanza che rende il viaggio di Isaac ancora oggi memorabile.

Leggi anche: 

Dead Space Remake: tra fedeltà e innovazione

Se the Callisto Protocol ha rappresentato di fatto un duro colpo per chi sperava in un ritorno della saga di EA, ora tocca al Remake di Dead Space riportare in vita e in grande spolvero le peripezie di Isaac Clarke. Anche se ci troviamo di fatto di fronte a due operazioni essenzialmente molto diverse – una più simile ad un’ emulazione e l’altra di vero e proprio rifacimento – l’obiettivo di fatto resta sempre lo stesso, ossia quello di ridare lustro ad una saga che ha fatto la storia del genere horror sci-fi, rendendola attuale per la nuova utenza ed avendo cura di restituire agli appassionati quelle stesse identiche sensazioni rimaste a lungo scolpite nella loro memoria.

Se da un lato, però, il remake di Dead Space punta a confezionare un rifacimento che sia essenzialmente molto fedele all’opera originale, dall’altro intende comunque offrire tutta una serie di piccole sorprese e novità per rendere l’esperienza ancor più completa e più strutturata.

Una scelta che dona decisamente un impronta più interessante all’operazione e che chiaramente è stata pensata per offrire ai veterani della serie un motivo in più per avventurarsi nuovamente tra i corridoi bui dell’Ishimura. 

Il primo cambiamento significativo che è stato introdotto rispetto al gioco del 2008 è che il protagonista Isaac Clarke ora può parlare e dialogare con gli NPC. Una feature che consentirà alla trama del gioco di esplorare sentieri totalmente inediti, offrendo nuovi spunti e dettagli sul passato e sulla profondità psicologica del protagonista. Anche sul piano prettamente ludico, lo studio di Montreal ha agito senza operare alcuno stravolgimento di sorta, effettuando dei ritocchi utili a favorire la giocabilità senza andare a compromettere il feeling dell’esperienza originale: il sistema di shooting, ad esempio, è stato reso sì più fluido e reattivo, ma sempre coerente con le sensazioni trasmesse dal gioco nel 2008.

Allo stesso modo, le meccaniche di smembramento restano una componente fondamentale del sistema di combattimento, che in questa nuova riedizione saranno rinforzate dalla presenza del nuovo “Peeling System” che introduce carne, tendini e ossa stratificate che si rompono, si lacerano e si frantumano in modi nuovi e sconvolgenti. Sebbene la strategia sia fondamentale, i giocatori avranno anche maggiori opportunità di creatività nell’utilizzo della varietà di armi e abilità uniche per combattere i nemici.

Inoltre, sono state introdotto anche tutta una serie di nuove meccaniche ereditate dal secondo e terzo capitolo della serie, come la possibilità di impalare gli avversari utilizzando il Modulo Cinetico della tuta di Isaac o il sistema di spostamento tridimensionale introdotto con Dead Space 2 per le sequenze a gravità zero.

Accanto all’evidente restyling del comparto grafico, i passi in avanti compiuti dallo sviluppo videoludico avranno conseguenze anche in termini di gameplay. Ad esempio, la possibilità di dare vita ad una nebbia realistica e animata in tempo reale dall’engine consentirà di celare al suo interno nemici in agguato. I nuovi giochi di luce resi possibili dal Ray Tracing, inoltre, contribuiranno a creare un’atmosfera incredibilmente immersiva in Dead Space Remake, grazie alle continue contrapposizioni tra luce e ombra e tanto altro ancora.

Insomma, va da sé che è ancora troppo presto per valutare l’efficacia dell’operazione e lo spessore di queste novità, ma gli sviluppatori ci hanno già assicurato che ogni singola modifica è stata messa a punto operando a stretto contatto con la community, onde evitare pericolosi passi falsi. Ovviamente, quando ci si confronta con un mostro sacro del genere come Dead Space, è necessario capire quali scelte adottare per rendere il prodotto non solo in linea con gli standard attuali del mercato, ma anche capace di preservare lo spessore qualitativo ed il carattere dell’opera originale. 

Tutto quello che è mancato a The Callisto Protocol per lasciare il segno, per intenderci. Poiché se è pur che vero che parliamo di due opere essenzialmente diverse, il gioco di Schofield guarda direttamente a Dead Space, senza riuscire mai infine a ricalcarne fedelmente i passi. Se il remake di Dead Space riuscirà ad essere all’altezza delle nostre aspettative è ancora tutto da vedere, ma se anche solo in parte le promesse del team verranno mantenute allora il 27 gennaio potremmo davvero poter tornare rivivere pienamente l’incubo di Isaac e con gli stessi occhi di allora.