Uno studio pubblicato su Science Advances, combina i dati del programma  Hawai’i Ocean Time-series con nuove simulazioni di modelli climatici condotte su uno dei supercomputer più veloci della Corea del Sud. Gli scienziati hanno rivelato che un meccanismo, noto come plasticità di assorbimento dei nutrienti, consente alle alghe marine di adattarsi e far fronte alle condizioni oceaniche povere di nutrienti, che si prevede si verificheranno nei prossimi decenni, in risposta al riscaldamento globale dell’oceano. Il fitoplancton è una minuscola alga che si sposta sulla superficie dell’oceano e costituisce la base della rete alimentare marina. Durante la fotosintesi, queste alghe assorbono sostanze nutritive (ad esempio fosfati e nitrati), assorbono anidride carbonica disciolta e rilasciano ossigeno (che costituisce circa il 50% di quello che respiriamo). Il modo in cui il tasso di produzione annuale di fitoplancton cambierà, sapere come le alghe marine risponderanno al riscaldamento globale nei prossimi 80 anni rimane altamente incerto. L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) afferma un’incertezza compresa tra -20% e +20%, che implica difficoltà di previsione circa l’aumento o la diminuzione del fitoplancton in futuro.

 

Il riscaldamento globale influisce sugli strati superiori dell’oceano più che su quelli profondi. L’acqua più calda è più leggera e quindi l’oceano diventerà più stratificato in futuro, riducendo la miscelazione dei nutrienti dalla superficie inferiore allo strato illuminato dal sole, dove risiede il fitoplancton. Studi precedenti suggerivano che il previsto esaurimento dei nutrienti, in prossimità della superficie, avrebbe portato a una sostanziale riduzione della produzione di fitoplancton nell’oceano, con effetti diffusi e potenzialmente catastrofici sia sugli ecosistemi marini che sul clima. Ma, secondo il nuovo studio, questo potrebbe non accadere.

 

La resilienza del fitoplancton

La nuova analisi dei dati sul fitoplancton mostra che la produttività può essere sostenuta anche in condizioni di forte impoverimento dei nutrienti. “In queste condizioni, le singole cellule di fitoplancton possono sostituire il fosforo con lo zolfo. A livello di comunità, si potrebbe assistere a ulteriori spostamenti verso taxa (gruppo di organismi con caratteristiche comuni) che richiedono meno fosforo”, afferma David Karl, coautore dello studio, professore di Oceanografia all’Università delle Hawaii e cofondatore del programma Hawai’i Ocean Time-series Study, per spiegare il concetto di plasticità del fitoplancton. Un’ulteriore prova della plasticità è data dal fatto che nelle regioni subtropicali, dove le concentrazioni di nutrienti nelle acque superficiali sono basse, le alghe assorbono meno fosforo per quantità di carbonio immagazzinato nelle loro cellule, rispetto alla media globale.

 

Per studiare come questo “trucco” metabolico unico avrà un impatto sulla produttività globale degli oceani nei prossimi decenni, il team ha eseguito una serie di simulazioni di modelli climatici con il modello Community Earth System (versione 2, CESM2) sul supercomputer Aleph. Disattivando la plasticità del fitoplancton nel loro modello, gli autori sono stati in grado di riprodurre qualitativamente i risultati dei modelli precedenti, che prevedevano un calo della produttività sugli oceani di circa l’8%. Tuttavia, quando hanno attivato il parametro della plasticità nel modello, in modo da catturare le osservazioni vicino alle Hawaii negli ultimi 3 decenni, la simulazione al computer rivela un aumento della produttività globale fino al 5%, fino alla fine di questo secolo. “A livello regionale, tuttavia, queste future differenze di produttività possono essere molto più elevate, arrivando fino al 200% nelle regioni subtropicali”, spiega il dottor Eun Young Kwon, primo autore dello studio e ricercatore presso l’IBS Center for Climate Physics della Pusan National University, in Corea del Sud. Grazie a questo aumento di produttività, l’oceano può anche assorbire più anidride carbonica dall’atmosfera e infine sequestrarla sotto la superficie oceanica.

 

Ispirati dai risultati delle simulazioni dei loro modelli di sensibilità, gli autori hanno poi esaminato altri 10 modelli climatici, i cui dati sono stati utilizzati nel recente 6° Rapporto di Valutazione dell’IPCC. I risultati hanno confermato le conclusioni iniziali degli autori. “Anche se il nostro studio dimostra la resilienza del fitoplancton, questo non implica che sia immune ai cambiamenti climatici indotti dall’uomo. Per esempio, un peggioramento dell’acidificazione degli oceani ridurrà i tassi di calcificazione di alcuni tipi di fitoplancton, il che può portare a cambiamenti su larga scala negli ecosistemi”, avverte il dottor Eun Young Kwon. Questi fattori non sono ancora ben compresi né rappresentati nei modelli climatici. “I futuri modelli del sistema terrestre devono utilizzare rappresentazioni migliori, basate sulle osservazioni, di come il fitoplancton risponde a molteplici fattori di stress, tra cui il riscaldamento e l’acidificazione degli oceani. Questo è necessario per prevedere il futuro della vita marina sul nostro pianeta”, afferma il Prof. Axel Timmermann, coautore di questo studio e direttore del Centro IBS per la Fisica del Clima.