Si ritiene che le malattie autoimmuni siano il risultato di uno scambio di identità. Le cellule immunitarie di “guardia”, pronte a difendere l’organismo dagli agenti patogeni, scambiano le cellule umane normali per cellule infette e puntano le armi contro i propri tessuti sani. Nella maggior parte dei casi, però, per gli scienziati è stato difficile trovare la fonte della confusione, ovvero il piccolo frammento di proteina umana normale che assomiglia pericolosamente a una proteina di un agente patogeno. Questo pezzo mancante del puzzle ha ostacolato gli sforzi per sviluppare diagnosi efficaci e terapie specifiche per molte condizioni autoimmuni.
Questa situazione potrebbe finalmente cambiare. Un team di ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis, della Stanford University School of Medicine e dell’Università di Oxford ha sviluppato un modo per individuare i frammenti proteici cruciali che guidano l’autoimmunità e le cellule immunitarie che vi rispondono. I risultati, pubblicati il 7 dicembre su Nature, aprono una strada promettente per la diagnosi e il trattamento delle malattie autoimmuni.
“Tra tutti, i geni HLA presentano la maggiore quantità di variazioni nella popolazione umana. Esistono moltissime malattie autoimmuni associate a specifiche varianti dei geni HLA, e nella maggior parte dei casi non ne conosciamo il motivo”, ha dichiarato il coautore Wayne M. Yokoyama, MD, Sam J. Levin e Audrey Loew Levin Professor of Arthritis Research presso la Washington University. “Questo documento delinea una strategia per capire perché alcune varianti HLA sono collegate a determinate malattie. Inoltre, fornisce una forte evidenza del fatto che la reattività incrociata tra proteine umane e microbiche guida l’autoimmunità in almeno due malattie e probabilmente in molte altre. Ora che abbiamo capito quali sono i fattori alla base, possiamo iniziare a concentrarci sugli approcci che hanno maggiori probabilità di produrre benefici per i pazienti”.